Creato da mcalise il 13/05/2013

Civis

Discussione sulla democrazia, cittadinanza e partecipazione

 

 

Sapri, l'estate prima delle elezioni

Era prevedibile: l'estate prima delle elezioni è stata un susseguirsi di eventi, discorsi e inaugurazioni. La qualità e l’organizzazione dell’offerta, a volte, ha lasciato a desiderare; del resto cosa si può pretendere dall’improvvisazione resa evidente dai calendari degli eventi estivi pubblicati a stagione iniziata, dalle delibere fatte pochi giorni prima degli eventi interessati.

Gli amministratori locali tacciono ad eccezione del sindaco che si è esibito in prolissi discorsi propagandistici/populistici tesi ad emozionare ed adulare gli ascoltatori. Ovviamente a qualcuno piace e fra questi c’è un codazzo di tifosi singoli o associati; tutti emotivamente coinvolti si sono dati da fare allestendo e supportando le varie attività tese, nelle intenzioni, a rallegrare l’effimera estate e a garantire lo status quo nel paese, tutto l’anno.

E così giovani e meno giovani invece di essere impegnati, almeno dopo le ferie, a capire e a ipotizzare un futuro per il nostro territorio sono impegnati a fare da supporter al politico locale e alle iniziative “distraenti”.

Viceversa occorrerebbero cittadini, uomini liberi e uguali, che si riuniscano autonomamente per parlare del bene comune e, quindi, del futuro.

E allora a chi l’Amministrazione uscente dovrà rendicontare? Ai suoi tifosi? Certo non a chi disturba con qualche osservazione e qualche critica.

Eppure i problemi sono tanti:

il lavoro innanzi tutto, un lavoro dignitoso che sottragga gli individui da qualsiasi stato di soggezione;

il turismo che potrebbe e dovrebbe essere affrontato seriamente con un piano pluriennale, scelte coraggiose e le più condivise possibili;

un necessario riassetto urbano che dia decoro alla città.

Ma per proiettarsi nel futuro, anche prossimo, occorre guardare la realtà senza infingimenti.

Viviamo in un paese sporco e rumoroso che poco e male valorizza le sue fortune naturali.

I problemi ci sono e la loro soluzione è ostacolata anche dalla carenza di civismo e coesione sociale. Carenze che sono fomentate dalle fazioni e dagli atteggiamenti delle opposte tifoserie che, con un atteggiamento apparentemente masochistico, invece di cercare di includere ampliano il fossato che le divide.

Poco importa, il consenso sarà ottenuto con le collaudate operazioni trasformistiche e clientelari.

Occorrerebbe un atteggiamento diverso che prenda atto che da soli non si va da nessuna parte; lo sanno i singoli stati nazionali ma stentano a capirlo i Comuni meridionali e, al loro interno, come nel caso di Sapri, le fazioni paesane che pure, tutte, proclamano l’amore per il proprio paese. I problemi sono seri e non si possono nascondere dietro le passerelle, le emozioni, le foto di gruppo. La soluzione può essere non parlarne, chiudere gli occhi? La risposta non può essere un pistolotto di due ore senza un vero contraddittorio e una reale partecipazione.

 
 
 

Dopo “le quattro giornate di Napoli” … “cinquanta giorni da orsacchiotto”

Post n°112 pubblicato il 25 Settembre 2016 da mcalise
 

Anche quest’anno, il 28 settembre, saranno ricordate le “Quattro Giornate di Napoli” (27-30 settembre del 1943) che fecero meritare a Napoli la medaglia d’oro al valor militare per essere stata la prima città di Europa a essersi liberata da sola dai nazisti.

L’insurrezione fu la reazione alla violenza tedesca, alle distruzioni operate e alle umiliazioni subite. La popolazione si mobilitò per evitare la deportazione di massa degli uomini che non avevano risposto al bando di reclutamento, dando vita a una forma di disubbidienza civile.

Con un notevole contributo di vite umane, anche giovanissime, i napoletani consegnarono agli Alleati, il 1° ottobre 1943, una città libera.

Non sono pochi i momenti storici eccezionali che hanno provocato comportamenti straordinari di uomini e donne sottratti alla loro quotidianità. I napoletani diedero prova di coraggio, di dignità e della capacità di organizzarsi; insorsero in difesa della città, delle sue risorse umane e materiali. Tante persone, spinte dalla paura, dallo sdegno e dalla rabbia, presero coscienza che la circostanza li chiamava all’impegno, uniti si organizzarono e accettarono gerarchie nate sul campo.

Oggi cosa possiamo dire; quale insegnamento hanno tratto i napoletani dalle “Quattro giornate”? Sembra nessuno, fatto salvo il ricordo e il dolore dei parenti degli eroici protagonisti.

Eppure la città di Napoli, il meridione tutto, convive con “endemiche emergenze”; ne cito due: la criminalità organizzata e la questione meridionale. Sono “guerre”, spesso dimenticate, che durano da più di centocinquanta anni!

I problemi non sono stati risolti ma superati con il sacrificio di molti, con l’arte di arrangiarsi di tanti, con qualche provvidenza; è evidente che le difficoltà non sono state uguali per tutti.

Il punto non è deprecare il presente ma cercare di capire come giungere ad una “normalità”.

Potrà mai prosperare una collettività assuefatta alle sue “endemiche emergenze”? Occorrono necessariamente eventi drammatici perché si tenti il riscatto?

Per evitare giorni ancora più tristi che richiedano comportamenti eccezionali occorre un impegno civico non episodico della maggioranza dei cittadini.

Parafrasando Massimo Troisi: se per scongiurare gli attuali “cento giorni da pecora" non vogliamo essere costretti a un tragico “giorno da leone” prepariamoci a “cinquanta giorni da orsacchiotto”. Insomma a una normalità civile e laboriosa che, ovviamente, non cancellerà i problemi. Quelli vecchi saranno superati nei tempi giusti e nuovi se ne porranno, ma avranno il valore di sfide e non di avvilenti perpetue emergenze.

 
 
 

Perché leggere i classici – Robert Alan Dahl

Post n°111 pubblicato il 04 Settembre 2016 da mcalise
 

Nel suo saggio “Perché leggere i classici” Italo Calvino elenca quattordici definizioni di classico che rappresentano altrettanti motivi per leggerli.

Io ne ho estratti tre:

  1. “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”;
  2. “Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui”;
  3. “È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”.

 Tre motivi che hanno confortato la mia personale scelta di annoverare fra i classici il saggio “Sulla democrazia” di Robert A. Dahl editore Laterza.

L’autore, Dahl (1915 – 2014), è stato un politologo statunitense di fama mondiale, professore di scienza politica all'Università di Yale. È stato presidente della American Political Science Association. Ha dedicato la maggior parte del suo lavoro teorico e di ricerca alla democrazia.

Il suo saggio “Sulla democrazia” rappresenta un breviario rigoroso e, al tempo stesso, facilmente fruibile che aiuta ad interpretare i tempi presenti e lo stato di salute della democrazia nel mondo e nel nostro paese. L’approccio è quello pragmatico, sistematico tipico della saggistica anglosassone; mai accademico accompagna l’esposizione teorica con esempi concreti.

Il libro è diviso in quattro parti: Le origini, Democrazia ideale, Democrazia reale, Condizioni favorevoli e condizioni sfavorevoli.

