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Sindacati e Confindustria: no art.39 no salario minimo sì validità universale contratti. L'immaginazione al potere?

Post n°106 pubblicato il 17 Giugno 2019 da claudionegro50
 

Ho ascoltato, durante un dibattito, un'argmentazione contro l'istituzione del salario minimo di legge da parte del Segretario Generale in pectore della UIL, Bombardieri che il giorno dopo ho trovato autorevolmente ribadita sul Corriere da parte del Vicepresidente di Confindustria Stirpe, che mi ha lasciato alquanto perplesso; è riassumibile così: l'ipotesi dei 9 € come retribuzione oraria comprende i ratei di ferie, TFR e tredicesima? Domanda ovviamente retorica: la risposta è no.

Vedo due obiezioni di metodo a questo ragionamento talmente evidenti che stupisce che due primari protagonisti delle Relazioni Industriali non li abbiano previsti ed evitati.

Innanzitutto le ipotesi di salario minimo non sono obbligatoriamente legate ad un parametro orario: può benissimo essere un minimo mensile, e dal mensile all'orario si passa con una semplice operazione aritmetica utilizzando il parametro delle ore mensili di lavoro, fissate convenzionalmente da ogni CCNL ed utilizzato comunemente per fare i conti del dovuto ( o del trattenuto) in busta paga.

In secondo luogo nemmeno i minimi tabellari contrattuali che il salario minimo prevederebbe di stabilire ope legis, comprendono ratei di ferie, di TFR, di tredicesima, di trattamento integrativo di malattia, di eventuale quattordicesima, di eventuale EdR, e di altre voci che sono, per l'appunto, aggiuntive ai trattamenti minimi. Molte di queste voci sono poi normate per legge (TFR, trattamenti minimi di ferie, Tredicesima) e non derivano da contrattazione collettiva, se non per eventuali miglioramenti ad integrazione.

I 9 €, o se volete valorizzarli come retribuzione mensile, 1584 € (parliamo sempre di lordo) fissati per legge o per contratto non cambiano questa realtà.

Il timore, ben esposto da Stirpe, è che le imprese possano limitarsi ad applicare il salario minimo e buttare alle ortiche tutto il resto. Ma questo è impossibile in forza di legge per quanto concerne appunto voci normate per legge quali tredicesima, TFR, trattamento di malattia, tutele della lavoratrice madre, cause di licenziamento illegittimo, ecc.

Se però un'azienda poniamo metalmeccanica non iscritta Federmeccanica volesse oggi, in assenza di salario minimo legale, non applicare il CCNL di Categoria potrebbe benissimo farlo: le basterebbe rispettare i minimi tabellari stabiliti dal CCNL e, ovviamente, tutti i trattamenti di legge. L'unico obbligo che le corre è infatti quello definito dall'art.36 della Costituzione (Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa); la retribuzione in questione è per consuetudine e giurisprudenza identificato col salario definito dal CCNL di riferimento.

Il punto è che a legislazione vigente la contrattazione collettiva non ha valore vincolante erga omnes né esistono scorciatoie legali per renderla tale: la legge Vigorelli del 1958 che appunto conferiva validità erga omnes ai CCNL tramite il loro recepimento in DLgs fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema nel 1962 perchè in conflitto con l'art.39 della Costituzione, il quale prevede che l'associazione sindacale sia libera (nessun monopolio od oligopolio, quindi) con l'unico vincolo della "registrazione" e che siano vincolanti erga omnes i Contratti sottoscritti dalle sigle (ovviamente tra quelle registrate) che rappresentino la maggioranza dei lavoratori interessati.

Attuare tale disposizione costituzionale richiede dunque due adempimenti: misurare l'effettiva rappresentatività di ogni organizzazione, cosa complessa ma non impossibile, e peraltro già praticata nella pubblica amministrazione, e in secondo luogo procedere alla registrazione di ogni organizzazione; cosa questa che, conferendo personalità giuridica al sindacato con relativi diritti, obblighi, doveri e responsabilità legali, crea più di una ostilità.

D'altra parte o si attua l'art.39 nella sua interezza o lo si cambia con una legge di riforma costituzionale (con problemi annessi e connessi che conosciamo bene).

In assenza di ciò nessun contratto avrà mai valore erga omnes, ma soltanto per i soggetti che lo hanno sottoscritto (il che spiega perchè nella Pubblica Amministrazione il problema non si ponga, grazie all'unicità della parte datoriale), e i contratti "pirata" potranno essere soltanto oggetto di corrucciata denuncia.

In questo quadro forse è meglio che una Legge stabilisca un minimo sotto il quale nessuna retribuzione può scendere, magari differenziandolo per territorio e/o comparto economico. Se invece si vuole l'obbligatorietà del CCNL nella sua interezza, non resta che la strettoia dell'art.39. Il resto è propaganda.

 

 
 
 
 
 

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