Da minuti ormai, tutta la mia attenzione va alle chiavi di casa, mentre con clinica precisione le aggancio al portachiavi.Pochi misurati gesti e l’operazione è compiuta.La chiave dell’ufficio, quelle dell’impianto e per finire le celebrate chiavi di casa.Sto qui appoggiato allo stipite della porta di ingresso a rimirarle.Tutto mi sembra così allegramente pazzesco.Scivolo indolente sull’ enorme tappeto che nasconde il pavimento fino a raggiungere la camera.Ad una prima ispezione pare chiaro che è esattamente la mia camera, me lo conferma il notebook perennemente acceso, vari hard disk e cavetti di ogni tipo e misura e (troppi pochi) libri, rigorosamente sparsi sull’immancabile tappeto.Casa mia.A prima vista sfugge la ragione di tutto questo mio entusiasmo – negli ultimi 10 anni sono stato di un Infinità di case, e non loro mie – poi però,e lo affermo con tutto l’orgoglio che posso, questa è a Bandar Lengeh, a 5000 km di distanza da Pisa. Ed è mia.Una casetta come si deve, con tanto di parabole (2) per la tv satellitare – naturalmente Illegale e naturalmente presente in un po’ tutte le case iraniane - di stereo e di dvd.La cosa davvero speciale è che due mesi fa qua non c’era niente!Sono stati i miei preziosi amici iraniani che, chi in un modo chi in un altro, l’hanno letteralmente tirata su e arredata, proprio sotto i miei occhi, mattone dopo mattone.Nei fatti, poi, la casa in questione è subito divenuta punto di incontro di tutti gli amici, cosicchè in casa non si è mai in meno di quattro o cinque.Qua siamo nella società degli uomini, dove le donne sono ombre nere che strisciano lungo i muri,e dove gli uomini, appunto, passano tutto il loro tempo libero insieme a chiacchierare, bere the, fumare e giocare a carte (a seguito della loro spiegazione a gesti, ho imparato – quasi – a giocare ad un gioco di carte molto carino ma dal nome impronunciabile).Perciò, la casa è subito divenuta una sorta di “bar degli amici”,che non chiude mai prima dell’una di notte.Si comunica con quel che si ha, pezzi di arabo raccolti a Dubai e singoli termini in farsi, arricchiti a spruzzate di inglese e francese,e da tantissimi gesti accompagnatori.I momenti di ilarità non si contano , in sì tanta confusione, ma ho la sensazione che sia sempre meno ciò che va perduto in queste lunghe conversazioni.Di certo spesso do la sensazione di comprenderli bene, visto che le loro battute più istintive sono esclusivamente in farsi, e recitate con gran ritmo. Non è così.Capita che mi metta li ha spiegare il funzionamento del pc a Fathma, una delle figlie di Farid, e mi intenerisce - e un po’ intristisce – quando spalanca i suoi bellissimi occhi neri per spiegarmi ciò che ha capito o ciò che ha fatto a scuola; come si fa a spiegare ad una bimba di cinque anni che non si è in grado di parlare la sua lingua?Tornando al modello di società di qui, oltre agli uomini esistono i figli e i parenti – rigorosamente maschi-Finanche i frequenti pasti vengono consumati in assenza delle donne! (Ma che buono il cibo!)Non a caso,l’unico scambio verbale con una donna l’ho avuto – giocoforza – con la receptionist dell’hotel (in realtà ne ho avuto uno anche a Qeshm, nell’ufficio visti del Ministero, ma il tutto si è ridotto ad unica domanda: - Sei sposato?- ed una mia risposta – Abbastanza – e poi giù a ridere. In Iran, se sei occidentale, questa è la prima cosa che una ragazza ti chiede, suppongo chiunque tu sia).Insomma,siamo una famiglia, iraniana, aggiungo,e perciò nei fatti una famiglia molto ma molto allargata e priva di presenze femminili con più di 10 anni, in contatto 24 ore al giorno, all’interno della quale ognuno mette a disposizione di tutti e senza limiti di tempo le proprie capacità e le proprie risorse.Vista così sembra una storia come tante.Questa storia è il mio quotidiano, ed io sento di appartenervi, non come corpo esterno, non più.