Ogni sintesi è, per definizione, riduttiva ed arbitraria; tuttavia provo ad accennare agli argomenti contenuti. Sono descritti i principi base della democrazia, le caratteristiche essenziali perché un regime possa dirsi democratico, le Costituzioni, il ruolo dei partiti e dei sistemi elettorali, quali sono le condizioni favorevoli o sfavorevoli affinché una democrazia possa nascere e prosperare, il delicato rapporto fra democrazia e capitalismo. È spiegato il concetto, introdotto dall’autore nelle scienze politiche, di poliarchia.

Nell’opera traspare, senza che se ne faccia prendere la mano, la passione dell’autore per l’argomento. ma anche una certa preoccupazione quando, ad esempio, si chiede e ci chiede se possiamo, oggi, condividere l’affermazione di Woodrow Wilson che, nel 1919, disse che il mondo era divenuto ”un posto sicuro per la democrazia”.

Io l’ho letto e riletto (punto I) trovandovi sempre nuovi spunti, mi ha permesso di definirmi meglio come cittadino (punto II) e, infine, mi ha aiutato a “leggere” i tempi attuali evidenziando l’essenziale (punto III).

Per Dahl la democrazia è un processo, per chi vuole comprenderlo e “starci dentro” non può prescindere dalla  lettura del suo saggio .

 
 
 

Renzi: incontriamoci a casa di amici

Post n°110 pubblicato il 01 Settembre 2016 da mcalise
 

Il 22 agosto c.a. il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha presieduto un vertice con due partner europei: Merkel e Hollande. La sede prescelta per l’incontro, Ventotene, ha avuto un alto valore simbolico. Infatti se i contenuti ed i risultati di tale incontro possono definirsi importanti altrettanto lo è il segnale europeista che si è lanciato ai cittadini e agli altri membri dell’Unione.

Il 31 agosto c.a. il nostro Presidente del Consiglio ha presieduto un incontro intergovernativo Italia-Germania. Il vertice si è svolto a Maranello (MO) nella sede della Ferrari. La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha incontrato il premier Renzi. Insieme a quest’ultimo anche l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne e il presidente del gruppo John Elkann. Le cronache hanno fatto notare il consueto abbigliamento informale del padrone di casa Marchionne.

Ora la domanda è: perché scegliere la sede di un’azienda privata per un evento di politica estera? Quale messaggio si è voluto dare con questa scelta?

Possibile che non ci sia una sede istituzionale per accogliere una sola delegazione straniera?

Ancora, perché annunciare ufficialmente, in un vertice internazionale, la nomina di Vasco Errani a Commissario per la ricostruzione facendo uno sgarbo al Parlamento, ai colleghi di partito e agli italiani tutti che dovevano essere i destinatari primi di siffatto annuncio.

Ovviamente la considerazione negativa non riguarda né Errani né la Ferrari che, non più di proprietà italiana, rappresenta un’eccellenza che avrebbe meritato certo una visita da parte degli ospiti stranieri ma designarla sede di un vertice internazionale è altra cosa.

Occorre dire che Marchionne e Elkann  non possono considerarsi rappresentativi dell’Italia seppur nella “semplice” veste di padroni di casa.

Marchionne ha la residenza fiscale in Svizzera e una particolare passione per l’Olanda. Infatti

è Amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (FCA), azienda di diritto olandese (marchi FIAT, Alfa Romeo, Maserati, Lancia Abarth, Jeep, Chrysler, Dodge, … ) ed è Presidente della Ferrari N.V. società, anch’essa, di diritto olandese che controlla la Ferrari S.p.A.

John Elkann, Presidente e Amministratore delegato Exor Spa, non è da meno: “(ANSA) Torino, 25 Lug - Exor, la holding della famiglia Agnelli, trasferisce - come Fca, Cnh e Ferrari - la sede in Olanda.[…] Avrà sede in Olanda anche l'accomandita Giovanni Agnelli e C. Sapaz, la cassaforte della famiglia.”

Allora quale è il messaggio? Sono questi gli esempi che i cittadini e, soprattutto, gli imprenditori nostrani devono seguire? Trasferire le attività all’estero?

Forse il narcisismo, un’arroganza appena mascherata da un gigionesco giovanilismo sta prendendo la mano ad un Matteo Renzi in difficoltà.

 
 
 

Qualcosa che vale: la democrazia in pericolo

Post n°109 pubblicato il 26 Luglio 2016 da mcalise
 

Sembra che l’argomento democrazia interessi poco; alcuni ne hanno una semplice conoscenza definitoria, i più se ne disinteressano. Eppure la cronaca, da tempo, offre numerosi spunti di preoccupata riflessione, come:

  • l’affermarsi di populismi che fanno leva sulla paura e creano l’illusione che i problemi si possano risolvere alzando barriere;
  • gli Stati dell’est europeo che con una democrazia incerta, ai primi passi, creano problemi ad un Unione Europea già traballante;
  • la vicina Turchia dove il fallito colpo di stato ha dato il via a un processo involutivo;
  • nei paesi occidentali la democrazia è ridotta a pura procedura elettorale e, con l’aumento dell’astensionismo, ad un guscio vuoto.

Sembra anche scemare, nei paesi del nord Europa, l’effetto positivo di una forte ed ascoltata opinione pubblica.

Il terrorismo ha ulteriormente aggravato la situazione. Ha reso insicura la nostra convivenza, la paura accentua atteggiamenti difensivi e di chiusura che possono solo impoverire quelle caratteristiche della nostra società che vorremmo difendere: giustizia sociale, libertà, libera circolazione di persone e idee, … .

Tempi difficili e tremendamente nuovi che dovrebbero indurci ad un’analisi critica dei nostri comportamenti individuali e collettivi. Credevamo che il “modello occidentale” fosse superiore e che tutti vi avrebbero, inevitabilmente, aderito. Esso, invece, sta evidenziando i suoi limiti anche in casa nostra generando apatia, nichilismo, individualismo esasperato, disuguaglianze; mali che hanno prodotto esclusione e dagli emarginati, più deboli socialmente e culturalmente, provengono anche foreign fighters e imprevedibili terroristi casalinghi.

La soluzione non ce l’ha nessuno, le ricette facili risultano pericolose e inefficaci; certo bisogna reagire all’orrore, con determinazione, responsabilità e razionalità.

Allora dovremmo chiederci se non è il momento di dare il buon esempio, come? Divenendo cittadini attivi e non semplici consumatori, promuovendo la coesione sociale e selezionando (e controllando) scrupolosamente la classe politica che, se è inadeguata, è soprattutto per colpa nostra. Noberto Bobbio fra le sei promesse non mantenute della democrazia ha indicato “Il cittadino non educato”; pagine, come del resto tutto il libro, di straordinaria attualità (“Il futuro della democrazia”  pag. 20). Non possiamo comportarci come se il declino e l’incertezza diffusi non ci riguardassero o come se ci fosse qualcuno con la bacchetta magica che risolverà i problemi per noi.

Ci sono ampi strati di popolazione, intere zone del nostro paese dove gli abitanti hanno rinunciato al ruolo di attivi cittadini con motivazioni reali, condivisibili ma che rischiano di divenire alibi creando così, per usare un’immagine di Guido Crainz, “la ruota dello scoiattolo”: un ciclo diabolico da cui sembra impossibile uscire: cittadini passivi “generano” cattivi politici che , a loro volta, generano cittadini passivi.

