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Messaggi di Aprile 2019

 

Occupazione? Per i populisti č meglio il "voto" di povertą!

Post n°105 pubblicato il 23 Aprile 2019 da claudionegro50
 

Sul Corriere del 18 aprile Antonio Polito picchia duro su quelle che, secondo lui, sono le inadeguatezze e gli errori della sinistra nella gestione della crisi del welfare: avere "dimenticato il disagio sociale", avere ritenuto che "alla povertà doveva pensarci il lavoro", " che il problema sociale si potesse risolvere con l'istruzione" e di avere agito solo in difesa dei "garantiti con un lavoro e un reddito, come i destinatari degli 80 € di Renzi". Avere ignorato i "perdenti della nuova competizione sociale" che "il populismo ha raccolto dietro le sue bandiere".

La tesi di Polito è che il welfare consista nello stendere "una rete sotto la quale nessun cittadino può cadere".


Si tratta di un punto di vista, peraltro piuttosto distante dalle posizioni che esprimeva Il Riformista quando Polito ne era direttore, che vorrei contestare nel merito, non per far polemica con Polito, del quale ho sempre avuto grande stima, ma perchè la sua posizione è emblematica di una tendenza autoflagellatoria che si va manifestando nella sinistra riformista.


Innanzitutto credo che vada ampiamente ridimensionata la vulgata dei "perdenti... i forgotten men" i poveri che costituirebbero l'esercito dei populisti: nella stessa pagina del giornale l'articolo di Di Vico mostra che le cifre comunemente accettate vanno riviste alla prova dei fatti: 1 milione 650.000 le persone già individuate come destinatarie del Reddito di Cittadinanza, cui si possono aggiungere 206.000 nuovi destinatari delle nuove domande prenotate ma ancora non lavorate (75% di 100.000 domande moltiplicato 2,65 individui per famiglia)) e, per precisione statistica, circa 80.000 immigrati residenti da meno di 10 anni e quindi non aventi diritto. Totale 1.936.000, assai lontani dai 5.058.000 stimati dall'ISTAT e sui quali sono sempre stati fatti tutti i conti e le valutazioni. Anche pensando che la cifra possa ulteriormente crescere per varie ragioni difficilmente potrà essere raggiunta la metà dei poveri "attesi". Chi ha decretato il successo del M5S alle elezioni del 2018 non sono questi "dimenticati": anche se tutti in blocco avessero votato M5S non avrebbero rappresentato neppure il 25% degli oltre 10 milioni di voti riportati dal partito. La leggenda dei forgotten come base dei populisti non funziona..!

A meno di introdurre una categoria nuova: quella del forgotten percepito, ossia chi pur non rientrando nei criteri per definire la povertà assoluta povero si sente. Naturalmente il sentiment è un indicatore serio e da non sottovalutare, ma va ricondotto a qualche riscontro oggettivo se dobbiamo tenerne conto nel definire politiche di protezione sociale. Ora, le soglie utilizzate dall'ISTAT per definire lo stato di povertà assoluta non sono irragionevolmente basse: ad esempio, è considerata povera una famiglia composta da due adulti e due minori che viva in una grande città del Nord e che non riesca a spendere 1.746,82 € al mese, o una famiglia composta da 5 adulti che non sia in grado di spendere 1.466,77 € al mese in un piccolo centro del Sud.

Sulla base di queste soglie la stima di 5 milioni di poveri è verosimile: tuttavia questi 5 milioni quando veniamo al dunque non saltano fuori!


Come dice Di Vico, forse Il RdC avrà come utile effetto collaterale quello di renderci una statistica vera della povertà in Italia! Ma è opportuno azzardare qualche ipotesi circa i motivi per cui, con ogni evidenza, i dati reali tendono a divergere da quelli stimati. Credo che la ragione sia simile a quella per cui i dati comunemente diffusi sull'ammontare delle rendite pensionistiche mostrano un panorama desolato di anziani alla fame, ma trascurano di dire che ogni pensionato reale è percettore mediamente di 1,5 rendite pensionistiche, il che cambia sostanzialmente il panorama. Analogamente una percentuale difficile da precisare, ma che probabilmente può aggirarsi attorno al 50% sulla base dei risultati sopra esaminati del RdC, dei teorici poveri è destinatario di un mix di interventi/sussidi a carico dei Comuni, delle Regioni o di altre provvidenze con svariate motivazioni (famiglie numerose, sostegno allo studio, maternità, aiuto disabili, aiuto affitto, ecc.) che alla fine determinano un reddito reale che le porta fuori dalla condizione di povertà statisticamente definita e dai requisiti previsti per il RdC. Non certamente ad una condizione di benessere, ma questa ben difficilmente può, nella realtà dell'Occidente del terzo millennio, essere garantita dal Welfare.


