CALICI DI STELLE

IL PAESAGGIO HA UN PRECISO SIGNIFICATO E LE CITTà DESERTE LO RIVELANO


Le città deserte sono forse il segno più eloquente del paesaggio al tempo del Coronavirus. Neppure durante le estati più torride o in occasione delle più avvvincenti finali dei campionati mondiali di calcio si è vista una tale desolazione, che per di più non si limita a qualche ora, ma perdura incessantemente da settimane. Semmai se si vuole azzardare un paragone sembra più azzeccato quello con il paesaggio urbano di Cernobyl o di Fukushima poco dopo i relativi disastri nucleari. Di fatto, nella sua drammatica semplicità, il paesagggio attuale delle nostre città rivela tutta l'incongruenza tra i grandi viali progettati per centinaia di auto, le piazze concepite per l'aggregazione di migliaia di persone, e l'assenza pressochè assoluta di esseri umani. Un'incongruenza che è facile concepire come un'anomalia inspiegabile se non, appunto, sapendo di vivere nel bel mezzo di una pandemia. Così il Coronavirus ci fa scoprire il valore semiotico del paesaggio, dove tutto ciò che si osserva in un territorio ha un preciso significato la cui percezione è necessariamente funzione della conoscenza dell'osservatore. E non si tratta di un mero esercizio retorico, piuttosto è una straordinaria occasione per capire il senso di quanto asserito ormai 20 anni fa dalla Convenzione Europea del Paesaggio, in cui il paesaggio è parte di un territorio così come è percepita dalle popolazioni. Una definizione che ha segnato una svolta storica del concetto di paesaggio, fino ad allora confinato nel dualismo elitario tra umanisti e scienziati/tecnici del territorio. Una condizione che vale anche per i 4 principali fattori individuati dagli scienziati all'origine e nella diffusione della pandemia di Coronavirus. Le grandi concentrazioni di persone nelle aree metropolitane, la globalizzazione, la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici. Ogniuno di questi fattori ha impresso il proprio segno sul paesaggio del pianeta in modo estremamente marcato tanto ad assumere un valore iconico del nostro tempo. Si pensi alle metropoli congestionate, ai grandi hub per i trasporti di merci e persone, alle coltivazioni intensive sopratutto a scapito della foresta pluviale equatoriale e infine, allo scioglimento dei ghiacci. Modifiche del territorio che ben sappiamo ancor prima della comparsa del Coronavirus, avere effetti devastanti non solo per l'uomo, ma per l'intero pianeta, eppure ritenuti meno importanti della crescita del Pil e pertanto considerati da larghe fasce della popolazione il male minore per mantenere il nostro attuale stile di vita. Ora sappiamo che questi stessi paesaggi sono stati anche i presupposti per la comparsa e la diffusione del virus che ci sta affliggendo, e lo sono di quelli che sicuramente verranno in un futuro non lontano. Una consapevolezza che toglie ogni alibi sia a interpretazioni di comodo da parte di chi sta nelle stanze dei bottoni, sia all'indifferenza di chi ne subisce passivamente le (non) decisioni.