Concludo con un ricordo personale. Lessi, ormai tanti anni fa, un romanzo titolato “Qualcosa che vale” di Robert C. Ruark; parlava della rivolta dei Mau Mau in Kenya. Una frase mi è rimasta impressa che, pressappoco, diceva così: “Quando un popolo deve cambiare i propri costumi può farlo solo per sostituirli con qualcosa che vale”.

Ecco, dovremmo abbandonare gli atteggiamenti difensivi e “attaccare”; (ri)trovare valori, abitudini, costumi per cui valga la pena vivere pienamente nelle nostre comunità, qualcosa di non effimero per cui sacrificarsi , impegnarsi e, all’occorrenza, combattere. Così renderemo un servizio prezioso a noi stessi, alle prossime generazioni, al nostro paese e a tutti coloro che, nel mondo, cercano un modello di vita dignitoso. E sicuramente un valore da riscoprire, tutelare ed espandere è la democrazia; quella vera che vive solo se alberga nel cuore e nella mente dei membri di una collettività.

 
 
 

Referendum costituzionale, una riforma per il Paese

Post n°108 pubblicato il 26 Giugno 2016 da mcalise
 

Affinché il referendum sia un passaggio che incida positivamente sulla vita del Paese occorrono, a mio avviso, tre condizioni.

La prima è che la campagna referendaria non sia politicizzata; ossia l’approvazione o la bocciatura della riforma non indichi parti vincitrici o perdenti ma visioni diverse che si sono confrontate con pari dignità e con il medesimo spirito di servizio. Purtroppo la riforma stessa è stata voluta e portata avanti dal Governo anziché dal Parlamento e Renzi per primo ha personalizzato il referendum: “con me e con il Paese o contro di me e contro il Paese”. Un errore al quale non si deve rispondere con un errore di segno opposto. In realtà la forte volontà espressa dal premier ci sta conducendo ad un risultato che più volte è stato tentato senza successo. Tutti, Governo e maggioranza in primis, devono contribuire a spoliticizzare il confronto. A tal fine occorre anche evitare di marcare il possibile risultato referendario come catastrofico o salvifico a seconda della propria visione. Certo, come nel Gioco dell’Oca, se vince il no si tornerà alla casa di partenza; ma ciò non può essere l’unico argomento per il si e può essere evitato attuando il secondo punto.

Non bisogna chiedere ai cittadini di pronunciarsi con un si o con un no su un pacchetto chiuso di modifiche costituzionali; costringerli cioè ad un atto di fede: votando si pur in presenza di punti non condivisi o, viceversa, votando no bocciando anche punti valutati positivamente. Imporre un voto unico è una limitazione della democrazia; porre più quesiti è tecnicamente difficile ma non impossibile. Gli italiani potrebbero essere chiamati a votare su pochi punti che sicuramente risulterebbero più comprensibili dell’intera riforma. Chi, ad esempio, non condivide la riforma del Senato può essere favorevole alla modifica del Titolo V, alla abolizione del CNEL, …. . Ciò favorirebbe una campagna referendaria che entra nel merito delle questioni, si eviterebbe la logica “prendere o lasciare” con il rischio, secondo si voti si o no, di dover accettare o rinunciare a malincuore a delle modifiche. Il risultato, alla fine, potrà vedere alcuni punti approvati altri no; comunque, si sarà fatto un passo avanti.

Terzo punto. Riconoscere che la legge elettorale non può prescindere dalla Costituzione vigente e quindi sulla base dell’esito referendario e delle eventuali modifiche costituzionali essere pronti a mettervi mano.

In conclusione, ricordato che i referendum costituzionali non prevedono il quorum, va detto che anche una bassa percentuale di votanti sarebbe un segnale negativo che darebbe alle norme riformate un carattere di provvisorietà. L’attuazione dei  punti esposti potrebbe trasformare il referendum da scontro plebiscitario a opportunità condivisa dai cittadini.

 
 
 

Napoli, amministrative 2016. Il PD sconfitto al primo turno (anche sul web)

Post n°107 pubblicato il 06 Giugno 2016 da mcalise
 

Il risultato del PD alle elezioni comunali di Napoli può definirsi disastroso; anche la flebile speranza di arrivare al ballottaggio è sfumata. Notevole è l’emorragia di voti che da 68.018 che erano nelle comunali 2011 sono diventati 43.790 Con una perdita di ben 24.228 voti (-36%).

La percentuale dei votanti al primo turno, un dato su cui sempre si sostiene di voler riflettere, è scesa dal 60,32% al 54,11% e non è insensato ipotizzare che molti astenuti appartengano a quello che fu l’elettorato di sinistra.

Il risultato negativo era nell’aria e, va detto, ha radici antiche. Sono numerosi i segnali che possono far parlare di una sconfitta annunciata. Limitandoci agli ultimi mesi la cronaca ha registrato: inchieste della magistratura, brogli, strane alleanze, accese polemiche e manifesta inadeguatezza dei vertici campani e una candidata poco convincente. Tutti punti che sono stati e saranno oggetto di discussione.

Ma, in questa sede, desidero soffermarmi su un aspetto apparentemente marginale ma che, a mio avviso, fa parte della più vasta “cronaca di una sconfitta annunciata”.

Il 2 giugno, a tre giorni dal voto, ho consultato due siti del PD Campano: www.pdcampania.it e www.pdnapoli.it. La homepage del primo riporta ancora i titoli delle regionali 2015 senza alcun riferimento alle elezioni comunali 2016. Sulla homepage del secondo risalta addirittura il titolo “Nuova campagna PD per le europee” con un unico riferimento all’attualità: l’annuncio della presenza della Ministra Boschi alla Stazione Marittima di Napoli il 15 aprile u.s..

Mi è parso incredibile che per la campagna elettorale siano state inutilizzate queste due vetrine sul web; allora ho accostato i due siti con i corrispondenti di Torino, Milano e Roma.

Il confronto è impietoso, tutti hanno curato e aggiornato i propri siti; come è normale che sia.

In effetti che, nel terzo millennio, una organizzazione trascuri internet come canale comunicativo ha dell’incredibile; sostengo che è addirittura preferibile non esserci che essere presenti così malamente.

Ovviamente non credo che una presenza così poco qualificata sul web sia stata determinante per la sconfitta ma … . Non occorre essere esperti per capire che questa mancata cura della comunicazione è , al tempo stesso sintomatica e deleteria. Sintomatica di un certo dilettantismo, di una colpevole sciatteria. Deleteria perché offre ai visitatore del sito l’idea di una rassegnazione, di una campagna rinunciataria, di abbandono delle “casematte”.

Un partito e una candidata che hanno malamente gestito la “macchina” della campagna elettorale non possono, credibilmente, aspirare a governare quella, ben più complessa, di un area metropolitana.

 
 
 

Nuje simme d'o sud, non parlateci di TTIP

Post n°106 pubblicato il 30 Maggio 2016 da mcalise
 

Sì sa, siamo legati alla nostra terra, guai a chi la critica. Se qualcuno ci offre un pretesto per protestare ci trova pronti; non per nulla Masaniello era uno dei nostri. Ma “nuie simme r'o Sud, […] buone pe' canta e faticamm' a faticà”, infatti siamo cittadini poco propensi all’impegno continuativo, a quella cittadinanza attiva che occorrerebbe per affrontare i tanti problemi seri che pur ci affliggono.

