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X LA VERIFICAAA COPIATEEEE

Post n°4 pubblicato il 10 Marzo 2008 da classe2aigea

Cosa sono i vaccini? I vaccini non sono altro che virus o batteri adeguatamente modificati che vengono introdotti nell’organismo affinché simulino l’infezione vera e propria senza darne i sintomi stimolandolo a produrre delle specifiche difese (anticorpi), efficaci e durevoli nel tempo; gli anticorpi hanno il compito di renderlo invulnerabile qualora venisse a contatto con lo stesso agente patogeno in epoca successiva. Solo la prevenzione specifica può, infatti, difenderci da alcune malattie infettive a tutt’oggi incurabili con le terapie farmacologiche a nostra disposizione, anche quando si adottino stili di vita e norme igieniche adeguati e si posseggano normali difese immunitarie. Per le malattie di origine virale, infatti, non conosciamo ancora farmaci veramente risolutivi e alcune malattie batteriche, pur curabili con antibiotici, possono avere un decorso talmente fulmineo e grave che anche una idonea terapia iniziata tempestivamente, o quantomeno appena fatta la diagnosi, potrebbe non essere in grado di contrastarne gli esiti a volte fatali (vedi meningite da meningococco). La prevenzione con immunizzazione attiva specifica, cioè con vaccinazione, ha inoltre il vantaggio, non solo di immunizzare e proteggere il singolo soggetto, ma altresì di prevenire la diffusione della malattia sia nell’ambiente frequentato dal soggetto stesso che, praticata a tappeto, nell’intera nazione, in un gruppo di nazioni e, fine ultimo dei programmi di vaccinazione di massa, nel mondo intero, com’è avvenuto per il vaiolo, come sta avvenendo per la poliomielite, come si spera possa avvenire a breve per il morbillo, la rosolia congenita ed altre importanti malattie per le quali è in atto da anni uno specifico programma vaccinale. Come sono fatti i vaccini? I vaccini possono essere costituiti da virus o batteri interi attenuati, resi cioè pressoché innocui, anche se vivi, perché resi praticamente incapaci di moltiplicarsi nell’organismo nel quale vengono iniettati: è il caso del vecchio vaccino orale Sabin contro la polio, non più in uso attualmente in Italia salvo, forse, per i richiami dopo il primo anno di vita; è il caso dei vaccini contro morbillo, parotite, rosolia, varicella e tbc e del più recente vaccino orale antirotavirus; da virus o batteri interi uccisi, come il vecchio vaccino contro la pertosse, ora sostituito dal nuovo vaccino acellulare e l’attuale vaccino Salk contro la polio; da particelle o sostanze tossiche prodotte dai germi (tossine) inattivate, come i vaccini antidifterico e antitetanico; da componenti specifiche dei virus o dei batteri come il vaccino anti Haemophilus e il vaccino a sub-unità virali contro l’influenza; da proteine ottenute sinteticamente come nel vaccino anti epatite B e nel vaccino antipertosse acellulare attualmente in uso. Oltre al principio attivo, il vaccino contiene altre sostanze necessarie per garantirne l’efficacia, l’immunogenicità, la durata nel tempo, cioè la stabilità e l’assenza di contaminazione da parte di altri virus o batteri. Per aumentare il potere immunogenico del vaccino, cioè la sua efficacia, si aggiunge spesso ai vaccini idrossido o solfato di alluminio, per prolungare la sua stabilità nel tempo si usano sostanze a base di mercurio, soprattutto il thimerosal, per impedirne la contaminazione con altri agenti patogeni si aggiungono antibiotici, soprattutto neomicina, altre volte streptomicina. I vaccini, inoltre, possono essere prodotti con virus coltivati su embrioni di pollo (uova). Molte polemiche riguardanti l’uso dei vaccini si riferiscono proprio alle possibili, anche se rarissime, reazioni avverse dovute agli eccipienti e agli stabilizzanti che contengono nonché ai terreni di coltura dove vengono moltiplicati e attenuati i virus. Esse sarebbero sostanzialmente responsabili di reazioni allergiche, non solo locali, ma a volte generalizzate fino allo shock anafilattico e tossiche: farebbe preoccupare l’uso di composti mercuriali dato che sono conosciute sindromi neurologiche dovute ad intossicazione da sali mercuriali.  Le attuali tecniche di produzione e di somministrazione dei vaccini (unica somministrazione per più vaccini come avviene con i vaccini coniugati come l’esavalente) permettono di limitare al massimo la quantità di tali sostanze indesiderate ed i conseguenti rischi per la salute. I vaccini si somministrano essenzialmente per via intramuscolare e alcuni, quelli preparati con virus vivi attenuati come morbillo, parotite, rosolia e varicella, per via sottocutanea. Si preferisce somministrarli sul muscolo della coscia (zona antero superiore esterna) nei lattanti e sul braccio (deltoide) nei bambini più grandicelli perché è necessario che il vaccino sia ben assorbito: deve quindi essere iniettato in una zona dove non vi è molto adipe e dov’è presente un’attiva circolazione sanguigna. Questo non succede se viene iniettato in una zona ricca di tessuto adiposo come le natiche, zona nella quale, per di più, si corre il rischio di incontrare il nervo sciatico che verrebbe dolorosamente irritato e sollecitato dalle sostanze contenute nel vaccino. Intervalli tra le varie dosi di vaccino e necessità di richiami: Nei primi mesi di vita, periodo in cui si inizia a vaccinare il bambino, la durata della memoria immunitaria è molto corta a causa della immaturità funzionale del sistema immunitario del lattante: pertanto, un vaccino che, se fosse somministrato per la prima volta dopo il compimento del primo anno di vita, stimolerebbe una immunità duratura con una o al massimo due dosi distanziate di alcuni anni l’una dall’altra, nel lattante necessita di due o tre dosi distanziate di poche settimane l’una dall’altra per essere sufficientemente immunogenico. Ciononostante, è importantissimo proteggere comunque il neonato sin dalle primissime settimane perché, fino al terzo anno di vita, malattie che, se contratte da più grandi, potrebbero non complicarsi e non diffondersi oltre le prime vie respiratorie, come le infezioni da emofilo, da pneumococco e da meningococco, rischiano di trasformarsi in vere e proprie setticemie oppure possono attraversare la barriera emato-liquorale che separa la circolazione sanguigna da quella del liquor che irrora le meningi e l’encefalo e trasformarsi in pericolose meningiti o encefaliti.

