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Post n°393 pubblicato il 10 Agosto 2009 da brec3

 
 
 

cesare ed il ponte sul reno

Post n°392 pubblicato il 10 Agosto 2009 da brec3

XVII. Cesare, per le ragioni che ho ricordato, aveva stabilito di attraversare il Reno; ma giudicava che l'attraversamento con navi, oltre a non essere sufficientemente sicuro, non si addiceva al suo decoro personale né a quello del popolo romano.
Pertanto, nonostante le grandi difficoltà che la costruzione di un ponte comportava, considerata la larghezza, l'impetuosità e la profondità del fiume, tuttavia riteneva di dover affrontare questa sfida, anche a costo di rinunciare a trasferire l'esercito.
Concepì dunque il ponte in questo modo. Piedritti in legno dello spessore di un piede e mezzo, un poco appuntiti all'estremità inferiore e di altezza adeguata alla profondità del fiume, furono collegati a coppie tenendoli distanziati di due piedi.
Questi, calati nel fiume con apposite attrezzature, furono messi in posizione e infissi con battipali, non verticalmente come le comuni palificate, ma inclinati secondo corrente; di fronte ad essi, quaranta piedi a valle, furono disposte coppie di piedritti analoghe, ma inclinate contro corrente.
Tra le opposte coppie di piedritti, in sommità, furono posti in opera trasversi dello spessore di due piedi, pari al distanziamento dei piedritti, e collegati a entrambe le estremità mediante coppie di caviglie; con questi trasversi che le distanziavano e le collegavano contemporaneamente, le strutture acquistavano una rigidezza e un comportamento tale che quanto più aumentava la spinta della corrente tanto più i dispositivi di collegamento si serravano.
Queste strutture furono poi collegate con travi longitudinali, sulle quali fu steso un impalcato di tavolame e graticci; inoltre altri pali obliqui furono infissi dal lato di valle, i quali, con la loro funzione di puntello intelaiato con le altre strutture, contribuivano a sostenere la spinta della corrente; altri pali ancora furono infissi poco a monte del ponte, a difesa da eventuali tronchi d'albero o altri natanti gettati dai nemici, per attutirne l'impatto ed evitare danni al ponte.

XVIII. Nel giro di dieci giorni dall'inizio dell'approvvigionamento dei materiali da costruzione l'esercito potè passare sul ponte.

 
 
 

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Post n°391 pubblicato il 10 Luglio 2009 da brec3

Il Giuramento della Legio Linteata
... nefando sacro mixta hominum pecudumque caede respersus; respersae fando nefandoque sanguine arae ...

La Legio Linteata era un corpo sannita scelto, legato alla divinità, probabilmente Giove, da un giuramento effettuato durante una cerimonia religiosa.
Gli uomini si impegnavano a seguire i propri comandanti senza indietreggiare, uccidendo chiunque si fosse dato alla fuga.
Chi si rifiutava di giurare veniva decapitato e finiva accanto alle vittime del sacrificio poco prima celebrato.
L'esistenza di questo corpo e di questa cerimonia ci viene testimoniata da Livio in occasione della battaglia di Aquilonia nel 293 a.C.
Livio descrive l'accampamento sannita e il recinto coperto di lino dell'ampiezza di circa 200 piedi quadrati scelto per la cerimonia.
Indica il nome del sacerdote officiante, Ovius Paccius, un anziano, e le fasi del rito, il sacrificio, celebrato secondo il rituale di un vecchio testo di lino, e il giuramento. Descrive i più nobili uomini dell'esercito, introdotti nel recinto uno per volta, per giurare.
Tra questi il comandante ne sceglieva dieci, ordinando poi ad ognuno di scegliersi il proprio compagno, fino a raggiungere il numero di 16.000.
E descrive le reclute riluttanti massacrate, macchiare con il proprio sangue gli altri soldati e gli altari.

Ma cosa c'è di vero in questa testimonianza? Analizziamone i particolari...