Un esempio di disimpegno è il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) che comitati ristretti negoziano a Bruxelles e in USA. Inascoltate rimangono le voci che giudicano un probabile accordo, cosi come sembra concretizzarsi, un danno per l'Europa e in particolare il settore agroalimentare italiano. Si è protestato in molte città europee,  poi anche a Roma ma se ne parla poco.

E qui si evidenzia il primo grave problema: tutta la vicenda è  caratterizzata dalla mancanza di pubblicità, di dibattito. La cosa è sospetta, già  questa mancanza di trasparenza dovrebbe farci indignare e indurre alla protesta. Persino i parlamentari hanno limitazioni alla consultazione dei documenti.

Nel merito, quello che si sa dovrebbe preoccuparci. Un solo esempio: il principio di precauzione, che costituisce una garanzia per il consumatore europeo, impone ai produttori di immettere sul mercato prodotti per i quali non vi è alcun dubbio che possano provocare danni. Gli USA si battono per sostituirlo con la loro impostazione che trasferisce al consumatore (ormai danneggiato) l'onere della prova.

Noi dovremmo essere molto sensibili alla tutela del made in Italy, particolarmente alla tutela della qualità del nostro settore alimentare che lo fa apprezzare in tutto il mondo.

Anche il sud sarà penalizzato ma nessuno pare preoccuparsene. Nel Cilento, per esempio, tanti eventi sulla dieta mediterranea che all’estero ci invidiano e ci rende tanto orgogliosi. E allora? Via alle sagre, ai convegni con buffet; tutto commentato encomiasticamente e corredato da foto. Ma quando occorre un impegno continuativo, una lavoro scrupoloso, il discorso cambia.

I politici locali che sono sempre pronti alla passerella, a dichiararsi paladini dei loro territori, latitano e, come loro costume, non si impegnano in azioni dall’incerto ritorno in termini di consenso elettorale. Comunque, nel caso specifico, molti non intendono inimicarsi il governo "amico" che pare voglia aderire entusiasticamente al trattato condividendone il meno possibile i contenuti con i cittadini. Stiamo abituando i politici locali e nazionali alla nostra inanità che ci sta provocando, di fatto, un lento ma costante esproprio di democrazia.

Lo strombazzato amore per la nostra terra, l'’orgoglio che a volte ci rende permalosi dovrebbe concretizzarsi in un faticoso civismo organizzato. Solo con i fatti potremo affermare che se “nuie simme buone pe' canta” non è vero che “faticamm' a faticà”.

 

 
 
 

Liste civiche, sparpagliati al voto

Le prossime elezioni amministrative del 5 giugno interesseranno 1363 comuni dei quali 1209 con popolazione fino a 15 mila abitanti (fonte www.tuttitalia.it). Le vicende politico/elettorali di quest'ultimi sono pressoché ignorate dai principali media; è comprensibile che le elezioni in centri con poche migliaia di abitanti non facciano notizia a livello nazionale ma ciò non spiega il disinteresse per questi comuni complessivamente considerati. Sarebbe opportuno parlarne, infatti essi rappresentano circa il 90% dei comuni italiani (il 40% della popolazione) e, come ricordato, la maggioranza dei comuni interessati alla prossima scadenza elettorale. Nei comuni fino a quindicimila abitanti risalta, più che in altri, la quasi totale assenza dei partiti nazionali a cui corrisponde un proliferare di liste civiche.

In Campania nei 126 comuni al voto, per la fascia di popolazione considerata, i partiti nazionali sono pressoché assenti. Il proliferare delle liste civiche non è una novità e riguarda tutte le regioni. Insomma è la crisi dei partiti, che è politica ed etica prima che organizzativa, che ha avviato un movimento centrifugo che esalta i localismi.

Le segreterie dei partiti nazionali non sembrano affatto preoccupate del fenomeno; pare abbiano adottato il criterio “dividi et impera”. L’importante è che i notabili portino pacchetti di voti quando occorrono (elezioni regionali, politiche, …). Risulta paradossale che, in alcune località, si scontrino liste i cui esponenti aderiscono allo stesso partito nazionale e non mancano politici regionali e nazionali che prodigano per sostenere una lista civica. Questi  comportamenti, in condizioni “normali”,  sarebbero stati considerati autolesionistici, come segare il ramo su cui si è seduti.

È difficile spiegare il generale disinteresse per il fenomeno che potrà essere diversamente considerato ma di cui difficilmente si potrà affermare la positività. Infatti se da una parte la rinuncia dei partiti appare poco lungimirante d’altra parte è arduo ritenere che una comunità di poche migliaia di persone pensi di trovare esclusivamente in se stessa le risorse, la progettualità e gli strumenti necessari per ricercare il benessere collettivo.

Al sud in particolare hanno trovato rinnovato vigore i notabili che, da l’unità in poi, hanno gestito il potere locale basandosi sul familismo e le clientele; insomma un “eterno passato” che sopravvive pressoché incontrastato. Le liste civiche rappresentano, al tempo stesso, il risultato e la causa di una mentalità chiusa che è alla base dell’arretratezza civile, sociale ed economica.

Sono i notabili a creare le liste, a determinarne gli obiettivi, a scegliere i candidati fra i loro seguaci e tutti, dalla vittoria elettorale, si attendono un compenso personale.

Così si aumenta il populismo e l’unico valore premiante è la fedeltà a discapito del merito. Tale sistema provoca la divisione dei cittadini in fazioni contrapposte i cui componenti devono dimostrare fedeltà incondizionata al capo; chi non si aggrega diviene un cittadino emarginato.

Oggi che le sfide sono sempre più globali e complesse, le opportunità più contese e difficili da cogliere avanzare sparpagliati sembra il modo migliore per soccombere.

Potremo contare, non dico nel mondo, ma in Europa presentandoci come un “blocco” di circa settemila partiti dei sindaci? Questa frammentazione che, si badi bene, non è solo politica costituisce un fardello che pesa sulle spalle della parte più responsabile ed attiva di questo Paese.

 
 
 

Renzi, una politica che sa di vecchio

L’elezione di Renzi, nel dicembre 2013, a Segretario del PD parve una ventata nuova nella politica italiana. L’idea della rottamazione suscitava qualche perplessità ma anche molte aspettative; la speranza era che il termine un po’ rozzo celasse una volontà di cambiamento. Ma anche la semplice rottamazione, con la sola eccezione di molti esponenti della sinistra del suo stesso partito, si è fermata agli annunci.

Osservando lo stile e le modalità di gestione del potere che gli deriva dalla duplice funzione di Segretario del maggior partito e Presidente del Consiglio mi tornano i mente i versi “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico”. Voglio significare che dietro una patina di modernità e di giovanilismo affiorano abitudini e costumi antichi non sempre commendevoli; ne cito qualcuno.

Primo. Non è un mistero che Renzi consideri la fedeltà nei suoi confronti una caratteristica determinante e prediliga circondarsi di amici; il caso di Marco Carrai ne è un esempio emblematico.

Secondo. Lega a se e privilegia i notabili portatori di pacchetti di voti; la considerazione politica è condizionata esclusivamente dalla capacità di rastrellare voti; da ciò il conseguente “voto non olet” con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Terzo. Manifesta intolleranza verso ogni critica al motto “o con me o contro di me”.

Quarto. Coloro che descrivono la realtà in modo non aderente alla sua ottimistica narrazione sono bollati come disfattisti che ostacolano la sua “politica del fare”.

Ora tutto ciò, nel meridione è vecchia quotidianità; i politici locali lo fanno da sempre e le eccezioni, che esistono, sono emarginate.

