Creato da colmo2010 il 24/12/2010
Sulle emergenze non risolte dai servizi sociali

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Servizi sociali inesistenti dopo uno sfratto

Post n°1 pubblicato il 24 Dicembre 2010 da colmo2010
 

Una società senza servizi sociali

“Uno sfratto e poi a dormire in strada, perché nessuno interviene a risolvere un’emergenza”

Introduzione

Chiunque può trovarsi in uno stato di necessità ed aver bisogno degli altri.Una società senza solidarietà umana e carità è destinata a regredire, essere sopraffatta e  scomparire. Ci si può trovare in stato di emergenza ed aver bisogno degli altri per aver perso il lavoro e non avere più capacità di sostentamento, per un incidente automobilistico, per un divorzio, per un errore giudiziario, perché qualcuno ti ha bruciato la casa o il negozio, per lo scoppio di uno scandalo, per un cambio del potere al vertice, per un sequestro che ti impedisce di utilizzare le tue cose, per una ripicca di qualcuno ha preso di mira te o i tuoi figli o le tue cose, oppure per aver visto qualcosa di troppo… Ma anche per una multa salata, per un terremoto, per lo scoppio di una bombola del gas, per una bolletta o per un investimento sbagliato... I casi sono così tanti che virtualmente ognuno può trovarvisi dentro uno di questi.

 

Casi come quelli elencati inducono molte volte uno stato di necessità e spesso inducono alla povertà se non vengono affrontati correttamente dalla comunità, dalla provincia, dalla regione o dallo Stato.

La povertà dunque non deve essere considerata una cosa “da poveri”, ma come un’evenienza possibile che può colpire persone di qualsiasi tipo. In quest’ottica deve essere considerata uno stato di emergenza e non uno status perduranti: deve cioè essere affrontata e risolta. Chi invece si adagia ad accettare che persone si adattino a vivere in condizioni inumane, deve essere trattato dalla società alla stregua di una persona asociale, pericolosa per la comunità tanto quanto un terrorista, e vediamo perché: la povertà non genera solo povertà ma anche ingiustizia sociale, criminalità, attriti tra classi sociali, problemi di ordine pubblico. La povertà peggiora la condizione di una nazione e alimenta la mafia ed altre forme di terrorismo. Non a caso la mafia è nata ed ha pullulato in una terra come la Sicilia, martoriata dalla più profonda Miseria e caratterizzata dalla mancanza dello Stato, miseria determinata tra l’altro da  mancanza di servizi sociali, mancanza di lavoro…

Non basta dunque non compiere ingiustizie, occorre anche combattere le ingiustizie, e tutti i cittadini devono partecipare per il bene di tutti, compreso il proprio. Ed è per questo che in un momento di crisi generale come quello che sta attraversando il nostro paese occorrerebbe una maggiore sensibilità, una maggiore trasparenza e un maggior impegno dei cittadini, perché il problema  deve essere affrontato attraverso degli strumenti adeguati, che attualmente non esistono, come appunto dimostra il nostro caso.

 

“emergenze”

Se scoppia un incendio il cittadino ha la possibilità di chiedere immediatamente l’intervento dei vigili del fuoco; per  un problema di ordine pubblico si telefona al 112, in caso di incidente con feriti si chiama il 118. Tutti questi fatti rientrano tra le emergenze, cioè appartengono a quei casi imprevisti e improvvisi che richiedono un’azione di intervento. Questi servizi sono diventati una parte essenziale del vivere civile, e vi sono forze e uomini impegnati continuamente a mantenere attivo tale servizio. Il fatto stesso che esistono tali servizi in caso di necessità infonde un senso di sicurezza nel cittadino, ed è in sé un segno tangibile di civiltà. Avere tali servizi è una conquista del genere umano.

 

Ma cosa succederebbe se al 115 i vigili del fuoco rispondessero con una frase del tipo “prima di qualsiasi nostro intervento occorre fissare un appuntamento con un responsabile del servizio, il primo spazio libero è per lunedì, le fisso un appuntamento per  lunedì?” Beh io credo che dopo il 115, un sano cittadino farebbe il 112 chiedendo che riportino all’ordine i vigili del fuoco. E cosa fareste se il 112 vi rispondesse che non è loro compito, ed eventualmente di inoltrare protesta al prefetto? Tra burocrazie e telefonate varie intanto la vostra casa sarebbe bruciata!

 

emergenza Abitativa

Emergenza abitativa” viene definita dalle politiche sociali la situazione di chi si trova, per varie ragioni, senza un posto dove dormire, e non sia in grado di risolvere il problema da solo, per vari motivi, come lo sfratto per sopravenuta indigenza.

