La notte dell’ultimo dell’anno l’abbiamo passata a casa di Rahim. Nevicava piano a Kabul. Il cielo era scuro, cupo, perfino la neve illuminava pochissimo. La sera prima eravamo stati invitati al quartier generale degli addetti stampa per gli auguri di rito. Ho resistito per mezz’ora, poi ho dovuto andarmene in fretta con Alonso. Non avevamo niente da fare là. Niente da dire. I pensieri mi morivano nel cervello. L’aria era mefitica. Era come ai tempi del King David Hotel a Gerusalemme: potevo resistere quelle facce, quei discorsi, quella gente solo dopo aver bevuto molto. Ora che ho smesso di bere non resisto più. Ricordo un deficiente di giornalista di un noto quotidiano italiano di destra. Fra tanti decerebrati del settore era il peggiore. Si aggirava per la città con la sua fodera Boggi-Milano con dentro il suo completo firmato. Credo che andasse anche a puttane nella parte est della città, lo stronzo. Diceva che le arabe hanno un fica stretta e umida che le italiane se la sognano. Aveva una faccia che faceva paura. “Lei non farà mai carriera” mi disse una volta, dopo che lo avevo mandato a prenderselo nel culo quando mi aveva chiesto di vendergli una foto. Era un gran figlio di puttana quello. Però aveva ragione riguardo la mia carriera. Il quartier generale della stampa è un luogo che trabocca di figli di puttana, in effetti. Ci ero andato solo per vedere se trovavo Chen Fen. Ci eravamo sentiti prima della mia partenza. “Passo anch’io per Kabul, Alex. Ci si vede da quelle parti” mi aveva detto Chen quella sera. Dopo Amman lo scorso aprile non l’avevo più rivista. Trovo Jimmy del Post, totalmente ubricaco. E’ simpatico Jimmy. E’ canadese e fotografa la guerra come pochi altri sanno fare al mondo. Ci abbracciamo stretti. “ Che cazzo ci fai in questo posto di merda Alex?” Rido e gli stampo un bacio sulla guancia. “ Parlo di questo di posto, Alex, mica di Kabul” dice lui barcollando. “ Cerco Chen, mi ha detto che sarebbe stata in città in questi giorni” gli dico reggendolo sotto le ascelle. “ Se ce la faccio a rimettermi in piedi ci vediamo domani da Rhaim. Ci sarà anche lei” Mi sento subito meglio. “ Immagino che a voi non ve ne freghi un cazzo di strappare l’intervista ai talebani. Sembra che tutti siano qui solo per questo. Che ti dicono i tuoi informatori?” Poi si mette a ridere forte e mi batte le mani sulle spalle. “Scherzo Alex, lo so come procedete voi. Che fai a Kabul in questi giorni? A cosa stai lavorando?” Lo faccio sedere su di una sedia mezza sgangherata. “ Vorrei fare delle foto alla gente, ai bambini, ai feriti dalle bombe” gli dico io piano. “Insomma, sempre le solite cose. Vedi Alex, in questa sala, su cento e passa persone, saremmo sì e no in tre o quattro a fare ancora le stesse cose dopo vent’anni. Gli unici che non hanno la villa al mare, te ne rendi conto?” Ride ancora. “ Vecchio mio, ma lo vedi come si sono ridotti tutti? Che porcheria! Viva l’utopia, Alex mio,viva l’utopia!” La sera dopo ci riabbracciamo da Rahim. Chen è venuta con il suo amico Bashir, un afhgano dagli occhi chiari e dolcissimi, medico presso l’unico ospedale pediatrico della città. Chen è bella come sempre. Fiera e bellissima con il suo sguardo d’oriente. “ Ho due regali per te, mio bel moretto” mi dice appoggiandomi le mai sul sedere. La guardo sorpreso. “ Il primo riguarda il lavoro: ho convinto Bashir a prenderti con lui in ospedale per un’ intera settimana. Farai le pulizie, che di certo non potresti fare il medico o l’infermiere. Vedrai che belle cose