Vige un meccanismo di scambio voto/favori. Un politico locale e un candidato ad una assemblea elettiva regionale o nazionale si accordano per uno scambio. Con esso il politico locale si impegna ad assicurare un pacchetto di voti al candidato che, a sua volta, promette di ricambiare con favori futuri che possono consistere in vantaggi personali o in interventi a favore del territorio. Le due cose non si escludono. Sia il politico locale che quello regionale/nazionale accrescono il loro potere. L’appartenenza a famiglie allargate prevale sul merito ed il mantenimento dello status quo diviene un obiettivo che ostacola ogni tentativo di innovazione e di progettualità. L’approccio renziano, di fatto, costituisce un potente incentivo per le elites estrattive che da decenni difendono con successo il loro potere nel Mezzogiorno.

Ora, con questi presupposti, mi chiedo se il premier potrà rispettare la massima che lui stesso ha posto all’inizio della sua biografia sul sito del Partito Democratico. Essa recita: “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato” (Baden-Powell).

Renzi pensa di poter lasciare la politica italiana e il suo partito in condizioni migliori di quelle, già disastrate, in cui li ha trovati? È una domanda che, criticamente, ciascuno di noi dovrebbe porre anche a se stesso.

 
 
 

Se rinunciano Capacchione, Saviano, …

Post n°103 pubblicato il 29 Aprile 2016 da mcalise
 

Nel giro di pochi giorni Rosaria Capacchione e Roberto Saviano hanno espresso sfiducia e scoramento nei confronti della politica, ovviamente, in modi e da posizioni diverse.

Occorre sottolineare che ci troviamo di fronte a due personaggi da considerare “resistenti” giacché la sfiducia nella politica è dimostrata, da tempo e ampiamente, dai tanti cittadini che si astengono dal votare. Ricordo, a titolo di esempio, che solo nelle ultime elezioni regionali in Emilia-Romagna (novembre 2014) hanno votato meno del 40% degli aventi diritto.

Impressiona sapere che anche loro hanno ceduto, speriamo momentaneamente, allo sconforto.

La senatrice Capacchione ha ritenuto il caso Stefano Graziano, presidente regionale del PD in Campania, la goccia che ha fatto traboccare il vaso; ha espresso l’intenzione di non ricandidarsi rilasciando, tra l’altro, una dichiarazione significativa: “Matteo Renzi ascolta solo chi è portatore di grossi pacchetti di voti”.

Roberto Saviano in una recente intervista a Sky Tg24 ha dichiarato “non ho alcuna speranza verso le istituzioni, non ho alcuna speranza verso la politica, non ho alcuna speranza verso i media”.

Significative sono le dichiarazioni di Antonio Bassolino rilasciate a Conchita Sannino (La Repubblica del 28 aprile 2016) perché fatte da un politico navigato che ha saputo anteporre il bene del partito alle sue personali aspirazioni. Bassolino dichiara: "Io credo che al di là del clamore che dura un giorno, o delle strumentalizzazioni in campo, noi dobbiamo avvertire un serio allarme: politico e democratico. E credo che a Matteo Renzi debba essere chiara una cosa: questa sarà la sua sfida nei prossimi tempi. La grande opera di rinnovamento e pulizia del Pd. Perciò mi rivolgo a lui, deve metterci mano ". Parla di un problema nazionale ben sapendo che in Campania si è manifestato, da tempo, con acuta gravità.

Si pongono alcuni interrogativi, c’è una questione morale. Essa riguarda solo la Campania?

Coinvolge solo il PD? Credo che ad entrambe le domande si debba rispondere: no. Ma, riguardo la prima, dobbiamo ammetter che in Campania l’infiltrazione camorristica è purtroppo una realtà che, se non si interviene, è destinata ad aggravarsi. Il malaffare diffuso fa danni più profondi dei pur frequenti casi d’illegalità; la situazione dei circoli ne è una prova evidente e, volutamente, ignorata.

Per quanto concerne la seconda domanda; sarebbe sbagliato credere che solo il PD abbia un problema di legalità, significherebbe sottovalutare pericolosamente il fenomeno.

Esiste per tutti un problema di selezione della classe dirigente; e se le primarie, mal gestite, hanno deluso, la soluzione non potrà essere qualche decina di preferenze raccolte in rete.

Sembra che, dopo la scomparsa delle ideologie che non rimpiangiamo, stiano evaporando anche i valori; la politica ridotta a mera tecnicalità. Insomma il potere per il potere, il giusto sostituito dall’elettoralmente profittevole. Il timore di ottenere, per citare Grillo, percentuali di voti da prefisso telefonico fa accantonare qualsiasi altra considerazione. La soluzione? Non ne esiste una, forse, per cominciare occorrerebbe instaurare la democrazia nei partiti ricordando le parole di Norberto Bobbio: “la democrazia è il potere del pubblico in pubblico”.

 

 
 
 

25 aprile, questo è il mio paese!

Post n°102 pubblicato il 22 Aprile 2016 da mcalise
 

Ogni anno, il 25 aprile, si ricorda una tappa fondamentale nella storia del nostro Paese. Dovrebbe essere sia un’occasione di festa popolare sia un momento di riflessione. Purtroppo sono sempre meno coloro che nelle strade e nelle piazze festeggiano la data che, simbolicamente, ha sancito la fine della guerra e della dittatura. Eppure essa rappresenta anche un’occasione per riflettere su quegli eventi e da essi trarre spunti utili per il presente. Rileggendo le pagine di storia, di letteratura e le testimonianze di quei tempi possiamo immaginare che quegl’italiani, tanti giovani, che nella Resistenza si sono impegnati, sacrificando in molti casi la vita, avessero un pensiero in comune che li spronava: “questo è il mio Paese!”. Un’affermazione, che anche oggi capita di udire e che rivela sentimenti diversi: amore, orgoglio, a volte, rabbia perché ci sembra che gli “altri” non l’apprezzino, non lo curino sufficientemente. Approfondendo, ci si accorge che l’affermazione nasce come moto umano, affettivo più che come elaborazione razionale. Due sono gli elementi su cui essa si fonda: il paesaggio e il patrimonio artistico-culturale. È innegabile che la Natura è stata generosa con l’Italia, tantissimi i luoghi di diversa e straordinaria bellezza; dal passato ci giungono tesori invidiati: siti archeologici, monumenti, opere d’arte, edifici storici.

Allora è comprensibile che moltissimi italiani possano esclamare “questo è il mio Paese!” riferendosi, sovente, non tanto all’intera nazione ma al proprio territorio. L’orgoglio, l’amore per la propria terra dovrebbe essere una potente molla, uno stimolo forte all’impegno nei suoi confronti. Il condizionale è necessario poiché non sembra che questi sentimenti siano accompagnati da un adeguato sforzo non solo per conservare quanto ricevuto ma per migliorarlo, se necessario adattarlo alle nuove necessità, e, comunque tramandarlo possibilmente migliorato, accresciuto. Invece è frequente osservare un’affezione turistico, famigliare al proprio territorio; fatta di ricordi, tante foto, esclamazioni, attestati d’amore, “voglia 'e turnà” al paese natale o ai bei tempi di una volta, all’infanzia.