A noi è capitato proprio quello che andiamo narrando: presentatici agli uffici competenti di giovedì per un’emergenza abitativa, ci è stato fissato un appuntamento per lunedì, e il lunedì l’assistente sociale non ha preso l’incarico di risolvere il problema. Ci ha rimandato a provare a bussare alla chiesa. Per avere un posto al dormitorio gestito dalla chiesa occorreva però parlare prima con il responsabile e si va dunque al successivo mercoledì, per sapere infine mercoledì che non c’era posto perché le strutture erano piene, ed essere rincuorati di provare venerdì che forse se qualcuno va via prima un posto lo troveranno… Intanto passano i giorni, ed i servizi sociali o la chiesa sembrano sperare che uno si abitui a dormire fuori, tanto lo fanno già in tanti, e magari capita pure che ti dicono “tanto è solo una questione di abitudine, non si muore mica…”.

Esistono dunque dei servizi per i civili cittadini che sono catalogati a torto con il termine “emergenze”, perché non trattati con tali modalità, destinate ad ispirare false aspettative: cioè tempestività nel risolvere il problema sollevato e compimento del servizio con un sano senso del dovere. Dai giornali ogni tanto si apprendono queste situazioni, di gente che è rimasta in strada, ma i giornali riportano solo pochi casi rispetto a quelli che accadono, ad esempio non il nostro.

Dunque il servizio “emergenza abitativa” si comporta come, pur avendo il nome, una non emergenza!  Poco importa sia erogato da servizi sociali o da organismi della chiesa. E questo è successo a noi, ma anche ad altri. Non vogliamo dire con questo che il sistema non funzioni mai, funziona solo in parte e non nei termini che sarebbe normale aspettarsi. Ecco dunque come il cittadino in caso di necessità non è tutelato, perché quei servizi esistenti sono incapaci di gestire le emergenze abitative. I vari uffici sono gestiti come gli sportelli di banca, con degli orari prefissati, e come questi subiscono una burocratizzazione che annulla l’essenza del servizio stesso. Anzi peggio delle banche, perché queste hanno degli sportelli bancomat aperti a tutte le ore che risolvono il problema dei contanti.

 

Le conseguenze furono ovvie: noi dormimmo fuori e il problema non fu risolto né dai servizi sociali né dalle strutture caritative. Quello che manca è dunque un servizio attivo di continuo che risolva tali problemi al momento che si presentano, e che si affianchi ai sistemi preesistenti. Un sistema che tenga in considerazione anche il lato umano.

Ora vi raccontiamo meglio cosa ci è accaduto, per poi esporre come questa sia una lacuna enorme nel sistema sociale.

 

Tutto cominciò con uno sfratto…

Io e mia moglie ci trovammo improvvisamente buttati fuori di casa a causa di una specie di sfratto. Non si è trattato di un vero e proprio sfratto, perché in un caso di sfratto sarebbe intervenuto l’ufficiale giudiziario, e vi sarebbero stati dei tempi tecnici stabiliti dalla legge, fra le varie notifiche e lo sfratto vero e proprio. Tralasciamo in questo documento la narrazione di quello che successe esattamente quei giorni, per concentrarci ora invece su tutto quello che accadde dopo, cioè come la Repubblica Italiana intervenne a risolvere l’emergenza abitativa scaturita dalla contingenza dello sfratto e della nostra condizione di indigenza, che fu in qualche maniera una delle cause dello sfratto stesso.

Noi non ci rivolgemmo subito agli enti comunali, perché in passato avendo già avuto problemi economici e avendo già chiesto interventi a nostro favore ad altre cittadine, avevamo una certa coscienza storica di questi evitassero in tutte le maniere di dare un aiuto, difatti dal lato pratico non ricevemmo mai un euro, seppur dimostrando a suon di carte la necessità. Non ricevemmo nessun aiuto anche per trovare un lavoro.  Avevamo una certa diffidenza negli assistenti sociali, avevamo la sensazione che certe persone venivano scelte apposta in modo da respingere la maggior parte delle richieste a favore del bilancio comunale, già appesantito di tagli nazionali. Per un certo periodo ci arrangiammo, rimanendo lontano sia dai preti sia dalle strutture pubbliche, facendo un tipo di vita alquanto particolare che abbiamo descritto in un diario “iconografico”. In pratica all’inizio vivemmo all’aria aperta, dormendo in spiaggia e in ripari di fortuna mimetizzandoci, tra i villeggianti senza dare adito a scandali: dunque poche borse, barba fatta,….

