La Ciaci

guarda che luna...


 
Un amico mi ha consigliato di guardare la luna stasera. L'ho fatto. D'istinto ho preso il cellulare e l'ho fotografata. Era così bella. Arancione. Lontana. Nella foto sembra ancora più lontana e irraggiungibile. Sono rimasta quasi delusa. Anzi delusa. Avrei voluto fissarne l'immagine. Imprimerla nella mente e nel cuore. Mi voglio comprare una macchina fotografica seria. Adoro fotografare. Le fotografie sono la memoria, la mia memoria, ché quella della testa fa difetto. Ricorda poco e male. Capisce poco e male, questa testa. Sarà bacata. Sarà dotata di filtri. Magari fossero filtri anti-sofferenza. Mi sembrano invece filtri anti-vita. Anti-voglia di cambiare veramente le cose. Il pomeriggio era assolato. Il cielo terso. Faceva caldo, ma non c'era afa.Il cemento bianco davanti la casa era bollente. Una sedia nera. Un pozzo. Un giardino da finire. Intorno i campi di mais ancora giovani, poi campi di colza secca, qualche albero e un capannone. "Domani arriveranno gli 850 maiali... E ci staranno per 6 mesi..." O forse 8 mesi. Non ricordo. Già rabbrividivo all'idea degli 850 maiali di 50-60 kg. l'uno. Non sono piccoli, quindi non piangono, ma russano e urlano.E prima di morire tirano le zampette. La sedia nera è bollente. L'istinto era d'alzarsi subito. Ma la pigrizia e il peso del caldo han fatto restare la ragazza immobile. Fuma, parla. D'improvviso un'immagine riflessa nella porta a vetri. Una ragazza seduta su una sedia nera sul cemento bianco. No, non è lei. E' solo un'immagine riflessa. Distorta, confusa e cambiata dal tempo. Ma non è lei. Non può essere lei. Lei è diversa. Non è così brutta e grassa. Non ha quel sorriso. Non sono suoi i gesti e i movimenti. Avrei voluto scattare una foto e dirle: "Guardati! Fai qualcosa! Alzati! Non rimanere lì seduta immobile a sopportare il peso!" Ma non l'ho fatto. Non avevo la macchina fotografica. Non avevo la forza. Sono rimasta seduta ad aspettare una distrazione. La porta si è aperta, l'immagine è sparita e la ragazza pure. E io ho ricominciato ad essere chi mi racconto di essere.Certe fotografie nella mia memoria le ho tutte in testa. Quegli attimi di cruda e triste realtà, come i momenti in cui scrivo. In cui fotografo parole descrivendo sensazioni di me. Di me stessa. Di chi sono e chi non vorrei essere nei brevissimi istanti che mi separano da uno stimolo nuovo. Che mi permette di essere chi vorrei essere, per poi stufarmi presto e ritornare immobile sulla sedia nera, bollente su di un piazzale di cemento bianco a specchiarmi in una porta a vetri.