Arrancame la vida!

Post N° 568


Luisa era una cugina di mamma, la figlia di una delle sue sorelle più grandi, morta tanti anni fa. Oggi è morta anche lei, la Luisa. Non avevamo grandi rapporti, la Luisa ed io. Ci vedevamo sì e no una volta all’anno, quando lei tornava in Veneto dai parenti e anch’io mi trovavo da quelle parti per caso. Luisa era una zitella di 79 anni, morta vergine, credo. Nella storia della nostra famiglia, prima di me, Luisa era l’unica ad aver studiato, quella che aveva frequentato l’università. C’era una sorta di alone di deferenza e di rispetto attorno alla sua figura. Figlia della zia Carla e dello zio Ernesto, Luisa era vecchia da quando io ne conservo il ricordo e la memoria. Ci sono delle sue foto da giovane a casa di mamma: una ragazzotta bruttina, un po’ goffa, con dei capelli neri, spenti, né lisci né mossi, mi pare perfino con un filo di peluria sopra le labbra. Lo zio Ernesto era un ragazzo di buona famiglia. Quando s’innamorò della zia Carla a nonna Agnese non parve vero. I suoi di lui ostacolarono non poco quel matrimonio. La nostra famiglia non aveva niente tranne la terra secca che si ostinava a coltivare e i suoi erano abbastanza ricchi da pretendere un matrimonio migliore per il loro unico figlio maschio. Ma il loro amore ebbe la meglio. In famiglia si dice che in poco tempo la zia Carla si trasformò in una borghese. Divenne sprezzante, altezzosa, arrogante coi suoi e con quelli della sua razza. Quando l’allora Stipel offrì allo zio Ernesto un posto da dirigente a Pisa, la zia Carla si trasferì in un baleno. Comprarono una villetta fuori città. Lei ebbe una pelliccia, dei gioielli, una vacanza l’anno in un posto di mare. Veniva ogni tanto a Torino a trovare mia madre. Di lei ho dei vaghi ricordi; io ero piccolo allora. Mi ricordo che arrivava con una vassoio di petit four, avvolto in una carta argentata, “dalla migliore pasticceria di Pisa”, diceva. Per la zia Carla tutto doveva essere di prima qualità. Mia madre cucinava per tre giorni di fila, viveva nell’ansia e nella trepidazione per tutto il tempo che la zia Carla si fermava da noi, non aveva più una vita sua. Una volta la sentii mentire e ci rimasi molto male, Mia madre non aveva mai mentito prima di allora. La zia fece notare a mia madre quanto la carne che aveva acquistato per  il bollito fosse dura, e lei, per tutta risposta, commentò dicendo quanto fosse strano, giacché  il suo macellaio di fiducia ci dava solo bocconi di prima scelta. Provai una pena infinita. Per noi, per mio padre, per la nostra condizioni di poveri, ma provai pena soprattutto per lei, costretta a dire una pietosa bugia per coprire qualcosa di cui si vergognava profondamente , qualcosa che era assolutamente sotto gli occhi di tutti, zia Carla compresa. La facevamo dormire su di una poltrona a letto in cucina , la zona più calda, che il riscaldamento non ce lo avevamo. La mattina mia madre le preparava il caffè con latte e biscotti, negandolo a noi figli che odiavamo a morte la zia Carla  perché sapeva benissimo che quello che mangiava lei era sottratto a noi. La finzione era paralizzante e letale. Per una settimana tutti facevano finta che la realtà fosse un ‘altra. Tiravo un sospiro di sollievo quando la zia Carla se ne tornava a casa sua, nella città della torre che pende, anche se poi non mangiavo più carne per almeno un mese. Luisa era una donna  già grande quando la conobbi. Insegnava matematica presso un liceo della sua città. Era una donna rinsecchita e ruvida. D’estate capitava che ci trovassimo tutti nella grande casa di nonna Agnese e il mio supplizio incominciava quando Luisa decideva che si sarebbe occupata di me e dei miei compiti delle vacanze. Era un’insegnante Luisa, sul lavoro e nella vita. Mi rimproverava continuamente . Mi diceva di non appoggiare i gomiti sul tavolo, di non tirar su col naso, di non distrarmi, mi richiamava all’attenzione e al dovere di continuo. La sua stessa vita era fatta interamente di doveri. Presto compresi che non era cattiva Luisa, era soltanto sola. Si sgolava  Luisa e mi guardava preoccupata. “che ne sarà in futuro di questo bambino mezzo matto che assomiglia a un selvaggio, di questo bambino appassionato e strambo che sembra sempre chiedere la luna?” Mio padre rideva e mi batteva le sue manone sulle spalle. “ No te preocupar Luisa, che l' tosato xe forte”. Rideva il mio papà. E anche se io non ero poi tanto sicuro di essere così forte, mi sentivo protetto dalle mie paure, dai rimproveri di Luisa e dalla stessa vita quando lui diceva così . Non si è mai sposata Luisa. Si racconta di alcuni spasimanti, si parlava addirittura di un direttore di banca e di un avvocato, entrambi intenzionati a  impalmarla. Gli anni passavano e la pazienza degli spasimanti pure. Alla morte dei genitori Luisa si trovò sola nella grande villa alle porte della città con la torre che pende. Qualche anno dopo andò in pensione. L’ultima volta che la vidi fu al funerale di mio padre. Era la stessa di tanti anni fa, ma con gli spigoli smussati e meno ruvidi. Per l’occasione rispolverò perfino il suo dialetto trevigiano-lei che aveva sempre sostenuto che il veneto è la lingua dei bifolchi-, abbracciò mia madre e rimase di fianco al feretro come imbambolata per tutto il tempo. Mi fece tenerezza Luisa. Tenerezza e quasi pena. Lo zittellume e il mostro strettamente legati. E una vagina secca e chiusa, una vagina che a forza di essere ignorata è come se non esistesse e che gridava così forte da questa sua quasi non-esistenza che il suo urlo angosciato avrebbe potuto sconquassare l’universo, una vagina che ha atteso invano un San Giorgio che non ha  saputo ascoltare questo grido disperato e muto che nasceva dal suo vuoto scuro e intatto, un San Giorgio indolente e molle, che non ha saputo liberarla da quel brutto incantesimo durato troppi anni, tutta una vita. E mentre ascolto la voce di mia madre che mi dice della morte di Luisa, mia madre che prefigura e organizza come un generale spedizioni di famiglia nelle città della torre che pende, una madre che ha già chiamato parenti ed amici in tutto il Veneto e che è adesso  sommersa dalla valanga inesorabile delle memorie, visibilmente e comprensibilmente commossa, io mi ricordo con grandissima pena, con enorme disprezzo, con così profonda tenerezza della mia vergine adusta, che  mi voleva angelo o demonio, in una lotta costante tra il mio angelo e il mio demone privati, prossimo ai più alti o ai più sordidi destini e mi chiedo che cosa direbbe se sapesse che la vita, dopo mille giravolte, mi ha portato fin qui.http://it.youtube.com/watch?v=4TQmwLV_r1U