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Riflessioni su Kautsky

Post n°9 pubblicato il 02 Ottobre 2024 da santity

Note su Kautsky.

Problema democrazia e socialismo.Nella critica kautskiana alla rivoluzione bolscevica convergono due temi. Uno e’ l’abbandona bolscevico della via parlamentare. Il movimento socialista della seconda internazionale aveva fatto la scelta strategica del suffragio universale e delle liberta’ civili, specificamente di associazione e di stampa. L’altro e’ la convinzione che il socialismo sia una evoluzione irreversibile del movimento storico, che pero’ deve rispettare le tappe dello sviluppo socioeconomico, passare attraverso la fase borghese della repubblica democratica.

E’ assolutamente sottovalutata la reazione degli apparati statuali. Esercito, burocrazia, il cui controllo e’ invece fondamentale nel successo e stabilizzazione di un governo con programma socialista o democratico-popolare.

Altra cosa e’ il metodo democratico, cioe’ la capacita’ della popolazione di incidere su cariche pubbliche e politiche governative. Questo deve essere un obiettivo da perseguire e da ripristinare anche nei momenti di sospensione emergenziali delle liberta’ civili. In una situazione di sottosviluppo, dipendenza dall’imperialismo dei Paesi centrali, opposizione dei vecchi dominanti in associazione con i Paesi imperialisti e quindi rischio di ritorno ai vecchi rapporti di potere e di subalternita’ interna ed internazionali, deve essere mantenuta la dialettica democratica tra le forze del nuovo ordine. Sia che il potere legislativo ricalchi il tradizionale schema parlamentare, sia che invece le nuove forme assembleari si fondino sui nuclei lavorativi (consigli, ecc.). Regole certe sulle liberta’ civili, di associazione e di espressione.

 

La storia non ha leggi di sviluppo meccaniche, anzi lo sviluppo globale del sistema capitalista, con Paesi centrali, semiperiferici e periferici e  conseguenti rapporti di dipendenza internazionale, necessitano di fronte ai tentativi di restaurazione dei precedenti rapporti di dominio rotture che sovente non possono essere pacifiche. Se le vecchie classi dominanti tendono a sviluppare una opposizione eversiva al nuovo ordine fondato su rapporti sociali egualitari, un governo socialista o democratico popolare avra’ la necessita’ di difendere il nuovo ordine con misure straordinarie, se le leggi ordinarie si rivelassero inefficaci rispetto all’attivita’ eversiva.


 
 
 

Inadeguatezza ideologica del movimento No global

Post n°7 pubblicato il 25 Luglio 2024 da santity

Il movimento no global e' stato figlio dell'ideologia della globalizzazione, cioe' l'idea che ormai gli stati nazionali avessero esaurito la loro funzione, che comandassero le imprese trasnazionali, le istituzioni economiche internazionali come Fondo Monetario, Banca Mondiale, Organizzazione Commercio Internazionale, ma anche le Unioni economiche macro regionali, UE, Nafta, ecc. Quindi si trattava, secondo il movimento no global, da un lato di condizionare con movimenti di protesta internazionali queste istituzioni, imponendo una tassazione sui movimenti di capitali (Tobin Tax), inserendo clausole sociali nei trattati economici, mentre a livello locale il compito sarebbe stato quello di organizzare una economia sociale parallela attraverso il cosiddetto terzo settore non profit, gestito piu' o meno in maniera cooperativa.
La realta' si sarebbe incaricata di invalidare questi assunti. L'attacco alle torri gemelle a New York (non discuto qui se si sia trattato di un'operazione sotto falsa bandiera) e la conseguente risposta statunitense mostrarono come la globalizzazione fosse di fatto un perseguimento della egemonia globale degli Usa, affiancati da un certo numero di vassalli europei, attuata in un primo tempo piu' occultamente attraverso le istituzioni e i trattati economico-finanziari, ma a partire dal nuovo millennio attraverso il piu' tradizionale ricorso alla guerra, al fine di assicurarsi un completo controllo delle risorse di idrocarburi e delle vie commerciali. Questo cambio di marcia pero' provoco' successivamente la reazione delle nuove potenze emergenti in Asia o il riemeregere del vecchio gigante post-sovietico, uscito dal suo stato comatoso e ridimensionato ma rinnovatosi sul piano militare ed economico. Il movimento no global purtroppo non ha saputo uscire dallo schema interpretativo degli anni 90 del secolo sscorso. E' rimasto ostile ad una ripresa del concetto di sovranita' economica, che non significa stare fuori dal commercio internazionale, ma dotarsi di quegli strumenti politici ed economici per avere un almeno parziale controllo su quelle leve economiche che permettono ad un Paese di fare una programmazione economica, difendere e ampliare il proprio stato sociale, ma proprio per questo anche la possibilita' di avere quegli strumenti di politica economica e monetaria che ad esso consentono di promuovere la crescita economica; cioe' la sovranita' monetaria, un sistema di credito pubblico, un ritorno piu' snello ed efficiente alle partecipazioni statali. I capi ed intellettuali no global (due libri, tra gli altri, che furono una sorta di manifesto del movimento, sono stati Impero e Moltitudine di Negri e Hardt), invece si sono baloccati con l'idea di Altra Europa, opponendosi all'uscita dalla moneta unica e a qualunque programma di ripristino della sovranita' economico-monetaria e infine assistendo impotenti alla sconfitta di esperienze del populismo di sinistra come quello di Syriza in Grecia o moderatamente progressivo come il M5s in Italia, lasciando infine campo libero all'emergere di populismi truffaldini di destra e di estrema destra.

