Mi piace parlare con la gente, comprendere i loro pensieri, ho sempre ritenuto che lo scambio di idee, anche se differenti, possa portare a vedere le cose da una altra prospettiva che magari non si considerava. Con questo non dico di accettare ogni cosa che mi si dica e farla mia, ma di certo ampliare le mie conoscenze ed eventualmente modificare i miei punti di vista o prendere atto di altre realtà. Credo che sia una delle cose basilari in quello che è il cammino di ogni essere umano salvo non voglia poi schematizzarsi in una rigidità che è l’archetipo di un rudere, monumento immemore delle proprie paure.In una delle varie conversazione avute mi ha colpito la frase detta, direi a bruciapelo, da una amica: -Davide ma secondo te una schiava prova piacere a sentire dolore? Sono rimasto perplesso, devo dire che da altre conversazioni con altri interlocutori avevo iniziato a dare per scontata la cosa ed allora ho cominciato a riflettere sulla varietà della cosa. Non voglio coinvolgere in questo i casi di vero e profondo sado-maso in cuiil dolore sostituisce completamente l’impulso sessuale avulso da ogni forma, diciamo, “tradizionale” ma davo per scontato, erroneamente, evidentemente, che il dolore potesse essere recepito SEMPRE dalla controparte come una forma di coinvolgimento ed amplificazione del piacere dalla schiava. La risposta in quella occasione è stata invece: -Io non amo il dolore ma ne faccio dono al Mio Padrone perché so che a Lui piace.Questa indubbiamente è una cosa bellissima, è usare e donare non solo la propria mente ma il proprio corpo a colui che si è scelti Appartenere ma, brutta cosa i ma, mi domando: Se io provo piacere non solo nella sottomissione ma anche nel causare una certa forma di dolore nella mia schiava lo faccio perchè come in un circolo autoalimentante di un motoperpetuo lei provi piacere. Ossia, amo farlo ma per riscontro amo ricevere lasua eccitazione di ritorno in questo. E’ godere di insegnarle a scoprire in tale situazione un qualcosa che le piaccia aprendole nuove porte a lei sconosciute. Nel momento in cui percepisco che lei non sia in grado di far suo il dolore come forma di eccitazione, decade in me il senso della cosa in quanto posso sentirne il desiderio ma non provarne a mia volta godimento per cui me ne astengo. A questo punto potrebbe intervenire in lei un senso di colpa in cui, cosciente di non riuscirmi a dare ciò che desidero, volendo donarmi tutta se stessa, arriva ad accettare qualcosa che non voglio perché forzata da altre motivazioni. Viceversa, vi sono schiave che di quel dolore ne fanno amplificazione fisicae mentale della propria eccitazione, lo amano nei modi e nelle gradualità differenti o lentamente spostano i propri paletti, scoprendone non solo il senso di donarsi ma vedere tutto questo come una fusione tra il piacere fisico e l’Appartenenza ed allora si innesca un perfetto equilibrio delle parti in cui ognuno recepisce l’altro in un incastro perfetto.
Riflessioni sul dolore
Mi piace parlare con la gente, comprendere i loro pensieri, ho sempre ritenuto che lo scambio di idee, anche se differenti, possa portare a vedere le cose da una altra prospettiva che magari non si considerava. Con questo non dico di accettare ogni cosa che mi si dica e farla mia, ma di certo ampliare le mie conoscenze ed eventualmente modificare i miei punti di vista o prendere atto di altre realtà. Credo che sia una delle cose basilari in quello che è il cammino di ogni essere umano salvo non voglia poi schematizzarsi in una rigidità che è l’archetipo di un rudere, monumento immemore delle proprie paure.In una delle varie conversazione avute mi ha colpito la frase detta, direi a bruciapelo, da una amica: -Davide ma secondo te una schiava prova piacere a sentire dolore? Sono rimasto perplesso, devo dire che da altre conversazioni con altri interlocutori avevo iniziato a dare per scontata la cosa ed allora ho cominciato a riflettere sulla varietà della cosa. Non voglio coinvolgere in questo i casi di vero e profondo sado-maso in cuiil dolore sostituisce completamente l’impulso sessuale avulso da ogni forma, diciamo, “tradizionale” ma davo per scontato, erroneamente, evidentemente, che il dolore potesse essere recepito SEMPRE dalla controparte come una forma di coinvolgimento ed amplificazione del piacere dalla schiava. La risposta in quella occasione è stata invece: -Io non amo il dolore ma ne faccio dono al Mio Padrone perché so che a Lui piace.Questa indubbiamente è una cosa bellissima, è usare e donare non solo la propria mente ma il proprio corpo a colui che si è scelti Appartenere ma, brutta cosa i ma, mi domando: Se io provo piacere non solo nella sottomissione ma anche nel causare una certa forma di dolore nella mia schiava lo faccio perchè come in un circolo autoalimentante di un motoperpetuo lei provi piacere. Ossia, amo farlo ma per riscontro amo ricevere lasua eccitazione di ritorno in questo. E’ godere di insegnarle a scoprire in tale situazione un qualcosa che le piaccia aprendole nuove porte a lei sconosciute. Nel momento in cui percepisco che lei non sia in grado di far suo il dolore come forma di eccitazione, decade in me il senso della cosa in quanto posso sentirne il desiderio ma non provarne a mia volta godimento per cui me ne astengo. A questo punto potrebbe intervenire in lei un senso di colpa in cui, cosciente di non riuscirmi a dare ciò che desidero, volendo donarmi tutta se stessa, arriva ad accettare qualcosa che non voglio perché forzata da altre motivazioni. Viceversa, vi sono schiave che di quel dolore ne fanno amplificazione fisicae mentale della propria eccitazione, lo amano nei modi e nelle gradualità differenti o lentamente spostano i propri paletti, scoprendone non solo il senso di donarsi ma vedere tutto questo come una fusione tra il piacere fisico e l’Appartenenza ed allora si innesca un perfetto equilibrio delle parti in cui ognuno recepisce l’altro in un incastro perfetto.