Codice Astrale

La storia del dio dell'albero


Tanto tempo fa Brahmadatta, re di Benares, si trovò a pensare: “Dappertutto in India vi sono re che possiedono palazzi con molte colonne; se potessi farne costruire uno che poggiasse su una colonna sola, diventerei il primo e il più ammirato fra i re”. Convocò i suoi ingegneri ed ordinò loro di costruire un meraviglioso palazzo sostenuto da una sola grande colonna. “Sarà fatto”, risposero, e partirono per la foresta.  Qui trovarono un albero, alto e dritto, degno di diventare il pilastro di un tale palazzo. Ma la strada era impervia, e la distanza da percorrere troppo grande perché potessero portare il tronco con loro; perciò tornarono dal re e gli chiesero ragguagli sul da farsi. “In un modo o nell’altro”, egli rispose, “e senza ulteriori indugi, dovete fare in modo di trasportare l’albero qui”. Essi replicarono che non c’era alcun modo di far ciò. “Allora”, disse il re, “dovete utilizzare un albero del mio parco”. Qui trovarono un maestoso tamarisco, diritto e stupendo, venerato allo stesso modo dagli abitanti del villaggio e dalla famiglia reale. Riferirono al re e questi rispose: “Bene, andate ed abbattetelo immediatamente”. Essi ritornarono presso l’albero, ma non poterono cominciare a tagliarlo, prima di aver fatto al dio che lo abitava le consuete offerte, e prima di avergli chiesto di allontanarsi. Così, offrirono fiori e fronde, accesero lampade, e dissero al dio: “Fra sette giorni a partire da oggi, eseguiremo l’ordine del re e abbatteremo questo albero. Che i deva che vi dimorano si allontanino, così nessuna colpa potrà esserci attribuita!” Il dio udì queste parole, e fra sé e sé fece queste considerazioni: “Costoro hanno deciso di abbattere il mio albero. Io stesso perirò, quando la mia casa sarà distrutta. Periranno anche tutti i giovani tamarischi che mi stanno intorno, e nei quali vivono gli altri deva della mia famiglia. La mia morte mi tocca molto meno di quella dei miei piccoli, perciò cercherò, per quanto possibile, di salvare le loro vite”. Così, a mezzanotte, il dio dell’albero, divinamente radioso, entrò nella stanza del re, illuminandola con la sua splendida presenza. Il re trasalì e balbettò: “Che genere di essere sei tu, dall’aspetto così regale eppur così addolorato?” Il principe deva rispose: “Nel tuo reame, o sire, sono chiamato Albero della Fortuna; per seimila anni tutti gli uomini mi hanno amato e venerato. Hanno costruito case, città e anche palazzi, ma mai nessuno mi ha fatto del male; onorami anche tu, maestà, come hanno fatto loro!” Ma il re replicò che quello in cui abitava il dio, così diritto ed alto, era proprio l’albero di cui aveva bisogno per la sua reggia, ed aggiunse: “Lì potrai vivere a lungo, ed essere ammirato da tutti coloro che ti guarderanno”. Il dio dell’albero rispose: “Se così deve essere, ho allora un solo piacere da chiederti: taglia prima la cima, poi il tronco e infine le radici”. Il re protestò, dicendo che quella era una morte ben più terribile dell’essere abbattuto per intero. “O signore della foresta”, disse, “cosa ci guadagni ad essere fatto a pezzi?” L’Albero della Fortuna replicò: C’è un buon motivo per il mio desiderio: i miei figli sono cresciuti intorno a me, al riparo della mia ombra. Se dovessi cadere su di loro, certamente li schiaccerei, arrecando loro inutile dolore”. Udendo queste parole, il re si commosse profondamente, e stupito per la nobiltà dei pensieri del dio dell’albero, alzò le braccia e disse: “Albero della Fortuna, Signore della foresta, come tu hai voluto salvare i tuoi piccoli, così io risparmierò te; non hai più nulla da temere”. Il dio dell’albero dette al re i suoi buoni consigli e andò via. Il giorno dopo il re fece generosi doni, e regnò saggiamente fino al momento della sua dipartita per il mondo celeste.                                                                                                                 (Da Miths of the Hindus and Buddhists)