E qui entra il discorso sul lavoro: non aveva torto la sinistra, a dire che è l'unico rimedio reale alla povertà. Il 26,7% (dati ISTAT 2017) dei poveri sono disoccupati in cerca di lavoro, l'11,9% sono disoccupati non attivi, solo il 4% sono pensionati. Soltanto il 6% degli occupati rientra nella fascia dei poveri (il che implica comunque aprire una riflessione sui working poors). Inoltre: i dati ci dimostrano che effettivamente esiste un rapporto inverso tra istruzione e povertà. ISTAT ci dice che le famiglie in cui la persona di riferimento ha soltanto la licenza elementare cadono in condizioni di povertà nel 10.7% dei casi, e se ha la licenza media nel 9,6%. Se ha un titolo di studio superiore la percentuale di povertà precipita al 3,6%.. Occupazione e istruzione (in quanto funzionale all'occupazione) sono effettivamente le assicurazioni più certe contro la povertà. E allora il problema principale che dovremmo porci, prima ancora della rete di sicurezza è quello dell'istruzione - formazione e delle politiche di servizio al lavoro.


Infine: Renzi avrebbe privilegiato con gli 80 € i "garantiti". In realtà si tratta di un'operazione diversa, dal segno non assistenziale: tagliare il cuneo fiscale-contributivo significa aumentare le retribuzioni nette e quindi ridurre il costo del lavoro. Un provvedimento sul versante della produttività e non del welfare, ancora insufficiente ma orientato nella direzione da sempre invocata da Sindacati e Imprenditori per far crescere occupazione e competitività.


Dal ragionamento di Polito pare uscire una visione del welfare come soluzione alternativa per chi non lavora, il che sarebbe del tutto condivisibile se si tratti di un sussidio temporaneo legato ad un percorso di inserimento lavorativo (come è in tutta Europa) salvo casi eccezionali di persone non in grado di lavorare per patologie o età (che però di solito sono assistite con rendite ad hoc), ma non se crea una condizione in cui, di fatto, si possa scegliere tra sussidio e lavoro. Il che è esattamente ciò che produrrà il Reddito di Cittadinanza; ma ciò non infastidisce Polito, che anzi sottoscrive l'opinione del Prof. Tridico: "sottrarre le persone alla povertà conta di più che avviarle al lavoro". Ma questa interpretazione ha molto poco a che fare con la "rete di sicurezza".

Ma torniamo alla questione di fondo: quanti sono i poveri "veri" in Italia? Quanti sono i disoccupati anche non poveri? Qual'è la priorità di un'agenda di governo che pensi al futuro e non alle prossime elezioni? L'assistenza (pochi, maledetti e subito!) o l'occupazione? Ovvio che l'uno non esclude l'altra, ma dove va messo l'accento? Questa, e va resa esplicita e valorizzata, è la distanza che corre tra il welfare di una sinistra riformista e l'assistenzialismo populista.

 

 

 

 
 
 

Clamoroso: il Prof. Tridico ha scoperto la formula per creare occupazione...

Post n°104 pubblicato il 12 Aprile 2019 da claudionegro50
 

 

Più che un governo giallo - verde un governo vintage: traspare sempre dalle dichiarazioni e dai progetti uno struggimento per ciò che è stato, il vagheggiamento di riportarlo in vita, l'attrazione per un orizzonte che sta alle spalle, la malia della decrescita felice. Tornare indietro nel tempo pare essere il rimedio ad un futuro sconosciuto (ovviamente) e quindi terrificante.

Ora è il turno di Tridico, consigliere economico di Di Maio, autore materiale del dispositivo di Reddito di Cittadinanza, e per tali meriti elevato alla Presidenza dell'INPS, di riscoprire con gioioso appagamento la ricetta, in cerca della quale avrà trascorso settimane e mesi in obliate biblioteche tra polverosi incunaboli, per creare occupazione, alla faccia del Jobs Act e della recessione; e tutto ciò, come sempre per le idee geniali, è riconducibile ad un titolo semplicissimo ed efficacissimo: LAVORARE MENO PER LAVORARE TUTTI. Era uno slogan degli anni' '70, la cui popolarità è durata solo il tempo di constatarne l'impraticabilità. Ma vediamo nel dettaglio i contenuti dell'uscita antiquaria di Tridico:

"Non ci sono riduzioni di orario da 50 anni e invece andrebbe fatta". Non è vero: i CCNL hanno ridotto l'orario contrattuale di lavoro molte volte negli ultimi 50 anni; ma anche l'orario legale è stato fissato per l'ultima volta nel 2003, compresa la possibilità di utilizzare meccanismi come la "Banca delle Ore invocata da Tridico per compensare riposi e straordinari.

