CINEMA E LIBRI

Class enemy


Rok Bicek non solo ha trovato uno dei nervi più scoperti nel campo dei rapporti sociali del nostro decennio, la sfiducia nelle istituzioni e quindi lo schieramento automatico dalla parte dei singoli. Ma è anche riuscito a girare un film in cui questo è sfrugugliato fino ai limiti del sadismo e della cattiveria, senza mai sconfinarci davvero, per raccontare quel che nessuno racconta mai. Che poi l’abbia fatto a partire dal più scontato dei contesti, il liceo, quello le cui storie sono sempre a senso unico, sempre dalla parte di un soggetto solo, ha del geniale.A scanso di equivoci, Class enemy è un film molto tecnico in cui il regista si nasconde e attraverso un gioco di torti e ragioni, che fa finta di mostrare i fatti per come sono e invece attua il massimo della manipolazione del pensiero dello spettatore con l’obiettivo di dimostrare proprio come molto spesso i meccanismi attraverso i quali ci schieriamo siano sclerotici.Il principio è quello diventato sempre più pervasivo (grazie a Dio!) dopo Una separazione: creare dei poli d’attrazione di torti e ragioni e cambiarne la polarità di continuo, far sì che lo spettatore sia prima attirato da una parte, convinto dalle tesi o dall’atteggiamento di qualcuno e poi invece attirato dall’altra, costretto cioè a cambiare idea.Questa volta per l’appunto più che i fatti (come nei film di Farhadi) sono gli atteggiamenti a tradire una fallacia di ragionamento, perchè nel caso del suicidio di una studentessa il primo degli imputati è un professore duro e inflessibile, che dice le cose come stanno ma soprattutto non è per nulla incline a venire incontro agli studenti, un professore fuori dal tempo che ha una visione del rapporto insegnante/studente da anni ’50: “Una volta gli studenti temevano noi, oggi noi temiamo loro. Non l’hai ancora capito?” gli dice ad un certo punto la preside, che si trova a mediare tra la sua durezza e una possibile rivolta di un gruppo di studenti che hanno motivo d’incolpare lui e i suoi metodi del suicidio della ragazza. Il professore in questione è tedesco e la scuola slovena, chi ha nozioni avanzate di storia e cultura slovena può cogliere ulteriori livelli di lettura in questo, ma anche senza il film funziona alla grande.Ma questo non bastava a Rok Bicek e per essere ancora più duro mette tra gli studenti in rivolta contro il professore “nazista”, anche uno più sensibile a cui è morta la madre da pochissimo, il massimo dell’incontestabile. Fa bene quindi vedere Class enemy, perchè è cinema di testa che non dimentica mai la forma, che sa che sul grande schermo qualsiasi concetto nasce da come si riprende e si monta alla stessa maniera più che da come si scrive o si recita; per questo mette la forma al servizio degli schieramenti, lavora di ambienti stretti e macchina a mano per creare un scontro che non è fisico ma di parola, di logica e che ad un certo punto necessita di un clamoroso superamento del più atavico, banale e radicato dei pregiudizi. C’è una punta della cattiveria di Haneke verso lo spettatore unita all’amore per la forza delle parole dei cineasti degli anni ’60 nell'opera prima di questo ragazzo.