Manca la domanda scomoda: lascerò questo posto migliore di quanto l’ho trovato? Intendiamoci, non manca un associazionismo del tempo libero o un associazionismo che si mobilita per eliminare o evitare scempi. Gli utili “comitati del no” che per loro natura sono, intrinsecamente, effimeri. È carente, invece, un impegno continuativo che ognuno dovrebbe dimensionare alle proprie possibilità e capacità ma con la condivisa consapevolezza che senza una partecipazione attiva, organizzata, dei cittadini non si esce da una crisi che è si mondiale ma che ha, nel nostro paese, una sua specificità. La dimensione locale si presta ad un impegno concreto che dia speranza per il futuro.

A questo proposito, le persone di buona volontà, possono trovare stimoli dalla ricorrenza del 25 aprile, dalla pagine sulla Resistenza. Una seria riflessione renderebbe risibili tutte le esitazioni, tutti gli alibi. I documenti che offrono esempi significativi sono tanti; mi permetto di suggerirne uno: la lettera di Giacomo Ulivi, un diciannovenne condannato a morte nel 1944 (http://www.anpi.it/storia/238/lettera-agli-amici-giacomo-ulivi). Una riflessione individuale o collettiva su simili pagine potrebbe rafforzare quello spirito, quel coraggio civico utile anche a meglio fronteggiare la minaccia terroristica, che punta alla nostra ritirata nel privato. Nei difficili tempi attuali con una perdurante crisi non solo economica, è necessario che ciascuno si impegni con un sacrificio nettamente inferiore ai tanti esempi della nostra storia che fanno apparire come diserzione ogni esitazione. Solo un costante impegno civico consentirebbe a ciascuno di affermare risoluti: questo è il mio Paese!

 

 
 
 

Decalogo: come ottenere molti LIKE su Facebook

Post n°101 pubblicato il 12 Aprile 2016 da mcalise
 

Una premessa indispensabile: per ottenere molti "mi piace" nel mondo virtuale sono importanti anche le relazioni reali; i parenti, gli amici, i vicini, i paesani. Spesso si realizza, anche non concertato, uno scambio di LIKE: tu ne dai uno a me, io ne do uno a te.

Detto ciò, le regole sono:

1- se, come capita raramente, il post lo scrivete voi non superate le 7 righe;

2- non parlate mai di DOVERI, le persone diventano insofferenti;

3- parlate male della politica e dei politici, il successo è assicurato;

4- le rivendicazioni di ogni genere fanno audience;

5- inserite un immagine nel vostro post, un cuore, un cucciolo, un neonato, ...;

6- evitate accuratamente di ricordare ogni tipo di impegno pubblico;

7- rilanciare qualsiasi post che possa piacere a prescindere senza alcuna preoccupazione di verificarne la veridicità;

8- le frasi banali se graficamente gradevoli e attribuite ad un autore che non avete mai letto fanno chic;

9- siate assertivo e non date l'impressione di voler sollecitare dialogo, confronto, riflessioni;

10- non fate ironia, anche se capita, crea nemici.

 

P.S. Mi sono reso conto di non rispettare le regole che io stesso ho scritto! Pazienza.

 
 
 

Corruzione: indignati? No, invidiosi.

Post n°100 pubblicato il 01 Aprile 2016 da mcalise
 

Basta con il buonismo autoassolutorio. Bisogna ammettere che l’asticella si è, da tempo, abbassata; l’etica pubblica ne esce depressa; cresce il malaffare e l’indulgenza per i comportamenti illeciti. Una deleteria e diffusa semplificazione consiste nel mito della cosiddetta "società civile" buona maltrattata da un ceto politico cattivo.

Sono affermazioni amare che non occorrerebbe dimostrare; tuttavia risultano confermate dalle ultime vicende. La sindaca di Corleto Perticara (Pz), Rosaria Vicino (PD) è stata arrestata con svariati capi di imputazione. La signora aveva assunto il ruolo di ufficio di collocamento ed imponeva assunzioni alle aziende petrolifere che operavano nel territorio comunale.

Sorvoliamo sul fatto che non sono state le aziende a protestare per le illecite pressioni; che, ahinoi, sono divenute prassi normale. Quello che più colpisce è che il comportamento illecito non era occultato, anzi era vanto della sindaca. E i cittadini si lamentavano? Nemmeno per sogno!

Il quotidiano “La Repubblica”(1/4/2016) riporta un particolare significativo di quanto sia carente l’etica pubblica. Al cittadino esasperato che afferma “Non è giusto che devono lavorare le stesse persone, Rosa’! Il figlio dell’assessore, il figlio dell’impiegato, devo fare i nomi di tutti quanti?” la sindaca risponde ”Tranquillo domani mattina lo chiamiamo, piglia il curriculum, portalo qua …”.

Capite, il cittadino non era indignato, era invidioso: perché ai figli degli altri si e al suo no?

Il problema, ovviamente, non riguarda solo Corleto Perticara. Anche nella nostra quotidianità capita di assistere a fenomeni di malcostume o peggio. La raccomandazione è un esempio classico; ci si ricorre “costretti” a malincuore (sic!) per sé o per un proprio congiunto perché, si sostiene, cosi fan tutti.

Cosi, al grido di “tengo famiglia” ci avviamo verso il baratro; sicuri di non cascarci e di tirare a campare. È difficile sentire un "obbligo politico" se ogni giorno si scopre che uomini politici e funzionari pubblici hanno calpestato le leggi; ma se il cambiamento non parte da noi stessi, se l’indignazione non procede di pari passo con un’autocritica individuale e collettiva non andremo da nessuna parte.

 

 
 
 

Reclamare la trasparenza per combattere la corruzione

Post n°99 pubblicato il 30 Marzo 2016 da mcalise
 

Nel suo discorso di insediamento, nel 2011, Renzi fece una promessa innovativa: “Ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione deve essere visibile a tutti: questo significa non solo il Freedom of Information Act ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante”.

Sembrava cosi che l’Italia, finalmente, adeguasse la propria normativa a quella di tanti paesi democratici varando un Freedom of Information Acts” (FOIA), in base al quale la pubblica amministrazione ha obblighi di informazione, pubblicazione e trasparenza e i cittadini hanno diritto a chiedere ogni tipo di informazione prodotta e posseduta dalle amministrazioni che non contrastino con la sicurezza nazionale o la privacy. Insomma la trasparenza è un diritto universale, che è alle fondamenta della nostra libertà di espressione ed è il presupposto di una piena partecipazione dei cittadini alla vita democratica.

Oggi quelle parole ne fanno venire in mente altre: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Infatti il decreto Madia sulla trasparenza sembra fatto apposta per avere effetti contrari a quelli proclamati. Pochi punti bastano a chiarire:

  • a decidere quando rigettare o accogliere la richiesta di informazioni è la stessa amministrazione secondo un criterio soggettivo rimesso alla valutazione del dirigente;
  • è introdotto il silenzio-diniego ossia se l’Amministrazione non risponde entro 30 giorni dovete rassegnarvi senza ricevere alcuna spiegazione;
  • la legge proposta si sovrappone alle precedenti che regolano l’accesso creando ulteriore difficoltà ai cittadini;
  • nessuna sanzione è prevista per L’Amministrazione ed i suo personale che, illegittimamente, nega l’accesso ai dati.

Sul sito www.foia4italy.it è possibile saperne di più e firmare una petizione affinché quello che doveva essere un tardivo riconoscimento di un diritto dei cittadini non divenga una farsa.

