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Le élites meridionali: Vincenzo De Luca

Post n°119 pubblicato il 20 Novembre 2016 da mcalise
 

Impressiona vedere, in vecchi filmati in bianco e nero, i politici di un tempo nemmeno tanto remoto: sembrano maturi professori che espongono le loro idee. Un po’ ingessati, noiosi; con qualche rara manifestazione d’irruenza di cui sono pur capaci gli appassionati signori.

Potevano piacere o meno ma certo componevano quella élite politica che, fino alla fine degli anni sessanta, ha diretto la ricostruzione del nostro Paese sottraendolo da una condizione di emarginazione e facendolo divenire uno dei maggiori paesi industrializzati al mondo.

Un patrimonio dissipato dalle successive generazioni di politici che, a confronto dei predecessori, sembrano i chiassosi avventori del bar sport e, soprattutto, dimostrano di essere inadeguati a gestire i gravi problemi che affliggono la nostra società.

Insomma il linguaggio politico simboleggia la carenza di valori e la pochezza delle idee; è di scarso sollievo pensare che non è un problema solo italiano.

E scendendo, scendendo arriviamo ai politici meridionali fra cui spicca Vincenzo De Luca, il Presidente della più importante regione del sud.

Quest’ultimo ci ha ormai abituato ad una serie di imbarazzanti esternazioni rivelatrici della sua personalità. Solo negli ultimi giorni occorre registrare due episodi.

Primo. Le parole inaccettabili, ancora una volta, nei confronti della Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi; non occorre dire molto, esse denotano un senso di responsabilità molto tenue.

Secondo. Il sito “Ilfattoquotidiano.it”, con un articolo del 18-11-2016 firmato da Fabrizio Esposito, rivela un documento-audio che registra la voce di De Luca che invita, in una riunione, i trecento amministratori campani presenti a mobilitarsi per il SI al prossimo referendum. Appello legittimo se non fosse che gli argomenti e i toni utilizzati sono stati un’esaltazione della clientela e del voto di scambio. Inoltre emerge un’idea di futuro che pone come priorità il cemento e i “posti” nella Pubblica Amministrazione; una posizione di retroguardia e di corto respiro. Una sola frase potrà chiarire il clima dell’incontro: “Prendiamo Franco Alfieri, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.

Il messaggio che passa è che le regole sono lacciuoli, tutto è lecito per ottenere consensi, potere; i metodi consigliati sono quello clientelare e del voto di scambio. L’arroganza e la volgarità fa audience. Quale esempio! Parole e atteggiamenti dolci come il miele per chi ha in dispregio la legalità, per  gli evasori e gli abusivi di ogni specie.

Recentemente anche Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, è intervenuto per stigmatizzare le parole di De Luca che attribuivano alla lotta alla corruzione il blocco dell’Italia.

È la vecchia politica che si ripropone con vesti nuove e, nonostante qualcuno la definisca “politica del fare”, ha impedito al mezzogiorno di colmare il divario socio/economico che lo separa dal resto del Paese. Ma i nodi verranno al pettine, forse. Infatti quello che manca è il pettine: il vaglio informato, severo dei cittadini. Quale selezione potrà scaturire dalla cabina elettorale se il voto non è preceduto dall’abitudine dei cittadini ad informarsi ed a confrontarsi, in poche parole a partecipare?

Abbiamo, specialmente al sud, una classe politica che i populismi li rincorre anziché contrastarli. Essa contribuisce a dissipare un capitale sociale già scarso, anzi ne sta creando uno cattivo fatto di familismo spinto, di clientelismo e di localismo miope. Non è la collettività e il suo capitale sociale che interessa a i politici come De Luca ma un capitale di consensi. Per sé e per i suoi.

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