Arrancame la vida!

Post N° 705


E continuando a  parlare di finocchie e dintorni spesso mi viene chiesto perchè noi, i maschietti omosessuali, coltiviamo nei nostri cuori di tenere fanciulle questa passione sfrenata per la lirica. Da un certo punto di vista è vero. L'opera ci appasiona, ci appassiona il bel canto. Non è uno stereotipo, in un certo senso. E' la verita. Per quel che mi riguarda, di solito, mi lascio coinvolgere di più da un sano rock o da certi cantautori, quelli che, una volta, si chiamavano "impegnati", ma ammetto che ascoltare un'opera in un teatro, sopratuttto quando i cantanti sono degni di questo nome, mi provoca forti emozioni. Credo sia l'atmosfera suscitata dalla scenografia, dal palcoscenico, dalle luci e dai costumi a coinvolgermi. E sicuramente la voce, soprattutto quella del soprano. Chi di noi, finocchie d'altri tempi, non ha sognato di essere Maria Callas per una sera, con tutta la drammaticità del testo del libretto cantato e la sua vita appesa a un filo, così tormentata e pur terribilmente interessante? Nessuna importanza se la maggior parte delle opere liriche parlano di vicende in realtà alquanto improbabili nella vita reale, anzi, alle volte è proprio questo aspetto ad affascinare noi, le tenere finocchie sognatrici. Va da sè che sto parlando di finocchie quarantenni. Oggi le finocchie giovani e scellerate hanno miti ben diversi da quelli che avevamo noi. Anche questo segno dei tempi, ahimè. Le cosidette icone gay del momento, Simona Ventura, Tom Ford, Madonna, per non parlare di quelle due scriteriate di D&G, rappresentano l'evidente successo in termini economici: in quanto ricchissime sono diventate un mito. A parte il fatto che non andrei ad un concerto di Madonnna neanche se si tenesse nel cortile di casa mia, mi pare chiara la differenza che c'è fra la Ciccone e Maria Callas. Volgare manager di se stessa la prima, volgare come questi tempi che viviamo, elegante, altera e pur terribilmente tenera e vulnerabile la seconda. Certo, anche Maria non si può dire che fosse povera, ma vuoi mettere la classe? E poi il tormento, la vita vissuta, i tradimenti d'amore, la sofferenza. Non è che noi finocchie quarantenni ci teniamo tanto alla sofferenza, questo no, questo mai, ma la vita della Callas è stata senz'altro più vicina al nostro vissuto di quanto lo possa essere  quella della Regina dell'Isola del "Famosi". Insomma, i miti di noi finocchie sui quaranta sono persone che sapevano davvero fare qualcosa, mica come la Carla Sarkosy che non ha fatto altro che nascere o la pescivedola di Fossano ( quella che non pettina le bambole ma "lavora" fino a 20 ore al giorno!) che da un Olimpo di cartapesta si crede onnipotente! Devo dire che il mio approccio alla lirica è stato graduale però, mica un colpo di fulmine. Nonna Agnese amava la lirica e faceva girare dei 48 giri (di nascosto a mio nonno che considerava inutile tutto quello che esulava dai lavori dei campi) che diffondevano nella grande cascina alle porte di Treviso delle note armoniose, a volte drammatiche, miste a parole che non comprendevo mai appieno, ma che suscitavano in me una grande curiosità e sicuramente una grande ammirazione per quelle donne che possedevano voci da usignolo capaci di toccare note altissime, molto diverse da quelle che ero abituato a sentire alla radio o nelle feste di balera nei paesi della Marca. Poi venne il periodo del pop, poi quello del rock, della canzone cosiddetta impegnata, della canzone politica e la mia curiosità di bambino per la lirica venne sepolta  e là rimase per molti anni. Finchè non arrivò Davide. Ho sempre amato la musica di mio, ma certo l'incontro con lui fa determinante. Lui mi insegnò a capire le partiture, a compredere i testi, a distinguere un movimento da un altro. La musica scorreva nelle mie vene, ma ero come un analfabeta del suono: capivo la melodia ma non comprendevo l'origine, la formazione. Un musicista è come un scienziato, in fondo: smonta e rimonta una partitura milioni di volte, l'analizza al miscoscopio, la frammenta e poi la ricompone con armonia. Fu un po' quello che accadde con la mia professoressa di scienze al liceo ( un genio): dopo di lei incominciai a guardare le stelle in un modo diverso. Il cielo stellato perse ogni inutile romanticismo e assunse le proporzioni di una curiosità analitica e scientifica che ancora oggi mi affascina. Così come fu con la fisica e con l'ottica. Molti di queli che noi chiamiamo rivelazioni o visioni non sono altro che effetti ottici e proiezioni della nostra mente spiegabili scientificamente. Ecco, con la musica fu così. Davide mi aprì un mondo che non conoscevo. Per questo adesso, oltre che al testo, bado molto all'armonia e alla partitura di qualunque pezzo, anche delle canzonette. Non fu sempre così dicevo. Abituato com'ero ai nostri circoli fumosi e ai bar di quart'oridine dove ci trovavamo di solito con gli amici, non fu automatico trovarmi seduto nelle portrone del Regio, alla Scala o alla Fenice. Ci sono stati anche degli episodi comici, nel lento trascorrere della mia formazione musicale. La prima volta che Davide mi portò ufficialmente a teatro ( lui suonava Shubert ) feci uno degli errori peggiori che qualsiasi spettatore potesse fare, applaudii fuori tempo. C'era uno stacco nella partitura del pianoforte e a me, in quel momento, emozionato com'ero, partì l'applauso. Mi trovavo nelle poltrone delle prime file e, oltre al disprezzo assoluto di chi mi stava vicino, colsi negli occhi di Davide un odio feroce. I suoi occhi trasparenti mi oltrepassarono come  un dardo infuocato e non ebbi più il coraggio di battere le mani, neanche a concerto concluso. A casa, il giorno dopo, lui mi prese da parte e incominciò, con pazienza, ad insegnarmi la musica. Un'altra bella prova del suo amore per me.