Una seria legge sulla trasparenza non solo riconoscerebbe il diritto a conoscere le informazioni raccolte dallo Stato in nome dei cittadini e con risorse dei cittadini ma costituirebbe un serio ostacolo alla corruzione. Occorre ricordare che per inquinamento del malaffare nel settore pubblico, in Europa, peggio di noi sta solo la Bulgaria.

 
 
 

Napoli, Bassolino al bivio

Post n°98 pubblicato il 24 Marzo 2016 da mcalise
 

La Commissione nazionale di garanzia del PD ha respinto il ricorso di Antonio Bassolino, molti davano l’esito per scontato. Tuttavia qualsiasi risultato non avrebbe potuto nascondere quello che, da tempo, è sotto gli occhi di tutti: la situazione caotica in cui versa da anni il PD in Campania. Primarie inquinate, congressi fasulli, circoli in mano a capibastone, … . Forse non è sufficiente imputare tutto alla scarsa qualità, ormai acclarata, dei soli dirigenti campani. I vertici nazionali del partito, Renzi in testa, sembrano starsene alla larga. Non è un buon segno per un partito nazionale; certo accontentarsi che i notabili locali portino i loro pacchetti di voti nel breve potrà soddisfare qualcuno, ma i frutti amari non tarderanno a venire. Un futuro prossimo fosco è preannunciato anche dalla gazzarra che ha contraddistinto il congresso regionale dei giovani democratici.

Tornando all’esito del ricorso, la Commissione nazionale si è dichiarata incompetente a decidere ma, nonostante ciò, non ha voluto far mancare il suo parere. Ha sostenuto di non ritenere irragionevole “aiutare” chi non è in condizione economica di pagare per votare. Argomento palesemente illogico poiché “l’aiuto” non regolato pone su un piano di disparità i candidati. Ma è l’elevato profilo etico che colpisce: fornire aiuto economico, ma anche un opportuno consiglio, a cittadini fortemente desiderosi di partecipare è opera degna di novelli Robin Hood.

Alla fine Bassolino dovrà scegliere fra il suo tradizionale senso di responsabilità verso il partito e, in qualche modo, accettare il verdetto; oppure far prevalere il suo amore per Napoli e candidarsi con una lista civica. Scelta difficile ma, qualsiasi essa sia, non potrà cancellare il senso di sconforto e di delusione nei confronti del Partito democratico, soprattutto in Campania.

 
 
 

Italiani, sazi da morire

Post n°97 pubblicato il 09 Marzo 2016 da mcalise
 

Il programma Presa Diretta ha trasmesso l’illuminante inchiesta “Sazi da morire” (RAI3 il 6-3-2016). Mi ha particolarmente colpito il problema dell’obesità, che nel nostro paese è triplicata negli ultimi 30 anni. Sembra che il benessere, con una dieta “ricca” e il consumo eccessivo di proteine animali e di alimenti confezionati, faccia male. La nostra società, in un tempo storicamente breve, è passata dalla fame alle diete. Dalla visione del programma e dal suo titolo, ho preso lo spunto per alcune riflessioni. Siamo la “società opulenta” che ha perso la voglia e il coraggio di intraprendere, rischiare, sacrificarsi?

So che, fra i miei pochi lettori, qualcuno balzerà, indignato, sulla sedia. Ma come, aumentano le disuguaglianze, le famiglie povere e si parla di società opulenta? Lo so, ci sono individui, famiglie che tirano la carretta e fanno fatica ad arrivare a fine mese. Cerco di spiegarmi perché le generalizzazioni sono sempre pericolose ma, a volte, sono necessarie per intendersi.

Siamo un paese in declino, e non solo dal punto di vista economico. Un enorme debito pubblico, l’economia che arranca, il nostro PIL cresce di pochi decimi e comunque meno dei nostri partner europei, la disoccupazione è insostenibile. Ma i problemi non sono solo economici. Leggiamo poco, ai libri preferiamo i telefoni cellulari, abbiamo una scarsissima fiducia nelle nostre istituzioni e quasi nessuna nella classe politica. Tutte cose che hanno una loro spiegazione, come non comprendere, ad esempio, la sfiducia nei confronti dei politici? Ma la classe politica, la “casta” se preferite, è l’immagine della società civile; l’idea che vi sia una società civile buona e una casta cattiva è fuorviante, tende a deresponsabilizzare ciascuno di noi. E ciò non solo perché la casta la eleggiamo noi ma perché essa interpreta, in periferia più che altrove, i nostri desideri, la nostra pancia.

Lo so, le eccezioni sono numerosissime e rimangono tali, eccezioni appunto.

Tutto ciò ha una molteplicità di cause vecchie e nuove. Credo che alla base ci sia un senso debole di identità nazionale. Mentre si pone la necessità di una aggregazione sovranazionale noi, in ritardo con la storia, fatichiamo a divenire nazione. Un paese arlecchino con tante tessere che formano un insieme di originale bellezza che esiste solo a patto che le tessere stiano insieme, un mosaico appunto. Di ciò non vi è sufficiente consapevolezza. E non penso solo alla Lega Nord, ma anche a tanti localismi che premiano una politica di corto respiro, temporale e spaziale, la difesa del pozzo, del cortile di casa. L'Italia è una creazione recente, ha un passato di frazionamento continuo. Il novecento è stato il primo ed unico secolo che l'Italia ha vissuto come stato unitario.

Di tutto ciò manca una consapevolezza diffusa. La classe politica, in particolare i renziani, sfoderano un ottimismo di facciata che amplifica i successi e nasconde le difficoltà.

Ma dobbiamo essere onesti; se lo stesso governo invece di sfoderare ottimismo ci proponesse un piano di medio-lungo periodo di riforme socio-economiche strutturali, un piano “lacrime e sangue”, vedrebbe aumentare o calare il suo consenso?

La società civile di fronte alla complessità e alle contraddizioni del momento presente è presa dalla tentazione di ritirarsi, di abbandonare ogni tentativo di comprensione, ogni iniziativa. Diviene forte la tendenza a rifugiarsi in atteggiamenti sterili, in proteste parolaie, nel vittimismo, in difese individualistiche e/o localistiche abbandonando la strada di una difficoltosa partecipazione civica organizzata oggi, più che mai, necessaria e rifugiandosi in sogni gratificanti e irrealizzabili. Purtroppo, si sa, “molta gente preferisce essere illusa piuttosto che illuminata” (MilanKundera “Il libro del riso e dell’oblio”). Insomma siamo da tempo, per usare un’immagine di Guido Crainz, in una “ruota dello scoiattolo”, in un circolo vizioso.

Conclusione, gli italiani sono “sazi da morire”? Credo di si e, per fermare il declino, dovremmo recuperare quella “fame”, quello spirito cosi presente nell’immediato nel dopoguerra. Partecipi alla costruzione di una società più giusta; coscienti che un sano individualismo diviene cieco egoismo se non ci si fa anche carico dei problemi collettivi. Dobbiamo essere italiani tutti i giorni e, parafrasando John Donne, non dovremmo mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per ciascuno di noi. 

 
 
 

Come divenire popolari

Post n°96 pubblicato il 03 Marzo 2016 da mcalise
 

In tempi difficili come gli attuali non è semplice guadagnarsi e mantenere la simpatia e la stima dei propri conterranei. Qui mi permetto di fornire alcuni suggerimenti pratici che non hanno alcuna pretesa di completezza e, per non risultare ambizioso, devo limitarmi agli abitanti del Cilento.

