Dirigenti Scolastici

Sulle proposte di politica scolastica avanzate dal Pd


Egregio direttore,in base alle anticipazioni che ne sono state fornite dalla stampa, l’impressione è che le proposte di politica scolastica avanzate dal Pd renziano ricalchino quel disegno di legge Aprea, a suo tempo sperimentato in Lombardia, “consule Formigoni”, pochi mesi dopo che era stato indetto dal ministro Profumo il concorso nazionale che si è da poco concluso. Così nella lombarda Vandea berlusconiano-leghista si è dato il via alla chiamata diretta dei presidi, fornendo un esempio quanto mai istruttivo per chiunque voglia comprendere quale sia la politica scolastica, organicamente ‘bipartisan’, che si va delineando. Il principio fondamentale che caratterizza il modello di scuola proposto dal Pdl e dalla Lega Nord (con significative assonanze e riprese nient’affatto temperate anche nel campo del centrosinistra) è infatti la distruzione non solo del diritto allo studio inteso come bene realmente pubblico in quanto universale e indivisibile, ma anche della stessa libertà di insegnamento dei docenti intesa come garanzia della loro responsabilità verso la Repubblica: diritto e libertà che vengono sostituiti da una concezione dell’istruzione privatistica e mercantile, familistica e localistica, in apparenza meritocratica e in realtà clientelare. Tale concezione, i cui germi erano già presenti all’interno della legge sull’autonomia scolastica, emerge con chiarezza dalla lettura del disegno di legge Aprea e trova conferma nelle dichiarazioni rese da Davide Faraone, responsabile del Pd per la scuola: così, dall’esaltazione dell’«autonomia degli individui rispetto alle proprie scelte e alla propria vita» (autonomia che, come risulta dagli altri articoli, costituisce il presupposto ideologico della coincidenza economica, che «la competizione fra una pluralità di offerte» dovrà assicurare, fra quantità e qualità del ‘diritto allo studio’ e quantità e qualità della domanda solvibile rappresentata da tali individui) discendono due corollari che colpiscono al cuore l’attuale sistema dell’istruzione pubblica, cioè il delicato equilibrio fra tre diritti costituzionali equipollenti (il diritto ad apprendere degli alunni, la libertà di insegnamento dei docenti e la libertà di scelta delle famiglie). Per rilanciare la scuola occorrerebbe, secondo la suddetta concezione, manovrare tre leve: “valorizzazione del merito e piena applicazione del principio di autonomia scolastica”, “valorizzazione del merito degli studenti” e, infine, “valorizzazione del merito dei docenti”. Come? ‘In primis’, passando per il “rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente” (il principio è, in questo caso, il seguente: “tutto il potere ai presidi”). Proseguendo, poi, per “la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l’adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo” che pubblicherà “annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili” e attraverso “il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private” (ecco il sistema duale pubblico-privato con i buoni-scuola pubblici quali graziosi regali alle famiglie borghesi che scelgono di iscrivere i propri figli alle scuole private). Per gli studenti in difficoltà – prosegue il disegno di legge Aprea, echeggiato da quello del Pd – occorrerebbe prevedere “all’interno del piano dell’offerta formativa delle singole istituzioni scolastiche, anche consorziate tra loro, appositi moduli integrativi obbligatori che diano l’opportunità, senza oneri a carico dello studente, di recuperare nel corso dell’anno eventuali insufficienze nelle singole materie” (in sostanza, dei doposcuola ispirati al ‘capitalismo compassionevole’) e per i più bravi incentivare “gli interventi volti alla concessione di borse di studio legate al merito, ferma restando la necessità di garantire un sistema adeguato di sovvenzioni a studenti meritevoli in stato di necessità” (come sopra). Per spingere i docenti a lavorare “meglio” dovrebbe essere eliminato, insieme con il contratto collettivo nazionale di lavoro, “ogni automatismo nelle progressioni retributive e di carriera degli insegnanti” (il principio è quello ‘premiale’ e si può formulare in questi termini: “sono i presidi che valutano