Arrancame la vida!

Post N° 558


Oggi sono stato a fare il tagliando annuale da Roberta, la mia psichiatra, colei che dodici anni fa riuscì ad attivare in me la speranza in una nuova vita. E’ sempre una bella giornata quando vado da lei. Questo fatto eccezionale accade più o meno ogni dodici mesi. Ieri ci ho pensato tutto il giorno. Ero così eccitato alla sola idea di vederla e di parlare con lei! L’avevo chiamata per l’appuntamento la settimana scorsa “ Alex, amore, ti aspetto giovedì alle 16!” Non so se sia deontologicamente corretto che una psichiatra chiami un suo ex paziente “amore”, ma fa lo stesso. Con Roberta siamo al di là di ogni riguardo, oltre ogni pudore. La vedo una volta l’anno, dicevo, e la trovo sempre la stessa, di anno in anno. Magrolina, piccola, minuta, con i suoi cappotti stravaganti, la sciarpona di lana fatta a mano, il suo sorriso franco, le mani sottili e gracili. Nessuno, vedendola, penserebbe alla sua straordinaria forza. E’ bella Roberta, bella davvero. Ci abbracciamo e ci baciamo appena varco la soglia del suo studio. “ Sei in forma Alex, sei bello!” Io rido. Mi ha sempre fatto ridere Roberta, anche nei momenti atroci della disintossicazione in ospedale, quando stavo malissimo, quando volevo morire. Ha cambiato le tende alle finestre. Quelle nuove sono di organza color lilla, leggere e fresche come certi pensieri. Una parete l’ha dipinta di viola. L’effetto cromatico è di calore e di armonia. Ci sediamo uno di fronte all’altra, come un tempo, come dodici anni fa. Mi viene da ridere ancora. “Sei felice Alex? Sei sereno? Dimmi come sei adesso, dimmi come stai.” Parliamo di me, della vita, di questa vita, della mia. Parliamo delle battaglie antiche e di quelle recenti, delle mie frustrazioni, delle mie nostalgie, dei miei ricordi, del mio presente soprattutto. Del mio presente. “ Ogni tanto vacillo Roby” le dico. Lei sorride, volge gli occhi al cielo, mi guarda fisso e dice. “ E dio mio, Alex, e puntellati da qualche parte quando vacilli che gli strumenti li hai tutti adesso: usali!” mi faccio pensoso “ Questa è la vita tesoro mio, ma tu sei riuscito a trasformare la tua vita in  un miracolo. Ricordati com’eri quando ci siamo incontrati. Ora sei tu, questo sei davvero tu, non sei contento? Vacilla pure mio caro, ma non avere mai paura di cadere. Ora sai camminare benissimo da solo!” Ci abbracciamo quando esco dal suo studio. Lei incrocia le dita come faceva quando se ne andava dalla  mia stanza in ospedale. Poi sorride. “ Alex!” mi volto indietro mentre sono già sulle scale “Ieri mi ha chiamato Ivan, da Pisa. Vive là adesso. Voleva che sapessi che sta bene. Io volevo che lo sapessi anche tu”. Le mando un bacio con la mano.Nei corridoi dell’ospedale passavamo le notti Ivan ed io. Faceva freddo in quei corridoi. Il vento passava attraverso le finestre, nelle fessure, in mezzo agli infissi. L’aria era come gelata. Non avevamo specchi dove guardarci, non avevamo rasoi con cui raderci.  A volte ci addormentavamo sul pavimento. Roberta ci riportava nei nostri letti gemelli, nella nostra stanza.  Al risveglio, tutti e due ancora una volta in lacrime, avevamo lo sguardo girato verso il muro, pieni di vergogna. Ci guardavamo uno nel volto dell’altro, le mani avvinghiate l’uno all’altro come a proteggerci da noi stessi, le gambe che tremavano. Altre volte ascoltavamo qualcosa che sembrava provenire dalle pareti, dalla pietra, dalle scale: dei colpi di fischietto, grida, rumori di passi in corsa, latrati di cani, grida disperate di bambini. I nostri occhi si guardavano per un breve istante, il tempo, ad esempio, di un balenar di vetri del sole nella stanza, quando era giorno.