« APPROVATA LA PROPOSTA DI...SEGUE TESTO PROPOSTA DI RIFORMA »

IL TESTO DELLA PROPOSTA DI RIFORMA DELL'ORDINE

Post n°50 pubblicato il 21 Ottobre 2008 da CicoloStampaPollino

DOCUMENTO DI INDIRIZZO PER LA RIFORMA DELL’ORDINE

 

Approvato all’unanimità a Positano Riunione del CNOG del 17/10/2008

  

                                              

 

            L’informazione giornalistica registra ormai da diversi decenni trasformazioni profonde, rapide e continue. I suoi confini sono sempre più indefiniti e l’Ordine dei giornalisti, modellato su una realtà lontana quasi mezzo secolo, incontra molte difficoltà nel governare il cambiamento. Molti operatori dell’informazione lo vivono come una struttura a cui è faticoso accedere, e a volte anche come un ingombro. All’esterno della professione esso appare spesso una corporazione chiusa.

            Il perdurare di questa situazione offre argomenti a chi sostiene che la sua abrogazione sarebbe una misura che liberalizza l’accesso alla professione, mentre al contrario consegnerebbe solo nelle mani degli editori il potere di decidere chi è giornalista e chi no. Diversamente da quanto sostengono gli abrogazionisti, la condizione  difficile dell’informazione in Italia, la sua costante dequalificazione non sono riconducibili alle responsabilità dell’Ordine, bensì a quelle del potere politico, che non ha mai voluto affrontare in questi anni il problema della riforma, né quello di un riassetto organico dell’editoria.

            L’Ordine dei giornalisti rivendica con orgoglio,  pur nelle difficoltà create da norme non più rispondenti alla nuova realtà dell’informazione, l’impegno profuso nella promozione di una cultura dell’informazione, nella tutela dei soggetti deboli,  nel forzare le strettoie dell’accesso, nell’introdurre regole deontologiche più severe. Condizione perché quest’impegno possa dispiegarsi pienamente è una riforma radicale che cambi le regole dell’accesso, consenta una formazione permanente, renda possibile una puntuale e rapida applicazione dei principi deontologici, ridefinisca i meccanismi di selezione della rappresentanza.

 

Nel dettaglio, la legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti, 69/1963, ha compiuto ormai 45 anni. Le impostazioni di principio sono ancora validissime – anzi, si può dire che risultino persino più attuali e importanti oggi – mentre i dettami strutturali e organizzativi richiedono una profonda riforma. Infatti, nel tempo trascorso molte trasformazioni sono avvenute nel campo dell’informazione e dei media (basti pensare ad Internet, fenomeno inedito e largamente rivoluzionario, e al peso della TV come fonte primaria di informazione dei cittadini, quale non poteva essere immaginata all’epoca in cui il legislatore provvedeva a normare la professione giornalistica). Grandi modificazioni sono avvenute anche nella società, e segnatamente nella qualificazione delle attività formative e professionali: su di esse sono intervenute ampiamente le legislazioni nazionale e comunitaria, con riflessi che nel settore del giornalismo sono soltanto indiretti. C’è da sottolineare che le rappresentanze dei giornalisti, in primis proprio quelle dell’Ordine, sollecitano da alcuni lustri un adeguamento normativo. Le legislature si susseguono, ma il Parlamento non è mai riuscito a mettere mano a modifiche di sostanza.

 

Ricordiamo qui che la Corte Costituzionale, a più riprese, ha confermato la legittimità dell’Ordine dei giornalisti, riconoscendo che la legge 69/1963 disciplina esclusivamente il giornalismo come professione, e quindi non limita in nulla l’accesso ai mezzi di informazione come libera espressione del pensiero.

Occorre, infatti, distinguere tra l’informazione e altre libere manifestazioni, come le opinioni e più in generale ogni tipo di espressione. L’informazione, in regime democratico, non soltanto è un diritto, ma anche un dovere. Del diritto sono titolari sia i giornalisti (libertà di stampa) sia i cittadini tutti (diritto di essere informati); il dovere, invece, è in capo ai soli giornalisti, come esplicita la legge Gonella all’art. 2. Dire dunque che l’informazione la fanno i giornalisti, ed essi soltanto, lungi dal configurare una esclusione o una limitazione di diritti di tutti, rappresenta invece una garanzia democratica; e soprattutto non viola in alcun modo l’art. 21 della Carta Costituzionale, dove si riconosce a tutti il diritto “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In concreto, non potrebbe, e non è riservata ai soli iscritti all’Ordine la facoltà di scrivere sui giornali o esprimersi con altri mezzi che ad essi si possono assimilare.