CONTROINDICAZIONI:

·                                 malattie febbrili acute in atto (si aspetta, ovviamente la guarigione del bambino)

·                                 disturbi clinici importanti come malattie neurologiche in fase evolutiva (si aspetta la stabilizzazione della malattia più che la guarigione)

·                                 alterazioni del sistema immunitario come immunodeficienze congenite o acquisite in seguito a terapie antitumorali (leucemie, linfomi, HIV, radiazioni, trattamenti con alte dosi di cortisone): se il bambino guarisce e può sospendere le terapie, le vaccinazioni vanno solo posticipate ma finché persiste il deficit immunitario non si vaccina

·                                 terapie a base di cortisone per via sistemica ad alte dosi (più di 2 mg di prednisone pro kg di peso) protrattasi per più di due settimane: in tal caso le vaccinazioni vanno posticipate dopo tre mesi dalla sospensione della terapia

·                                 allergie manifestate con sintomi importanti come crisi anafilattica ad alcuni costituenti del vaccino come neomicina, idrossido o fosfato di alluminio, sostanze che contengono mercurio come il thimerosal, alcune gelatine di derivazione animale, grave allergia alle proteine del’uovo (si somministra, se esistente, un vaccino equivalente che non contenga la sostanza incriminata): in questo caso si rimette al medico la decisione se proseguire con le vaccinazioni, visto che non è sempre possibile accertare quale componente del vaccino abbia scatenato la crisi

VACCINO CONTRO IL PAPILLOMA VIRUS

In Italia il tumore del collo dell'utero colpisce circa 3500 donne ogni anno: l’incidenza più elevata si ha attorno ai 45 anni di età, mentre è praticamente assente sotto ai 25 anni. 