Poi iniziò ad arrivare il freddo, ci spostammo nell’entroterra fino a che un giorno trovammo una soluzione più interessante e continua, trovando appunto una specie di rifugio all’interno di un gazebo di un negozio in ristrutturazione. In ottobre vennero meno alcuni aiuti che avevamo trovato da semplici cittadini, il gazebo venne dimesso e perdemmo un’altra volta la “nostra casa”. Senza casa e senza aver trovato altre soluzioni, decidemmo di affrontare i servizi sociali, e varcammo la soglia un giovedì di ottobre.

 

Come i servizi sociali non sono in grado di risolvere l’emergenza e la trasforma in una condizione normale.

La nostra situazione fu catalogata immediatamente il giovedì come “emergenza abitativa”, fu dunque fissato un appuntamento con l’assistente sociale per il lunedì successivo. Il lunedì l’assistente sociale ci disse che i pochi locali atti a risolvere le emergenze abitative erano tutti occupati, e non vi erano nemmeno possibilità che si liberassero nei prossimi mesi. Appresa questa triste notizia speravamo di avere un bonus eccezionale di due giorni in hotel, almeno per riprenderci dalla vita a ciel sereno, ma anche qui dovemmo ricrederci! Fummo invitati a provare a presentarci agli sportelli delle organizzazioni caritative del capoluogo, ma là noi sapevamo come funzionavano le cose: nella stessa maniera, e cioè il capoluogo aveva una casa di accoglienza per le emergenze, ma tale soluzione era inarrivabile, perché sempre piena. Forse se ci fossimo presentati separatamente un posto uno dei due l’avrebbe trovato prima o poi, ma noi di separarci non ne avevamo voglia visto, che la nostra unione era l’unica cosa che ci era rimasta dopo aver perso lavoro, auto e casa. Era improponibile che fosse entrato nel dormitorio solo uno dei due, mentre l’altro sarebbe rimasto fuori esposto al pericolo, almeno in due ci facevamo coraggio e ci davamo assistenza reciproca, che poi, se qualcuno ricorda bene, è anche una delle cose che si promettono durante il matrimonio.

Per capire queste cose non è necessaria la laurea dell’assistente sociale, occorreva invece un po’ di esperienza e un po’ di cuore.  I dormitori costituiscono delle soluzioni per le persone disadattate, per gli ubriaconi, per i barboni…; dopo che sono stati chiusi i manicomi, si rifugiarono le persone con problemi psichici non gravissimi, poi vi sono spacciatori, prostitute, delinquenti, badanti che transitano nel territorio… ed in ultima analisi anche qualcuno che ha perso il lavoro ed ha divorziato, lasciando l’appartamento alla moglie. Diciamo che sono posti per single, non per una famiglia, ma sembra non volerlo capire nessuno.

Lo Stato italiano non intervenne in nostro aiuto in qualità di cittadini, preferì sbolognarci alle strutture della chiesa. Strutture che però risultano insufficienti a soddisfare le esigenze di cittadini, sempre più poveri e in miseria a causa della crisi economica. Strutture, come i dormitori, nate per un certo tipo di emergenza, sempre pieni di immigrati stranieri e per nulla abitazione. Nei dormitori ci si deve far entrare le famiglie che si vogliono sfasciare, non quelle che vogliono rimanere unite!

Benedetta Italia, che scrive la legge e poi non la mantiene! Si legge infatti all’Art. 3 della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Si legge che è compito della Repubblica e non della chiesa! Ma i paesi preferiscono sbolognare i propri cittadini alla chiesa. Certo, gli enti locali hanno subito molti tagli….!

 

A questo punto l’assistente sociale, non riuscendo a trovare soluzioni trasformò il nostro caso da “emergenza abitativa” a condizione normale, semplicemente facendo diventare casa la strada.

 

Non risolse l’emergenza abitativa, ci lasciò in strada, ma non rifiuto di aiutarci del tutto: disse che comunque poteva assisterci in un progetto più lungo termine, ad esempio poteva fornirci dei soldi per la caparra e primo mese di affitto, nel caso avessimo trovato un lavoro ed un appartamento dove stare, e ci avesse conosciuto meglio… Sembra, dunque, dalle parole dell’assistente sociale, che solo i lavoratori in Italia abbiano diritto alla casa, dal momento che non hai più un lavoro non hai nemmeno più diritto ad un tetto. Ed il lavoro te lo devi pure trovare, e mantenere, con i mezzi che la “strada” ti dà. “Battendo” come prostitute? Fingendosi improbabili “artisti di strada”?