 

E’ competenza dei giornalisti la ricerca, l’elaborazione, il commento, la verifica delle notizie. Non sono di pertinenza giornalistica prestazioni attinenti alle informazioni di servizio, pubblicitarie e di contenuto commerciale.

 

L’esperienza di questi 45 anni ha fatto emergere i limiti dell’ordinamento attuale – ovviabili in gran parte con una riforma che renda più agile ed effettiva l’azione dell’Ordine dei giornalisti – ma ha anche confermato l’importanza di esso come strumento in grado di dare ancoraggio e certezze normative all’indipendenza del giornalista.

All’attivo del bilancio di lungo periodo stanno diversi fattori. Innanzitutto la promozione e l’applicazione di regole deontologiche sempre più puntuali e severe: per il rispetto dei soggetti deboli e per la tutela dei minori, per svincolare l’informazione da condizionamenti della pubblicità, e per evitare i conflitti di interessi in settori molto sensibili come l’informazione economico-finanziaria e quella rivolta ai consumatori. L’Ordine ha sviluppato in tutto questo periodo la cultura dell’informazione, anche attraverso  le scuole di formazione al giornalismo, e promosso iniziative di formazione permanente (in quest’ultimo settore gli interventi sono ancora embrionali, e necessitano di nuovi impegni ed investimenti).

 

I principi su cui si fonda la legge del 1963 sono dunque pienamente da confermare. Essi sono ottimamente riassunti nell’art. 2. “E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”. E ancora “è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Importante, per una libera professione anche il comma che recita “Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”.

 

E’ ovvia osservazione che, senza queste premesse, lo status del giornalista sarebbe riconducibile a quello di un impiegato, vincolato agli obblighi di fedeltà verso la propria azienda (art. 2105 Codice Civile). Non potrebbe esistere un potere del direttore di testata autonomo rispetto alla proprietà; né il diritto del singolo giornalista di difendersi da censure o modifiche apportate da altri a ciò che ha scritto. Cadendo poi il segreto professionale, le fonti fiduciarie non si sentirebbero tutelate, e la conseguenza sarebbe una pesante limitazione della possibilità di approfondire i fatti per poi riferirli al pubblico.

 

C’è anche da rilevare che la Consulta, confermando con la sentenza n. 11/1968 la legittimità dell’Ordine, ne sottolineava la capacità di tutelare, con la deontologia, la libertà degli iscritti nei confronti del contrapposto potere economico dei datori  di  lavoro, compito, questo, che supera di  gran  lunga  la  tutela  sindacale  del diritti  della  categoria  e che perciò può essere assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di  ente  pubblico vigili,  nei  confronti  di tutti e nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza  di  quella  dignità  professionale  che  si  traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla”

 

Una riforma della legge dell’Ordine deve perciò mantenere inalterate queste impostazioni di principio, modificando invece alcuni punti specifici che sono:

 

1)     il sistema di accesso alla professione

 

2) il meccanismo elettorale che oggi porta ad una dimensione pletorica del  Consiglio   Nazionale

 

3) procedure e organi che intervengono in materia deontologica, per garantire tempestività, equità e  trasparenza nei procedimenti disciplinari.

 

 

  1.  ACCESSO

 

Da tempo è maturata , anche in sede parlamentare – si vedano le iniziative, poi non portate a termine, che ebbero per protagonista il sottosegretario Siliquini – la consapevolezza che la professione di giornalista, analogamente a molte altre, richiede una base formativa superiore a quella che era prevista dalla legge 69/1963, cioè il diploma di scuola media superiore.