Iran 5
Da minuti ormai, tutta la mia attenzione va alle chiavi di casa, mentre con clinica precisione le aggancio al portachiavi.Pochi misurati gesti e l’operazione è compiuta.La chiave dell’ufficio, quelle dell’impianto e per finire le celebrate chiavi di casa.Sto qui appoggiato allo stipite della porta di ingresso a rimirarle.Tutto mi sembra così allegramente pazzesco.Scivolo indolente sull’ enorme tappeto che nasconde il pavimento fino a raggiungere la camera.Ad una prima ispezione pare chiaro che è esattamente la mia camera, me lo conferma il notebook perennemente acceso, vari hard disk e cavetti di ogni tipo e misura e (troppi pochi) libri, rigorosamente sparsi sull’immancabile tappeto.Casa mia.A prima vista sfugge la ragione di tutto questo mio entusiasmo – negli ultimi 10 anni sono stato di un Infinità di case, e non loro mie – poi però,e lo affermo con tutto l’orgoglio che posso, questa è a Bandar Lengeh, a 5000 km di distanza da Pisa. Ed è mia.Una casetta come si deve, con tanto di parabole (2) per la tv satellitare – naturalmente Illegale e naturalmente presente in un po’ tutte le case iraniane - di stereo e di dvd.La cosa davvero speciale è che due mesi fa qua non c’era niente!Sono stati i miei preziosi amici iraniani che, chi in un modo chi in un altro, l’hanno letteralmente tirata su e arredata, proprio sotto i miei occhi, mattone dopo mattone.Nei fatti, poi, la casa in questione è subito divenuta punto di incontro di tutti gli amici, cosicchè in casa non si è mai in meno di quattro o cinque.Qua siamo nella società degli uomini, dove le donne sono ombre nere che strisciano lungo i muri,e dove gli uomini, appunto, passano tutto il loro tempo libero insieme a chiacchierare, bere the, fumare e giocare a carte (a seguito della loro spiegazione a gesti, ho imparato – quasi – a giocare ad un gioco di carte molto carino ma dal nome impronunciabile).Perciò, la casa è subito divenuta una sorta di “bar degli amici”,che non chiude mai prima dell’una di notte.Si comunica con quel che si ha, pezzi di arabo raccolti a Dubai e singoli termini in farsi, arricchiti a spruzzate di inglese e francese,e da tantissimi gesti accompagnatori.I momenti di ilarità non si contano , in sì tanta confusione, ma ho la sensazione che sia sempre meno ciò che va perduto in queste lunghe conversazioni.Di certo spesso do la sensazione di comprenderli bene, visto che le loro battute più istintive sono esclusivamente in farsi, e recitate con gran ritmo. Non è così.Capita che mi metta li ha spiegare il funzionamento del pc a Fathma, una delle figlie di Farid, e mi intenerisce - e un po’ intristisce – quando spalanca i suoi bellissimi occhi neri per spiegarmi ciò che ha capito o ciò che ha fatto a scuola; come si fa a spiegare ad una bimba di cinque anni che non si è in grado di parlare la sua lingua?Tornando al modello di società di qui, oltre agli uomini esistono i figli e i parenti – rigorosamente maschi-Finanche i frequenti pasti vengono consumati in assenza delle donne! (Ma che buono il cibo!)Non a caso,l’unico scambio verbale con una donna l’ho avuto – giocoforza – con la receptionist dell’hotel (in realtà ne ho avuto uno anche a Qeshm, nell’ufficio visti del Ministero, ma il tutto si è ridotto ad unica domanda: - Sei sposato?- ed una mia risposta – Abbastanza – e poi giù a ridere. In Iran, se sei occidentale, questa è la prima cosa che una ragazza ti chiede, suppongo chiunque tu sia).Insomma,siamo una famiglia, iraniana, aggiungo,e perciò nei fatti una famiglia molto ma molto allargata e priva di presenze femminili con più di 10 anni, in contatto 24 ore al giorno, all’interno della quale ognuno mette a disposizione di tutti e senza limiti di tempo le proprie capacità e le proprie risorse.Vista così sembra una storia come tante.Questa storia è il mio quotidiano, ed io sento di appartenervi, non come corpo esterno, non più.