che ti aspettano. Era quello che volevi no? Guarda Alex, non mi fiderei di nessun altro, ma so che tu non sei uno dallo scatto facile e che le foto che farai avranno uno scopo. Contento?” La bacio sulla bocca rossa come il corallo. "Sempre detto io che i gay sono i migliori! Che peccato! “ Ridiamo insieme “ E il secondo regalo?” chiedo io. Chen armeggia nella sua borsetta di seta cinese. “Ecco” dice lei brandendo un telefono satellitare da due quintali. “ E’ un po’ antico, ma funziona. Serve per chiamare il tuo amore a casa. Se no a cosa ci stanno a fare gli amici?” Sono senza parole “ Non mi merito un altro bacio?” Rahim e gli altri prendono a fischiarci attorno, felici. Sul tardi chiamo Davide a casa. La sua voce mi giunge lontana, ma è lui. Lui e nessun altro al mondo. “Sta nevicando” mi dice “ Anche qui” gli dico “ Ti amo come dieci anni fa, nello stesso identico modo. Di più, Alex, di più.” Mi vengono le lacrime agli occhi “ Sei tutto quello che desidero, Davide. Sei tu e nessun altro” “Dimmi come mi ami, Alex” “ Al di là delle forze. Al di là della vita” “Stai molto attento ” “ Lo farò”. Per una settimana pulisco i pavimenti dell’ospedale con l’ ammoniaca che mi brucia gli occhi. Ho conosciuto tante persone. Ho visto madri svenire dal dolore davanti ai loro bambini mutilati giunti in corsia dopo esser saltati su di una mina. Ho visto bimbi piangere dal male e dallo spavento. Ho visto la vita scorrere via come acqua sporca. Ho visto la paura. E la soffernza. E la frustrazione. E l'assurdità del tutto. Ho fatto alcune foto. Le mie, quelle di sempre. La sera cadeva morbida su Kabul. Chen, nel salotto di Rahim, ci raccontava ogni notte antiche favole cinesi. E, a volte, cantava.http://it.youtube.com/watch?v=pDjQRgoOcpk
Post N° 578
La notte dell’ultimo dell’anno l’abbiamo passata a casa di Rahim. Nevicava piano a Kabul. Il cielo era scuro, cupo, perfino la neve illuminava pochissimo. La sera prima eravamo stati invitati al quartier generale degli addetti stampa per gli auguri di rito. Ho resistito per mezz’ora, poi ho dovuto andarmene in fretta con Alonso. Non avevamo niente da fare là. Niente da dire. I pensieri mi morivano nel cervello. L’aria era mefitica. Era come ai tempi del King David Hotel a Gerusalemme: potevo resistere quelle facce, quei discorsi, quella gente solo dopo aver bevuto molto. Ora che ho smesso di bere non resisto più. Ricordo un deficiente di giornalista di un noto quotidiano italiano di destra. Fra tanti decerebrati del settore era il peggiore. Si aggirava per la città con la sua fodera Boggi-Milano con dentro il suo completo firmato. Credo che andasse anche a puttane nella parte est della città, lo stronzo. Diceva che le arabe hanno un fica stretta e umida che le italiane se la sognano. Aveva una faccia che faceva paura. “Lei non farà mai carriera” mi disse una volta, dopo che lo avevo mandato a prenderselo nel culo quando mi aveva chiesto di vendergli una foto. Era un gran figlio di puttana quello. Però aveva ragione riguardo la mia carriera. Il quartier generale della stampa è un luogo che trabocca di figli di puttana, in effetti. Ci ero andato solo per vedere se trovavo Chen Fen. Ci eravamo sentiti prima della mia partenza. “Passo anch’io per Kabul, Alex. Ci si vede da quelle parti” mi aveva detto Chen quella sera. Dopo Amman lo scorso aprile non l’avevo più rivista. Trovo Jimmy del Post, totalmente ubricaco. E’ simpatico Jimmy. E’ canadese e fotografa la guerra come pochi altri sanno fare al mondo. Ci abbracciamo stretti. “ Che cazzo ci fai in questo posto di merda Alex?” Rido e gli stampo un bacio sulla guancia. “ Parlo di questo di posto, Alex, mica di Kabul” dice lui barcollando. “ Cerco Chen, mi ha detto che sarebbe stata in città in questi giorni” gli dico reggendolo sotto le ascelle. “ Se ce la faccio a rimettermi in piedi ci vediamo domani da Rhaim. Ci sarà anche lei” Mi sento subito meglio. “ Immagino che a voi non ve ne freghi un cazzo di strappare l’intervista ai talebani. Sembra che tutti siano qui solo per questo. Che ti dicono i tuoi informatori?” Poi si mette a ridere forte e mi batte le mani sulle spalle. “Scherzo Alex, lo so come procedete voi. Che fai a Kabul in questi giorni? A cosa stai lavorando?” Lo faccio sedere su di una sedia mezza sgangherata. “ Vorrei fare delle foto alla gente, ai bambini, ai feriti dalle bombe” gli dico io piano. “Insomma, sempre le solite cose. Vedi Alex, in questa sala, su cento e passa persone, saremmo sì e no in tre o quattro a fare ancora le stesse cose dopo vent’anni. Gli unici che non hanno la villa al mare, te ne rendi conto?” Ride ancora. “ Vecchio mio, ma lo vedi come si sono ridotti tutti? Che porcheria! Viva l’utopia, Alex mio,viva l’utopia!” La sera dopo ci riabbracciamo da Rahim. Chen è venuta con il suo amico Bashir, un afhgano dagli occhi chiari e dolcissimi, medico presso l’unico ospedale pediatrico della città. Chen è bella come sempre. Fiera e bellissima con il suo sguardo d’oriente. “ Ho due regali per te, mio bel moretto” mi dice appoggiandomi le mai sul sedere. La guardo sorpreso. “ Il primo riguarda il lavoro: ho convinto Bashir a prenderti con lui in ospedale per un’ intera settimana. Farai le pulizie, che di certo non potresti fare il medico o l’infermiere. Vedrai che belle cose che ti aspettano. Era quello che volevi no? Guarda Alex, non mi fiderei di nessun altro, ma so che tu non sei uno dallo scatto facile e che le foto che farai avranno uno scopo. Contento?” La bacio sulla bocca rossa come il corallo. "Sempre detto io che i gay sono i migliori! Che peccato! “ Ridiamo insieme “ E il secondo regalo?” chiedo io. Chen armeggia nella sua borsetta di seta cinese. “Ecco” dice lei brandendo un telefono satellitare da due quintali. “ E’ un po’ antico, ma funziona. Serve per chiamare il tuo amore a casa. Se no a cosa ci stanno a fare gli amici?” Sono senza parole “ Non mi merito un altro bacio?” Rahim e gli altri prendono a fischiarci attorno, felici. Sul tardi chiamo Davide a casa. La sua voce mi giunge lontana, ma è lui. Lui e nessun altro al mondo. “Sta nevicando” mi dice “ Anche qui” gli dico “ Ti amo come dieci anni fa, nello stesso identico modo. Di più, Alex, di più.” Mi vengono le lacrime agli occhi “ Sei tutto quello che desidero, Davide. Sei tu e nessun altro” “Dimmi come mi ami, Alex” “ Al di là delle forze. Al di là della vita” “Stai molto attento ” “ Lo farò”. Per una settimana pulisco i pavimenti dell’ospedale con l’ ammoniaca che mi brucia gli occhi. Ho conosciuto tante persone. Ho visto madri svenire dal dolore davanti ai loro bambini mutilati giunti in corsia dopo esser saltati su di una mina. Ho visto bimbi piangere dal male e dallo spavento. Ho visto la vita scorrere via come acqua sporca. Ho visto la paura. E la soffernza. E la frustrazione. E l'assurdità del tutto. Ho fatto alcune foto. Le mie, quelle di sempre. La sera cadeva morbida su Kabul. Chen, nel salotto di Rahim, ci raccontava ogni notte antiche favole cinesi. E, a volte, cantava.http://it.youtube.com/watch?v=pDjQRgoOcpk