 

I processi attraversati dalla società, e dalla stessa editoria giornalistica, suggeriscono un approccio differente. Di fatto si constata che nell’ultimo decennio più di 3 su 4 delle persone che sostengono l’esame per diventare professionisti hanno una laurea. L’Ordine dei giornalisti ha stipulato convenzioni con numerose università per corsi specialistici che danno accesso all’esame professionale, nel rispetto della legge e delle norme che definiscono il praticantato. E’ dunque maturo un cambiamento, che preveda un canale di accesso unico attraverso:

a)     una fase di formazione preliminare coincidente con la laurea (laurea triennale se ci riferisce al nuovo ordinamento oggi in vigore) conseguita nelle università italiane e nelle università estere i cui stati riconoscano la reciprocità. 

b)     una seconda fase di specializzazione, di due anni, da realizzare in forme diverse, e cioè:

1) laurea magistrale in giornalismo che conduca all’esame professionale

2) master specifico riconosciuto dall’Ordine dei giornalisti

3) scuole di giornalismo collegate ad una struttura universitaria.

 

Per un periodo transitorio straordinario di cinque anni gli editori potranno continuare ad usufruire della chiamata diretta in redazione di giovani laureati, ma esclusivamente con il contratto di praticantato, da accompagnare con un percorso di formazione stabilito e verificato dall’Ordine dei giornalisti.

 

 

            In tutte la varianti, la fase specialistica che sostituisce il tradizionale praticantato, non deve limitarsi ad una pura dimensione accademica, ma necessariamente implicare un tirocinio professionale guidato e certificato dall’Ordine dei giornalisti. Lo strumento da utilizzare è quello già operante per le scuole abilitanti all’accesso all’esame professionale, e cioè la convenzione tra Ordine e Università. Convenzioni da verificare passo passo nell’attuazione, secondo quanto è già attualmente previsto nel Quadro di indirizzi per il riconoscimento e il controllo delle scuole di formazione al giornalismo.

 

Al termine del biennio si dovrebbe accedere all’esame per essere riconosciuti giornalisti professionisti. E’ importante notare che il Consiglio di Stato (n.448/2001, 13 marzo 2002) ha riconosciuto il carattere di “esame di Stato” alla prova professionale dell’Ordine. E’ dunque opportuno che, riformando la legge, si provveda anche a strutturare sia l’esame che soprattutto le commissioni in modo differente da quello attuale, per esempio aumentando la presenza di commissari esterni alla professione dei giornalisti a garanzia della indipendenza e trasparenza della prova.

 

All’ipotesi che sia elevato alla laurea il titolo “di base” necessario per accedere alla qualifica di giornalista professionista è stato talvolta obiettato che ciò potrebbe violare la libertà di lavoro e la libertà di impresa. L’osservazione appare destituita di fondamento: le direttive europee 48/1989 e 36/2005 hanno definito il potere-dovere degli stati membri di regolare i percorsi formativi che danno luogo al riconoscimento delle qualificazioni professionali. Se quella dei giornalisti è una professione, non ci può essere dubbio che debba essere regolata da norme di accesso (diverso, lo ricordiamo ancora, è il diritto universale di espressione sancito dall’art. 21 della Costituzione italiana). Del resto gli editori di giornali e i proprietari di aziende giornalistiche non hanno mai mosso obiezioni alla norma precedente, che indicava nella licenza media superiore il titolo di studio per essere ammessi all’esame da professionista (o, in caso di semplice licenza media, un esame di cultura generale che attestasse un livello di istruzioni pari alla licenza media-superiore).

La nuova proposta si adegua ai tempi, portando le condizioni di partenza ad livello superiore, in sintonia con tutto ciò che si verifica, in Italia e in Europa, nel campo della formazione e della qualificazione del lavoro.

 

Oltre alla formazione per l’accesso, la nuova legge dovrà prevedere in modo esplicito funzioni di formazione permanente. Come ogni categoria riconosciuta e strutturata, i giornalisti – sia professionisti che pubblicisti - hanno bisogno di affidare l’aggiornamento professionale, oltre che all’esperienza e alla acquisizione spontanea di nuove conoscenze, a veri e propri corsi periodici conclusi da verifiche. Potranno essere realizzati a livello territoriale, nazionale o in collaborazione tra più ordini regionali.

 

                                                    

                                   SEGUE

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

liavignaablanc67pollobellogianpaolo.caputillionepoliticaliberainannaakdolceragaznicolettatriminifronteverdeits2008realcipLONEWOLFXYbradshow0d064
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963