Arrancame la vida!

Post N° 579


Non ho più troppa voglia di scrivere della guerra ormai. Le parole dopo un po’ mi stancano, tutte le parole, soprattutto quelle gridate. E più la situazione appare senza via di uscita più il linguaggio che la descrive s’impoverisce. Ciò che rimane, alla fine, sono i soliti ripetuti scambi  di accuse fra i nemici o fra avversari politici. Rimangono i clichè con cui descriviamo i cattivi e noi stessi; in altre parole un’accozzaglia di pregiudizi, di paure e generalizzazioni  volgari in cui imprigioniamo noi e gli altri. Noi e l’altro. Siamo distanti mille anni luce da un pace vera perché non sappiamo rinunciare a noi stessi, ai nostri privilegi, al nostro denaro, al nostro essere primi e assoluti. La parola pace è entrata ormai a far parte di un linguaggio che ne ha banalizzato l’essenza stessa e la sua sostanza. Tutti vorrebbero che la pace la facessero gli altri, infatti. Tanti anni fa lessi un’intervista alla Ginzburg dove  lei diceva che l’uomo era una bestia e che non ci sarebbe mai stata pace possibile. Ricordo che allora pensai che l’anziana scrittrice avesse torto e che le sue affermazioni fossero soltanto dettate dall’umor nero del momento. Oggi , dopo aver visto tante guerre, comprendo che aveva ragione. Non vedo soluzione possibile, infatti. E pensare che in fondo è così semplice. Il fatto è che pensiamo solo a noi stessi e l’altro, dopo tutto, non esiste. Le immagini della guerra giungono nelle nostre case mentre pranziamo, ceniamo, facciamo conversazione e ci scivolano sopra come se non esistessero neppure. Fin che la cosa non ci tocca direttamente la realtà non ci turba nemmeno. Finchè accade all’altro è come se non ci fosse per niente. Siamo come schizofrenici, capaci solo di vedere una realtà parziale e deforme. Le parole mi hanno stufato. Ne ho sentite così tante, la maggior parte a vuoto. Continuo a fotografare invece. Io fotografo. E sento che la sensibilità e l’intimità che ho con il mio strumento, con l’anima che la fotografia possiede,con la vita che riesco a catturare mi riportano a quello che ero, a me stesso, prima che questo io fosse ridotto al silenzio dalla tragedia. Io fotografo. Do alle cose nomi propri e personali,le faccio mie e così facendo mi riapproprio della vita. Fotografo il dolore e sono io il dolore in quel momento. Più volte al giorno tocco il dolore, il vuoto, la perdita e tuttavia rimango vivo, come per miracolo. Chi fa il mio mestiere conosce spesso momenti di sconforto e di scarsissima autostima. E’ un lavoro che ti porta costantemente ad essere consapevole dei tuoi infiniti limiti, sia come uomo che, eventualmente, come artista, ammesso che si possa definire tale chi fa il mestiere del reporter. Eppure è una cosa meravigliosa  l’alchimia che si crea. In un certo senso è la stessa cosa che accade con la musica. Un tempo fotografavo tutto. Era come un esercizio. Oggi faccio pochissime foto e ci impiego un sacco di tempo. Ho dei grossi limiti. Non riesco a fare i ritratti, ad esempio. Non riesco a farli in posa, per lo meno, o a comando. Per fare un ritratto devo conoscere la persona, le sue luci e le sue ombre, le sue radici, i suoi percorsi, devo volerle bene, in un certo senso. E’ un lavoro molto estenuante, dunque, estenuante e molto delicato. Ho smesso anche di fotografare i paesaggi. Oggi mi capita di osservare alcune cose che avevo fatto in passato e di pensare che siano nient’altro che cartoline. Per questi motivi non potrei mai fare il fotografo. Ho sempre avuto l’immensa fortuna di non dover vendere il mio lavoro come se fossi un commerciante. Questo è un grosso privilegio e aiuta. Avendo sempre lavorato per dei quotidiani sono stato esentato dal dovermi vendere. In realtà ho avuto anche delle occasioni in cui avrei potuto fare un sacco di soldi. Non le rimpiango mai però. Non credo di essere speciale in nessun senso. Anche questo mi ha aiutato molto nel mio mestiere e continua a sostenermi. E’ così facile cedere alla tentazione di sentirsi simili agli dei! Se ho imparato qualcosa in tutti questi anni questo qualcosa è la compassione. Null’altro.  A volte ho come l’impressione di non aver combinato nulla. Una foto di guerra ha senso solo se suscita compassione e se dalla compassione si passa alla riflessione e dalla riflessione alle azioni di pace. Altrimenti non ho scopo di esistere. Non è come un bel paesaggio, è un’altra cosa. Mi domando, a volte, se tutto questo sia mai servito a qualcosa.http://it.youtube.com/watch?v=EAPWY0DGYGo&feature=relatedJust let the sun