gli insegnanti e decidono quali siano gli insegnanti meritevoli di ottenere aumenti retributivi”). Infine, bisognerebbe liberalizzare progressivamente la professione docente “attraverso la chiamata nominativa su liste di idonei, con un periodo di prova propedeutico all’assunzione a tempo indeterminato”, e dare “la possibilità alle singole istituzioni scolastiche di stipulare con singoli docenti contratti integrativi di tipo privatistico” (ciò significa aggravare il precariato nella scuola, condendolo con una buona dose di clientelismo). Di fatto, la libertà di insegnare dei docenti viene vanificata, in quanto viene seccamente subordinata al diritto di apprendere degli allievi e alla libertà di scegliere delle famiglie, come se i docenti, retrocessi allo ‘status’ premoderno di istitutori privati, non fossero titolari di alcuna specifica competenza. In realtà, il famoso ‘concorsone’ di Berlinguer, contro il quale una parte consistente della categoria insorse come un sol uomo, si può paragonare ad una gentile carezza rispetto al trattamento riservato ai docenti da questo modello di controriforma scolastica, che si può paragonare invece ad una scarica di poderose pedate nelle terga, con cui i docenti vengono spediti nella fossa dei leoni di un mercato selvaggio senza troppi complimenti e con tanti saluti sia alle antiche graduatorie sia all’articolo 33 della Costituzione che garantisce contestualmente la libertà di insegnamento del singolo docente e l’indipendenza della scuola dall’esecutivo politico. Dunque, nel quadro della ‘devolution’ regionale e dell’autonomia scolastica, che si rivelano sempre di più le teste di turco della destrutturazione della scuola pubblica, questo modello, la cui sperimentazione si prevede che venga estesa dalla Lombardia alle altre regioni, ridarà vita ad un sistema di tipo feudale-assolutistico che, oltre ad essere in contrasto con le norme di legge esistenti e con la stessa Costituzione che sancisce il carattere pubblico e nazionale della scuola, aggraverà i pesanti problemi occupazionali esistenti in questo settore (problemi che non possono essere risolti con l’albo regionale e che devono invece essere affrontati a livello nazionale con una efficace politica di stabilizzazione del personale). Non credo che occorra procedere oltre in questa sintetica esposizione. Sarebbe già una buona cosa se la riflessione su tale politica scolastica aiutasse a comprendere che il sistema dell’autonomia è il cavallo di Troia delle strategie neoliberiste in campo educativo, e che è per mantenere tale sistema che le ‘riforme’ succedutesi in questi anni hanno creato l’agenzia per la valutazione, imposto i tagli lineari e cronicizzato la precarizzazione. Il fine della legge sull’autonomia scolastica è stato ed è lo scardinamento del carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione (in cui i diversi tipi di scuola e i singoli istituti scolastici sono articolazioni settoriali e locali di un progetto educativo nazionale) e la sua sostituzione con un sistema solo formalmente pubblico, organizzato con logica privatistica in cui ogni singolo istituto, posto nelle condizioni giuridiche di procacciarsi finanziamenti e risorse (ecco il ‘fund raising’ evocato con alata espressione inglese dall’ex ministro Carrozza!), progetta se stesso in competizione con altre scuole. Perciò la questione del reclutamento non può essere separata, come tende a fare anche in questo dibattito chi critica gli effetti particolari senza mettere in luce le cause generali, dalla questione, che è decisiva, della omogeneità degl’indirizzi perseguiti, sui diversi terreni di intervento, dalle politiche scolastiche delle classi dominanti, a meno che non si rinunci preliminarmente sia a combattere una controriforma del sistema educativo radicalmente classista e di stampo neomalthusiano sia a dare vita, durata e spessore ad un rilancio della mobilitazione unitaria degli insegnanti, degli studenti, dei genitori e del mondo del lavoro, che coniughi l’istanza del riconoscimento del merito individuale e la difesa del diritto allo studio in una scuola pubblica e nazionale, qualificata e formativa.21/02/2014Eros BaroneLING http://www3.varesenews.it/comunita/lettere_al_direttore/articolo.php?id_articolo=282688