 

Oggi l'arma migliore per contrastare questo tumore è il Pap Test (noto come "striscio"), un esame semplice e innocuo, che permette di identificare la presenza di lesioni anche piccolissime e di curarle tempestivamente prima che si trasformino in tumore. 

In diverse regioni italiane sono attivi dei programmi di prevenzione (screening) rivolti a tutte le donne di età compresa fra 25 e 64 anni: queste donne vengono invitate dalla Azienda USL a effettuare un Pap Test completamente gratuito ogni 3 anni. 

 

Che tipo di vaccino verrà proposto? 

Si tratta di un vaccino contro il papilloma virus (HPV). Di questo ne esistono oltre 120 diversi tipi (ceppi), ma la stragrande maggioranza non causa lesioni e tumori. Il vaccino messo in commercio è diretto contro 4 ceppi del virus: HPV 16, HPV 18, HPV 11, HPV 6. Due di questi (HPV 16 e 18) sono quelli più frequentemente correlati alle lesioni tumorali e sono responsabili da soli del 70% dei casi di tumore del collo dell'utero. Gli altri due tipi (HPV 6 e HPV 11) sono invece correlati a lesioni benigne chiamate condilomi che, sebbene fastidiose, non causano lesioni maligne. Come si contrae l’infezione? Il virus HPV si trasmette con i rapporti sessuali, completi e non: si tratta di una infezione comune e si stima che nel mondo oltre il 75% delle donne siano state infettate dal virus durante la loro vita. Nella maggioranza dei casi la donna non se ne accorge: infatti in 3 casi su 4 l'infezione è asintomatica, cioè non procura alcun disturbo e si risolve, senza bisogno di trattamento. Invece in 1 caso su 4 può provocare lesioni benigne (condilomi) oppure altre lesioni che invece, se non trattate, possono portare a tumori alla cervice uterina. Da quando si contrae l'infezione a quando si sviluppa il tumore possono passare anche 20-30 anni, per cui i tumori che colpiscono le donne di 45-50 anni sono la conseguenza di infezioni contratte in giovane età. 

 

Come avviene la vaccinazione? 

Il vaccino viene somministrato tramite una iniezione intramuscolare. Sono previste 3 dosi: la seconda dopo 2 mesi e la terza dopo 6 mesi dalla prima dose. 

 

Perché la vaccinazione è raccomandata a 12 anni, se il tumore colpisce maggiormente le donne adulte? 

Perché si tratta di un vaccino e quindi ha lo scopo di prevenire l'infezione e non di curarla. 

Deve essere somministrato prima che la persona sia stata infettata dal virus, condizione che si verifica sicuramente prima del primo rapporto sessuale. Infatti la vaccinazione ha la massima efficacia nelle donne che non sono entrate in contatto con il virus: l'effetto protettivo diminuisce notevolmente se si è già entrati in contatto con uno o più dei ceppi virali contenuti nel vaccino. Quindi per tutte le donne che hanno già avuto rapporti sessuali l'arma più efficace e sicura a disposizione per prevenire i tumori del collo dell'utero è il Pap Test. 

 

Qual è l'efficacia della vaccinazione? 

Gli studi realizzati fino ad oggi hanno coinvolto donne di età inferiore a 26 anni che non erano state contagiate dal virus. In queste donne la vaccinazione è efficace nel prevenire il 98% dei casi di infezione dovuta ai ceppi di HPV del vaccino e le lesioni pre-cancerose correlate, cioè quelle che possono precedere lo sviluppo del tumore. Inoltre permette di prevenire anche altre lesioni, i condilomi, non legate allo sviluppo dei tumori. 

