Arrancame la vida!

Post N° 675


Così sei morto martedì, in un appiccicoso pomeriggio di uno schifosissimo luglio. La notizia ci è arrivata solo stamattina da Gianna. Non ho detto niente a Davide. Per una volta, almeno nel giorno del suo compleanno, ho voluto essere volutamente leggero.  Non mi ero mai accorto che bevessi così tanto Fulvio. Non me n’ero accorto. Ed è strano per uno come me che riconosce un alcolista ad un miglio di distanza nella frazione di mezzo secondo. Forse perché ultimamente avevamo perso un poco i contatti e ci vedevamo di meno.  Mi ricordo quando venivo a prenderti a Palazzo Nuovo, talvolta, dopo che avevi finito di fare lezione. Ci spingevamo a piedi sul lungo Po e passeggiavamo insieme. Tu mi parlavi di una Torino che io odiavo, con tutti quei viali dai nomi di re e regine che ho sempre confuso, un posto tetro e lontano che non ho mai potuto sentire come mio. Finiva sempre che mi davi ragione pur di farmi tacere. Eravamo un po’ più che compagni di viaggio noi due. Non parlavamo molto, ma condividevamo un percorso intellettuale e  talvolta lezioso che ci faceva incrociare nei teatri dove si tenevano  concerti e proiezioni, nei luoghi dove si tenevano le mostre, presso qualche circolo della città che io frequentavo poco, restio come sono sempre stato a  svolgere qualsiasi ruolo attivo in questa città di nani senza primavera. Gianna ha detto che tutti sono caduti dalle nuvole quando hanno saputo che sei morto di cirrosi. Fino ad un certo punto si preferisce veder morire la gente piuttosto che intervenire. L’ho sperimentato su di me, quindi lo capisco. Ho odiato Gianna e i tuoi colleghi tutti. Mi domando come nessuno abbia potuto accorgersi della fatica che facevi per vivere, per tirare avanti un giorno dopo l’altro, per non cadere, la fatica che facevi per parlare, per tenerti in piedi. Non parlo dei tuoi allievi- dopo tutto è innocente la primissima gioventù nella sua spensierata incoscienza e stupidità gratuite-quanto degli adulti che ti circondavano. Io li odio. Odio anche me stesso per non aver intuito e non essere intervenuto in  tempo. Ma stasera odio soprattutto te, Fulvio, per esserti arreso così facilmente alla vita, per aver gettato la spugna così presto, per aver detto basta quando ancora ce n’era di tempo per morire. Ti odio perché non sei stato capace di chiedere aiuto, ti odio perché hai avuto paura di far vedere  chi eri veramente. Ti  odio perché hai ammazzato te stesso e  con te tutti i tuoi sogni. Ti odio perché hai rinunciato ai viaggi che volevi fare e alla vita che avevi sognato. Ti odio perché non sei stato capace di avere coraggio, di mollare tutto e voltare pagina, di mandare affanculo  tutti e cambiare il copione. Ti odio perché mentre dissertavi dotto sulla vita e sul mondo in realtà soffrivi come un cane e non lo davi a vedere. Ti odio perché hai fatto in modo che l’alcol l’avesse vinta ancora e si portasse via un altro di noi. Ti odio perché hai ceduto. Ti odio perché non hai creduto in te stesso. Ti odio per la tua sensibilità gestita male. Ti odio perchè mi assomigliavi.Ti odio perché non mi hai detto niente, che ti avrei portato di peso al Sert e legato al letto pur di  vederti ancora vivo. Ti odio perché potevi almeno aspettare ancora un poco e vedere come andava a finire il film anziché andartene nel bel mezzo della proiezione, quando non eravamo nemmeno arrivati a metà. Ti odio perché non  sei stato capace di fidarti di te stesso e degli altri. Ti odio perché nonostante le tue lauree e tutta la tua cultura, non hai compreso che forse i cattivi non erano necessariamente gli altri e che comunque, anche se lo fossero stati, questi non avevano il minimo potere su di te. Ti odio perché non sei stato capace di sganciarti da una madre opprimente e ossessiva. Ti odio perché non sei stato grande abbastanza da far vedere ai tuoi allievi che la vita è sì un cumulo di miserie senza fine, ma che talvolta, pochissime volte, può  trasformarsi in qualcosa di mirabile e perfino geniale. Ti odio perché adesso ci lasci tutti un po’ più vulnerabili e un po’ più soli. Ti odio perché avresti potuto fare della tua vita un capolavoro e invece ti sei tirato indietro troppo presto. Ti odio perché so quanto ti deve essere costato arrivare alla fine. Ti odio perché conosco le strade e tutti i percorsi. Ti odio perché hai tradito te stesso e chi credeva in te. Ti odio perché non tornerai mai più indietro. Ti odio perché hai voluto fare tutto da solo in questa battaglia impari  che hai deciso di giocare contro  te stesso e contro la morte, mentre ti gettavi di schiena sul tuo letto e chiudevi gli occhi su di un pomeriggio schifoso di luglio di questa città di nani, senza darmi la minima possibilità di entrare nel gioco, qualche pedina per la partita, una sola misera  fiche, qualche dritta. Soprattutto senza offrirci la minima possibilità di capire. Ti odio, Fulvio, amico mio. Ti odio davvero stasera, povero amico.