Il primo problema nasce chiedendosi come abbia fatto Livio a venire a conoscenza di una cerimonia così segreta, macchinoso sembra infatti il suo appellarsi ad uno scritto redatto dal comandante romano in seguito ai racconti di disertori sanniti.
Un'altra difficoltà è il tempo necessario per lo svolgersi di una cerimonia che prevedeva il giuramento di 16.000 uomini, cerimonia che si svolgeva in un accampamento poco prima di una battaglia.
E Livio diventa "prevedibile" nella sua descrizione dell'anziano sacerdote e del libro di lino.
Il nome Ovius Paccius è infatti perfetto, troppo giusto per essere vero, così tipicamente osco da diventare poco convincente, nome che sarebbe venuto in mente ad uno scrittore romano per chiamare un sannita.
Ed uno scrittore romano nel descrivere un sacerdote non avrebbe certo dimenticato il libro sacro, seguendo quella che era una procedura romana normale di lettura ad alta voce di formule liturgiche.
E non deve meravigliare l'uso del lino, testi di lino di carattere religioso erano infatti comuni nell'Italia antica, basta ricordare le fasce della mummia del museo di Zagabria, con il testo etrusco.

Livio ha probabilmente preso il fatto autentico di una forza speciale sannita e lo ha abbellito con dettagli drammatici e macabri per impressionare il lettore.
Particolari come le cerimonie d'iniziazione, il testo di lino e la recita di formule liturgiche sono probabilmente presi dall'uso romano, mentre l'antico libro e il sacerdote, sono modellati sui rituales libri degli Etruschi.


 
 
 

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Post n°390 pubblicato il 14 Giugno 2009 da brec3

 
 
 

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Post n°389 pubblicato il 14 Giugno 2009 da brec3

I Vestiti dei Militari

In questo ambito c’è molta discussione fra gli specialisti poiché nelle steli il legionario è rappresentato in abiti civili (tutti tendono ad esibire con fierezza la toga).

Esiste comunque una tenuta da combattimento, il procintus  (infatti l’espressione "esse in procintu"  tradotta in "essere pronto alla battaglia" o altro, significa semplicemente "essere in tenuta da combattimento); essa è indossata durante le operazioni ma anche dal momento in cui l’esercito è raccolto prima di una spedizione. Per designare questa uniforme alcuni impiegano il sostantivo sagum che indica la casacca dei soldati (parola che poi si trasformerà nel "saio" dei frati).

I soldati portavano una corta tunica di lana, denominata indutus, sopra la quale portavano l'armatura.
i soldati che svernavano in regioni fredde indossavano sotto l'indutus un paio di calzoni o brache aderenti (bracae) che scendevano poco oltre il ginocchio.
Il mantello dei legionari. Di forma generalmente quadrala, era confezionato con lana piuttosto ruvida. Pa indossarlo lo ripiegavano in due sulla diagonale, quindi lo poggia vano sulla spalla sinistra e l'agganciavano sull'altra spalla con una fibula, in modo che il braccio destro rimanesse libero. Il sagum en talvolta usato anche dai cittadini, specie quando dovevano fronte^ giare invasioni nemiche o prendere parte a tumulti interni iCaes^-De Bello Gallico 1, 75; Livius, Epitome 72; Cicero, PhUippica vii:. il).

E’ quasi sicuro che il colore delle tuniche dei soldati e dei centurioni fosse il rosso poiché fu solo con Settimio Severo (193-211 d.C.) che si concesse ai centurioni il diritto di vestirsi di bianco (ablata decursio) e con Gallieno (253-268 d.C.) si estese questo privilegio anche ai soldati.

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/07/2007
 

 
 

 

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Ciao e scusami ^___^ Buona serata! Fabio ^___^
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Ciao, scusami! Vedendo il tuo blog (e siccome nn accetti...
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grazie bluetta del pensiero un abbraccio forte forte ciaoo
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