E' fondamentale ricordare che la vaccinazione è un alleato importante per ridurre il rischio di tumore, ma da sola non basta. Il vaccino, infatti, protegge da lesioni benigne (condilomi) associate a due dei ceppi virali del vaccino (HPV 6 e 11) e previene lesioni pre-cancerose associate agli altri due ceppi del vaccino (HPV 16 e 18), che costituiscono circa il 70% dei casi. Resta, dunque, un 30% di casi che non sono protetti dalla vaccinazione e proprio per questo è estremamente importante che in futuro le donne, anche se vaccinate prima della pubertà, si sottopongano con regolarità al Pap Test ogni 3 anni

 

Posso fare il vaccino se ho più di 12 anni? 

Il vaccino può essere utile anche se si hanno più di 12 anni, ma la sua efficacia diminuisce se si è già entrati in contatto con 1 o più dei ceppi virali contenuti nel vaccino stesso. Dunque la sua efficacia è massima nelle donne che non hanno avuto rapporti sessuali. 

Le donne che hanno avuto rapporti sessuali potrebbero essere entrate in contatto con il virus senza accorgersene, dal momento che l'infezione in 3 casi su 4 non procura alcun sintomo. Quindi per queste ultime l'unica arma di provata efficacia è il Pap Test da eseguire ogni 3 anni. Attualmente il vaccino non è indicato nelle donne con più di 26 anni. 

 

Quali effetti collaterali ha la vaccinazione? 

Gli studi effettuati fino a ora hanno mostrato che il vaccino è sicuro e gli effetti collaterali più comuni sono rappresentati da irritazioni della pelle in corrispondenza dell’iniezione. Visto che il vaccino è stato testato su un numero di donne relativamente piccolo, fino ad ora non è stato possibile identificare eventuali reazioni avverse rare. Quindi, come per tutti i farmaci appena immessi sul mercato, è essenziale segnalare al proprio medico eventuali effetti collaterali. 

 

Quanto dura l’efficacia del vaccino? 

I dati a disposizione sembrano indicare che l'immunizzazione offerta dal vaccino dura 5 anni. Al momento non si hanno altre informazioni: gli studi per stabilire la durata complessiva della copertura vaccinale sono tuttora in corso e solo quando saranno conclusi sarà possibile sapere ogni quanto tempo saranno necessari i richiami.

Identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa, l'influenza aviaria è una malattia degli uccelli causata da un virus dell'influenza di tipo A, che può essere a bassa o ad alta patogenicità. Diffusa in tutto il mondo, l'influenza aviaria è in grado di contagiare pressoché tutte le specie di uccelli, anche se con manifestazioni molto diverse, da quelle più leggere fino alle forme altamente patogeniche e contagiose che generano epidemie acute. Se causata da una forma altamente patogenica, la malattia insorge in modo improvviso, seguita da una morte rapida quasi nel 100% dei casi. La paura di una nuova pandemia, originata da un passaggio del virus aviario all’uomo, ha messo in moto una serie di misure straordinarie di prevenzione in tutto il mondo.

Un virus instabile
Riserve naturali dei diversi sottotipi di virus dell'influenza aviaria sono le anatre selvatiche, identificate come fonte di contagio per il pollame da allevamento, (polli e tacchini), particolarmente suscettibile alla malattia. Nei Paesi asiatici, un ruolo preminente alla diffusione del virus è stato identificato nella vendita di pollame vivo ai mercati. Inoltre, i virus si possono trasmettere da azienda ad azienda tramite i mezzi meccanici, gli attrezzi e strumenti contaminati, le macchine, i mangimi, le gabbie, o perfino gli indumenti degli operatori.