Dovevamo arrangiarci.

Preoccupati di non farcela per il freddo, le intemperie, andarsene in giro con la valigia e le coperte, i segni evidenti di una certa fatica sul volto…..cercammo di argomentare la nostra difesa.

E poi soprattutto, come si fa a trovare lavoro e tenerselo quando non sai neanche dove e come passerai la notte? Non hai neanche un domicilio da dare al datore di lavoro: con che faccia ti presenti? 

Inutile argomentare la nostra causa: l’assistente sociale ci rispose che non si muore mica vivendo fuori, “è solo questione di abitudine” ci replicò. Ribattemmo che non fanno il necrologio sul giornale per chi crepa perché il fisico non regge più, e non fanno statistiche serie per vedere che fine fa le gente in queste condizioni ed in che tempi.

Così l’emergenza abitativa fu trasformata dalle operatrici in “condizione normale”, la normalità di chi “è abituato a vivere fuori”. È prassi di molti paesi comportarsi così.

Il sistema adottato dall’assistente sociale è stato dunque lo stesso che si usa nel buttare una persona in acqua, per farla imparare a nuotare: se crepa si fa un funerale, se sta male si arrangerà l’ospedale, se sopravvive si arrangerà a galleggiare; in ogni caso il problema è risolto o non è più di competenza.

Cosa e’ successo poi: ultimi fatti

Una persona, con un ruolo diverso da quello dell’assistente sociale, non riuscendo a trovare soluzioni nemmeno ella, ci consigliò di provare a parlare con persone facoltose o commercianti, per vedere se potevano interessarsi al nostro caso. Ma in pratica noi dormimmo fuori, fino a che la mattina di lunedì primo novembre ci trovarono dei muratori e degli impresari, che dopo una grossa imprecazione, si mostrarono più pratici, e decisero di farci dormire dentro il capannone.

La sera seguente di martedì pioveva a dirotto e gli impresari ci aspettarono: ci diedero delle coperte da mettere sul pavimento perché fosse meno freddo, il loro capo ci offrì una bottiglia di vino, una di acqua e un pezzo di pane, con la promessa di interessarsi presso il preposto ente locale; lasciarono aperto il bagno affinché potessimo usarlo.

Tra queste persone vi erano gente con soldi e fabbriche nella provincia: sembrava in un primo momento che potevamo restare lì almeno fino alla fine dei lavori verso il 13 novembre. Potevamo utilizzare quel tempo per mettere giù le borse, che ci portavamo sempre appresso, per lavarci in un bagno con l’acqua calda, un tempo necessario per riorganizzarci, cercare qualche lavoro in zona in condizioni decenti (nelle condizioni di prima, al limite potevamo recarci al pronto soccorso .…)

Ma il capo degli impresari, un uomo pelato, ebbe la malaugurata idea di chiedere aiuto al parroco del paese. Mercoledì sera il capo ci disse di aver parlato con il parroco e ci invitò a spingerci nel capoluogo nelle strutture della chiesa: ribattemmo che avevamo già provato in tali strutture senza esito. Dopo il colloquio il capo ci promise comunque che potevamo restare nel capannone fino al 13-14 novembre, data in cui avrebbero chiuso le porte esterne del capannone. Già quella sera avevamo individuato come il parroco aveva gelato la situazione, e altri possibili interventi.

Nel giro di un giorno quei facoltosi signori avevano cambiato atteggiamento nei nostri confronti. Giovedì non vedemmo nessuno, ma venerdì mattina degli operai appena ci videro ci dissero che dovevamo prendere la nostra roba e andare via, perché loro la sera avrebbero chiuso tutto. Avevano avuto l’incarico dal capo, il testa pelata. Noi ci trovammo dunque i termini cambiati nuovamente. Il modo di comunicarci quello “sfratto” e i tempi ristretti (mattina per sera) furono di una violenza gratuita, perché noi eravamo usciti senza borse e con dei progetti ben specifici.