Il primo passo sarà la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario per aumentare l'occupazione e incentivare la riorganizzazione produttiva delle imprese". Ma per quale mai ragione un'impresa, avendo dipendenti che lavorano meno ore, dovrebbe assumere nuovi lavoratori anziché chiedere a quelli in forza di fare un po' di straordinari (con reciproca soddisfazione...). Inoltre: si pensa davvero che, soprattutto in una fase di recessione, aumentare il costo del lavoro per ora lavorata, sia una ricetta espansiva?

"Le politiche per l'occupazione dovranno anche tener conto dell'avanzare della robotizzazione che mette a rischio i posti di lavoro". A parte il fatto che industry 4.0 se deve aspettare le politiche micragnose del governo produrrà effetti importanti solo al rallenty, la rivoluzione digitale distruggerà posti di lavoro ma ne creerà di nuovi, come è sempre accaduto in tutte le precedenti rivoluzioni industriali. La documentazione e gli studi in proposito abbondano: peccato non leggerli..! In realtà la riduzione di orario ha avuto (e ha ancora) un'efficacia soltanto difensiva, quando si tratti salvare posti di lavoro per un periodo determinato, e si realizza attraverso i contratti di solidarietà, la Cassa Integrazione, e spesso tramite il part time (volontario o no).

"Gli incrementi di produttività vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero. Con questa riduzione aumenterebbe l'occupazione". Peccato però che la produttività del lavoro dal 1995 al 2017 sia cresciuta mediamente solo dello 0,4% annuo, contro una media europea quattro volte più alta. Soltanto nel 2017 abbiamo avuto una lieve crescita, pari allo 0,8%, ma la distanza con le principali economie europee resta enorme, e non migliora se prendiamo in considerazione la Produttività Totale dei Fattori. Il punto è che le pessime performance della produttività sono dovute ad una bassa quota di investimenti in innovazione digitale (cosa che al governo sembra importare molto meno che mandare la gente in pensione anticipata e distribuire sussidi) nonché al fatto che aumenta il numero degli occupati ma diminuiscono le ore lavorate pro capite: ossia esattamente l'obiettivo che Tridico si propone di raggiungere, e che tra l'altro è all'origine delle basse retribuzioni di cui beneficia il Paese!

Del resto la sinistra francese rimase vittima dello stesso abbaglio: al suo primo mandato Mitterrand impose per legge la riduzione di orario, ma dopo qualche tempo ci si accorse che il provvedimento non aveva creato occupazione, ma tempo libero, cosa piacevole (almeno per chi ha i soldi per goderselo...) ma ininfluente ai fini della crescita economica. Un altro piccolo esempio l'abbiamo in casa: si tratta dei Contratti di Solidarietà "Espansivi", quelli cioè in cui i lavoratori accettano di ridurre le ore lavorate, avendone un parziale risarcimento dall'INPS; in cambio di nuove assunzioni. Questo strumento è stato pochissimo utilizzato, e ha quindi avuto un impatto trascurabile sull'occupazione.

La verità è che l'occupazione non aumenta per decreto, ma con politiche ben note, che però comportano una dislocazione delle risorse molto lontana dalla scala di priorità cui, evidentemente, fa riferimento Tridico. Si tratta di intervenire sul cuneo fiscale-contributivo che grava sul lavoro (vedi i recentissimi dati dell'OCSE in merito). Di investire e agevolare gli investimenti privati in infrastrutture e soprattutto in innovazione tecnologica. Di intervenire pesantemente sull'istruzione-formazione e sui servizi al lavoro: c'è un mismatch importante tra domanda e offerta di lavoro, della quale parleremo più approfonditamente in altra occasione. Il sistema Excelsior di Unioncamere segnala un disallineamento che nel 2018 ha riguardato il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti di lavoro che il sistema produttivo aveva intenzione di stipulare, 5 punti percentuali in più del 2017.

Se invece si pensa di creare occupazione mandando in pensione chi lavora o pagando chi non lavora si dimostra incompetenza o interesse esclusivo e cinico ai prossimi risultati elettorali. Ma, perbacco, con la benedizione Accademica..!

 

 
 
 
 
 

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