Petali di parole

Compagna di scuola (per Maria)


Stamattina mi sono svegliata presto. Doccia, trucco, parrucco, università [alle volte è davvero vergognosa la quantità di tempo che si impiega a rendersi più simile ad un essere umano che ad uno zombi]. Fare tutto questo mi ricorda i tempi delle superiori, quando dovevo svegliarmi presto, prendere un autobus e farmi almeno un quatro d'ora di strada a piedi per arrivare a scuola. Sono sempre stata una ragazza di periferia.Allora arrivavo già angosciata per qualche interrogazione incombente, e la frase classica era del tipo: "Non so niente", che se per un'esercitazione di filosofia socratica sarebbe andata anche bene, poco si accordava con lo spirito della prof. di matematica. E poi c'erano le lezioni del prof. M. e del prof. D.I. Io e Maria vicine di banco, ad ascoltare e impregnarci lo spirito e la vita di scienze sociali, tanto da avere difficoltà ancora adesso a vedere i nostri rapporti al di là di spiegazioni psico-sociologiche. Oggi ho inziato a studiare per il primo esame della specialistica, Sociologia. E ancora Comte, Marx, Weber, Durkheim e compagnia bella. Il pensiero è volato sulle pagine come sul tempo e mi sono ritrovata seduta ad un banco dell'ultima fila, Maria accanto a me, a conversare sul senso della vita su un foglio strappato a qualche quaderno che è stato scritto sempre troppo poco. Mi sono trovata a ridere come una matta, e un po' il cuore lacrimava, al pensiero che non avrei più scritto il suo nome sul mio compito di storia, copiato spudoratamente (fino alla firma...) da lei. E di nuovo alzavo gli occhi al cielo per l'ennesima interrogazione del prof. M., che paradossalmente, per evitare una delle mie frequenti assenze, mi interrogava "due giorni sì e due pure".  E così le ore trascorse in un pomeriggio su una pagina di Heiddeger, sull' Abbagnano-Fonero. O il tè coi biscotti, o il gelato, a seconda delle stagioni. E fare le lucertole al sole, durante la ricreazione. E sorridere della stupidità di qualche compagna di classe e ritenerci fiere e orgogliose dei nostri cervelli bene allenati alla speculazione, dopo ore e ore di conversazioni esistenzialistico-metafisiche. E il coraggio della propria opinione, il coraggio di una solitudine scelta, per non cadere in compromessi e la coerenza e l'integrità come valori, e i visi giovani ed il fondotinta per coprire le "imperfezioni", e il cellulare nascosto nell'astuccio delle penne, e le penne profumate, e le irruzioni in profumeria, e le lezioni saltate, la paura del giorno dopo. Il compito in classe di latino e il "ma che cacchio è il gerundivo?" e i "... dunque f di x uguale a ..? Boh!". Fragorose risate soffocate, musica ascoltata di nascosto. Sguardi complici ad ogni canzone "saliente (vedi il concetto di salienza) o pregnante (vedi il concetto di pregnanza). Ma lo sai che 'pregnant' in Inglese vuol dire 'incinta'? L'ho sempre detto io che gli Inglesi sono ad un altro livello!". E sognare viaggi, conoscenze, gruppi di lettura e amici, amici veri, con cui poter condividere interessi e sentimenti, e non "quelle quattro oche sgallettate che ascoltano i bsb e si vtb e porca miseria perche non esplodono tutte e ci lasciano capire un po' meglio che cosa pensa Arturo Schopenhauer del linguaggio?". Leggevo del conflitto sociale e della società organica o meccanica e ricordavo le movenze e i gesti del prof. D.I. e di Maria che lo adorava e io che le dicevo:" Sembra Alberto Angela!" e lei "Ma io voglio sposare Alberto Angela! E anche Piero, se è possibile!!". E le risatine e i musi lunghi, e i vaaquelpaese a qualche professore troppo rompiscatole. E il sacrificio per la massa, andare volontario all'interrogazione di diritto e prendere 5 perchè tutti gli altri non prendessero un impreparato. E i cartelli dall'ultima fila all'indirizzo dell'agnello sacrificale, e il sorriso che ho stampato sul viso nel raccontare queste cose. Il righello, la matita, l'evidenziatore, l'appuntamatite. Tutto in fila, perfettamente in ordine, sul banco. Su quello di allora e su quello di oggi. Mi manchi tanto, amica mia.