Ci trovammo di nuovo tutto il mondo addosso, a causa di un prete che senza nemmeno averci visto, aveva dato disposizioni sulla nostra vita. Noi non trovammo altre soluzioni e continuammo a dormire in quel posto perché per fortuna, nonostante quanto detto, non buttarono fuori le nostre borse e lasciarono la porta aperta. Non vedemmo più il “testa pelata” fino alla mattina del 12 novembre quando lo incontrammo per caso per strada. Incominciò dunque una discussione durante la quale ci disse che era molto offeso perché non gli avevamo raccontato la verità, e cioè, che eravamo stati sfrattati da 3 mesi e che stavamo conducendo quel tipo di vita da agosto, proferiva tali parole come se fossimo della gente abituata a tale tipo di vita “vagabonda”. Noi replicammo che non avevamo nascosto nulla, che il tipo di vita che fummo costretti a subire lo raccontammo all’assistente sociale e  che ne avevamo parlato pure con uno che pareva essere un suo socio da come si era a noi presentato. E avevamo informato anche i carabinieri. Non credette alla nostra informazione  ci disse “ai carabinieri? Dubito dei carabinieri, perché li ho chiamato io stesso e si sono detti pronti a intervenire per mandarvi via…”. Ancora prima che spiegassimo che eravamo in contatto con carabinieri fuori paese, aggiunse che parlò della nostra situazione anche con il vice-sindaco che è capo dei vigili e che si era accordato, che se nel caso non avessimo portato via le nostre borse di spontanea volontà, i vigili sarebbero intervenuti ad asportarle.

Dal colloquio risultò chiaro che il “testa pelata” aveva ricevuto notizie poco rassicuranti nei nostri confronti e questo alimentò il suo voltafaccia. Questo accadde il giorno che incontrò il prete, e fu certamente tale fonte a fargli fare il cambiamento repentino, difatti risultò chiaro che egli non parlò né con l’assistente sociale né con altre persone da noi informate in proposito. Risultò che qualcuno, dopo che il prete venne a sapere che eravamo nel capannone, mandò i vigili a controllare il capannone, e questi fecero varie storie al “testa pelata” per aver trovato la nostra valigia nei locali. In quei locali vi era di tutto, comprese varie coperte usate per i lavori dagli operai, tavoli, sedie, una cucina nel mezzo del capannone… una valigia poteva passare del tutto inosservata in quell’ambiente. I vigili vennero a controllare la situazione, ma noi sappiamo che non lo fanno di propria spontanea volontà, era certo che qualcuno li aveva mandati e aveva mosso tutto quel casino. Il prete o chi per esso, innescò dunque un processo denigratorio nei nostri confronti che coinvolse come una reazione a catena, il testa pelata, il vice-Sindaco, la Polizia Municipale e i carabinieri locali: TUTTI COINVOLTI IN UNA AZIONE DI PULIZIA SENZA SAPERE ESATTAMENTE LA VERITA’.

Paradossale risulta essere infine l’accusa che le autorità e la gente come il “testa pelata” ci muoveva contro: quella di vivere quel tipo di vita “all’aperto”, quando erano state proprio le autorità, gli enti assistenziali e la gente stessa, per loro omissione, creare le suddette condizioni diventando dunque causa diretta e indiretta. Non sappiamo se riusciremo a disinnescare questa reazione, un’azione simile capitò in un altro paese, con grave danno nostro e all’immagine del paese stesso, perché si sa che le bugie hanno le gambe corte, e la verità prima o poi viene a galla.

LA Televisione

Nel 2007 ci trovammo in una situazione del genere. Un prete spingeva perché nessuno ci aiutasse, ed ogni ente assistenziale, laico o di Chiesa, rimaneva impassibile, bloccato. La cosa fu risolta solo dopo che intervenne la RAI, che ci permise di raccontare la nostra storia in diretta dagli studi di via Teulada in Roma. Solo l’intervento della TV,  mise a tacere allora il prete e smosse qualche cosa.

Cosa avremmo voluto e cosa invece è stato

Avremmo voluto quel giovedì in cui ci siamo presentati presso gli uffici preposti essere introdotti in un albergo, in una stanza, o in un garage o in un camper o qualsiasi cosa al coperto, fino al tempo che si sarebbe trovato o liberato un posto in una struttura per famiglie. Poi avremmo voluto un aiuto per trovare un lavoro e/o un’abitazione fino al momento di diventare indipendenti economicamente. Avremmo potuto ritornare a essere produttivi forse in breve tempo e con meno spese sociali. Noi non crediamo che organizzare un servizio del genere sia una cosa impossibile, occorre innanzitutto una mentalità in proposito, una mentalità che porti a capire che se si bastonano i cittadini si bastona anche lo Stato e se stessi!

Invece il trattamento reale fu alquanto diverso, fu di essere stati lasciati a dormire in strada, di doverci arrangiare a cercare altre soluzioni, di doverci arrangiare a trovare i soldi anche per spostarsi, telefonare e compiere tali atti. Di doverci arrangiare in tutto.

 

 
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