Di fronte alla complessità e alle contraddizioni del momento presente chi è tentato di ritirarsi, di abbandonare ogni tentativo di comprensione, ogni iniziativa lo faccia!. Parlare del futuro è complicato e l'argomento presenta varie incertezze, può procurare frustrazioni e, quello che peggio, si può incappare in argomenti che risultano divisivi.
Il futuro è meglio accantonarlo, meglio non rovinare la sorpresa e andare sul sicuro. La gente va rassicurata. Alcuni proposte di argomenti ed attività praticabili: fotografia, poesia, ludopatia, processioni religiose, onde elettromagnetiche, scie chimiche, animali abbandonati, passeggiate salutari, cibo. Cose serissime. Insomma, avete capito, l'importante è non parlare di argomenti tristi, divisivi. L'attualità ha un limite da non superare: approssimativamente si possono indicare Costabile Carducci e Carlo Pisacane che sfortunatamente non sono tutelati dalla recente legge sul reato di omicidio stradale, vanto dei nostri Amministratori.

Insomma se il futuro è incerto, qualcuno dice nero, non è un problema nostro. Quello che possiamo fare è far si che la maggior parte ci arrivi sereno, possibilmente fotografato. La gente si sa, preferisce essere illuminata piuttosto che illusa. Ma, forse, è il contrario.

 
 
 

Tifo Bassolino e dico perché

Post n°95 pubblicato il 29 Febbraio 2016 da mcalise
 

Da napoletano non residente potrò “solo” tifare per Bassolino, alle primarie PD e, spero, anche alle prossime elezioni amministrative.

La mia preferenza parte anche, ma non solo, da una vicinanza generazionale. Vi è una classe di persone mature che hanno rinunciato alle ideologie ma non agli ideali, che raggiunta una certa serenità esistenziale, relativamente libera da lacciuoli materiali o non, si dedica a ciò che gli piace. E a Bassolino piace la politica e piace, soprattutto, Napoli. Si è gettato nell’impresa con quell’entusiasmo fanciullesco che, a volte, coglie noi non più giovani. Conforta questa mia idea il commento di Marco Damilano (L’Espresso del 25-2-2016) che si conclude con queste parole: “Tiene quello che gli altri non hanno: voglia, fame. Ed è già una vittoria.” E si! È una passione infettiva che occorre per superare gli ostacoli che si frappongono all’elezione a Sindaco e agli altri, ben maggiori, che il governo di una grande città comporta.

È appena il caso di ricordare che il Nostro vanta un’esperienza difficilmente riscontrabile in altri candidati. Deputato e ministro. Eletto e rieletto sindaco, la Sua amministrazione ha lasciato un ottimo ricordo nei napoletani. Meno positiva la sua esperienza di Presidente della Regione che ha avuto qualche strascico giudiziario, poi positivamente superato.

Una persona, insomma, con un passato significativo che, tuttavia, sembra utilizzare non come piedistallo ma come rampa di lancio, guardando al futuro, ai giovani.

Bassolino, negli incarichi istituzionali ricoperti, ha sempre dialogato con le altre Istituzioni accantonando le divergenze personali, partitiche, politiche con l’obiettivo di assolvere al meglio il suo mandato.

Una visione ampia della politica dove la cura dei problemi contingenti non nasconde la prospettiva e la cura della propria “casa” non impedisce di guardare fuori.

E una visione non angusta del proprio mandato è indispensabile per Napoli, una città decisiva per il futuro del meridione e, quindi, d’Italia. La cura dei suoi mali, la soluzione dei suoi problemi specifici non può prescindere dal contesto: Italia, Europa e Mediterraneo.

Solo, mi permetto, una esortazione. Napoli non ha, a mio avviso, mai avuto una classe politica di valore, nonostante, innegabilmente, abbia espresso individualità di rilievo anche nazionale. Questa carenza è emersa con particolare forza negli ultimi anni funestati da scandali politici di ogni sorta e depressi da diffuse inadeguatezze. Anche ciò rende indispensabile che Bassolino si avvalga di una squadra di giovani preparati e motivati; ciò sarà utile non solo a governare ma contribuirà, nel contempo, a formare una nuova e necessaria classe dirigente. Per questo duplice compito, di Amministratore e di allenatore, ad Antonio Bassolino va il mio “in bocca al lupo!”.

 

 
 
 

Il Mezzogiorno? Un buco nero.

Post n°94 pubblicato il 27 Febbraio 2016 da mcalise
 

Come non rimanere colpiti dall’intervista di Conchita Sannino a Roberto Saviano (La Repubblica del 26-2-2016 pag. 20). Quest’ultimo, con il consueto acume, denuncia il sostanziale disinteresse del PD nei confronti del sud. Afferma tra l’altro: Lo sa il Pd nazionale come tratta i posti difficili del sud? Come buchi neri. E difatti tende a lavarsene continuamente le mani”. Come dargli torto, in un’analisi centrata sulla città di Napoli e le prossime elezioni amministrative, offre spunti per amare riflessioni che riguardano la Campania e l’intero sud.

Renzi, segretario del PD e Presidente del Consiglio, non ha lesinato annunci. Ieri il masterplan, oggi l’inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria. Prima della cronica carenza di risorse risalta la mancanza di idee, di progetti che, si badi bene, dovrebbero trovare, principalmente, la luce nei territori interessati. Infatti non era assurdo sperare che i Presidenti delle regioni meridionali, tutti PD, insieme e senza contrapporsi a nessuno, collaborassero per avviare gli interventi necessari in un’ottica lungimirante e vasta. La Regione Campania, non solo per motivi storici, avrebbe dovuto essere capofila di una tale iniziativa.

Purtroppo la Giunta De Luca è contrassegnata da una gestione personalistica restia alla condivisione. Il localismo e l’attenta gestione dei feudi elettorali è il suo tratto distintivo, come l’opposizione al piano governativo di unificare in un'unica Autorità i porti di Salerno e Napoli ha evidenziato.

A livello comunale l’atteggiamento è lo stesso, ognuno intento a coltivare il proprio orticello.

I Comuni del centro-nord si rimboccano le maniche, collaborano, si aggregano. Nel meridione tutti fermi! Un’ulteriore riprova di questo immobilismo, di questa avversione per la cooperazione, si deduce anche dalla scarsa diffusione dell’istituto dell’UNIONE dei comuni.

Il 65% delle unioni realizzate sono nel centro-nord e solo il 35% nel Sud e le isole (fonte: ANCI Nov. 2015). La Campania si distingue, negativamente, con 15 unioni che interessano solo 90 comuni; mentre, ad esempio, in Puglia sono 23 le unioni che associano 113 comuni.

Il calcolo delle percentuali chiarisce meglio: aderiscono alle unioni il 44% dei comuni pugliesi e solo il 17% dei campani!

L’individualismo e il localismo sono tratti storici del nostro carattere che, oggi più che mai, non portano da nessuna parte. Nelle questioni pubbliche il comune buonsenso del “l’unione fa la forza” stenta ad affermarsi. Nessuno sembra farsi carico di questo problema essenzialmente culturale; vi sono diffuse responsabilità, antiche e nuove. Ma è facile constatare che il PD regge il Governo nazionale, le giunte regionali e molte amministrazioni comunali meridionali e, pertanto, non possiamo che associarci al senso di disillusione, all’amarezza espressa da Roberto Saviano. Ma sia chiaro, se da Roma ci vedono come buchi neri dipende anche da noi!

 
 
 

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