I virus di bassa patogenicità possono, dopo aver circolato anche per brevi periodi in una popolazione di pollame, mutare in virus altamente patogenici. Per esempio, secondo quanto riportato dall'Oms, nel corso dell'epidemia del 1983-1984 negli Stati Uniti, il virus H5N2 inizialmente causò bassa mortalità ma divenne poi, nei sei mesi successivi, altamente patogenico, con una mortalità vicina al 90%. Per controllare l'epidemia, in quel caso, fu necessario abbattere più di 17 milioni di uccelli, per un costo totale di quasi 65 milioni di dollari.

Si conoscono almeno quindici sottotipi di virus influenzali che infettano gli uccelli, anche se tutte le epidemie di influenza altamente patogenica sono state causate da virus di tipo A dei sottotipi H5 e H7. I virus del sottotipo H9 sono solitamente a bassa patogenicità. A seconda del tipo di proteina combinata con il virus (da N1 a N9), il virus acquisisce una denominazione diversa (H5N1, H7N2 ecc).

Tutti i virus influenzali di tipo A sono noti per l'instabilità genetica, in quanto sono soggetti a numerose mutazioni durante la replicazione del Dna e sono privi di meccanismi di correzione. Il fenomeno, definito di “deriva genetica”, genera cambiamenti nella composizione antigenica di questi virus. Una delle attività principali della sorveglianza influenzale è quindi quella dedicata al monitoraggio di questi cambiamenti, condizione di base per la scelta di una appropriata composizione vaccinale. Inoltre, i virus di tipo A possono andare incontro a riassortimenti del proprio materiale genetico, secondo un processo definito di “shift genetico”, che fa sì che vengano prodotti nuovi sottotipi virali diversi da quelli parentali, e capaci quindi di indurre la malattia anche in soggetti che siano stati preventivamente vaccinati contro i ceppi parentali.

Rischio di contagio per l’uomo
Dall’inizio della presente epidemia nelle zone del Sud-est asiatico, che ha preso il via nel corso del 2003, l’Oms ha lanciato un allarme a tutte le istituzioni internazionali a cooperare per attuare piani e azioni preventive per ridurre il rischio di passaggio all’uomo del virus aviario. Condizione essenziale perché virus che normalmente sono ospitati da animali diventino patogenici per l’uomo è che nel processo di riassortimento acquisiscano geni provenienti da virus umani, che li rendano quindi facilmente trasmissibili da persona a persona. I casi di influenza aviaria su uomo registrati nel corso del 2003 e 2004 sono invece casi di trasferimento diretto da pollame infetto a persone.

Dei 15 sottotipi di virus aviari, H5N1 circolante dal 1997, è stato identificato come il più preoccupante proprio per la sua capacità di mutare rapidamente e di acquisire geni da virus che infettano altre specie animali. Gli uccelli che sopravvivono a H5N1 lo rilasciano per un periodo di almeno 10 giorni.

Dall’inizio del 2003, H5N1 ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi, trasformandosi quindi in un problema di salute pubblica ben più preoccupante. La capacità del virus di infettare i maiali è nota da tempo, e quindi la promiscuità di esseri umani, maiali e pollame è notoriamente considerata un fattore di rischio elevato.

Nelle epidemie recenti, a partire dal 2003, è stata documentata la capacità di questo virus di contagiare direttamente anche gli esseri umani, causando forme acute di influenza che in molti casi hanno portato a morte. Il rischio principale, che fa temere l’avvento di una nuova pandemia dopo le tre che si sono verificate nel corso del XX secolo (1918, 1957, 1968), è che la compresenza del virus aviario con quello dell’influenza umana, in una persona infettata da entrambi, faciliti la ricombinazione di H5N1 e lo renda capace di trasmettersi nella popolazione umana

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Commenti al Post:
chiaracarboni90
chiaracarboni90 il 29/03/11 alle 16:19 via WEB
Grazie per l'informazione riguardante il vaccino della rosolia. Un bacione, Chiara.
(Rispondi)
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