 
 
 

Una finta democrazia

Post n°6 pubblicato il 25 Luglio 2024 da santity

Alcune considerazioni. Gli Usa non sono nati come una democrazia. Sono nati come una secessione dall'Impero Britannico di coloni guidati da una oligarchia terriera proprietaria di schiavi. Addirittura secondo una certa storiografia afroamericana, al di la' delle questioni relative all'imposizione di tasse a al monopolio del te', tali oligarchie consapevoli che l'Inghilterra stava procedendo verso l'abolizione della schiavitu', timorose dunque di perdere la fonte della loro ricchezza e del loro potere, promossero la secessione dalla madre patria. Furono, gli Usa, uno stato liberale solo per i coloni proveniente dalla Gran Bretagna e Nord Europa. Nei decenni centrali del XX secolo hanno in qualche modo allargato la loro inclusivita' sia grazie al movimento operaio che poi successivamente ai movimenti di emancipazione afroamericani. Gia' pero' a partire dagli anni 70 del secolo scorso, di fronte alle sconfitte militari attribuite ad una opinione pubblica ostile e alla crisi economica, tra le oligarchie statunitensi si inizio' a denunciare gli eccessi di democrazia auspicando il ritorno a forme piu' oligarchiche di governo. Con l'amministrazione Reagan, questi auspici divennero realta', comincio' quel fenomeno che ora noi conosciamo come controrivoluzione liberista e che oggi, con la presidenza di Biden, personaggio invecchiato e non piu' lucido, e' giunto ad un tale degrado per cui agli osservatori un po' attenti alle cose e non affetti da fanatismo pro USA e' diventato chiaro come la gestione degli affari strategici di questo Paese sia nelle mani di agenzie governative e di gruppi di pressione legati ai grandi gruppi finanziari e militari industriali e non a cariche istiruzionali democraticamente elette, che ormai fanno quasi solamente da copertura di legittimazione. Fra l'altro, tecnicamente parlando, il loro sistema di elezione del presidente, che non viene eletto direttamente ma attraverso la nomina dei cosiddetti grandi elettori in ogni stato, che pero' da' un numero superiore di delegati rispetto alla loro consistenza demografica agli stati meno popolati, col risultato che un candidato con meno voti complessivi degli elettori, ma con con piu' delegati a suo favore possa diventare presidente. Una vera e propria negazione del principio democratico, ma una assicurazione per le oligarchie dalla possibilita', per quanto remota, che un candidato con un programma ``eccessivamente``progressista o pacifista possa vincere le elezioni. Quindi questo sciagurato appoggio al criminale Netanyahu da parte del Congresso Usa non e' in discontinuita' con la storia e la cultura politica di questo Paese, dominato prima dall'aristocrazia schiavista successivamente dai grandi gruppi industriali ed ora da quelli finanziari e dall'industria militare. Un Paese che del resto e' cresciuto con la schiavitu', il genocidio dei nativi americani e la conquista delle loro terre, e successivamente imponendo il proprio dominio economico sul resto del continente americano, prelevandone le ricchezze. Un Paese in cui la lettura letterale dei testi religiosi ispirata da un protestantesimo fondamentalista ha prodotto l'autopercezione di essere un nuovo popolo eletto, di avere un destino manifesto da perseguire. Tutti elementi ideologici che sicuramente sono andati a convergere con il sionismo. Una confluenza di elementi ideologici che si uniscono alla necessita' di difendere la propria egemonia globale, ormai in declino, li porta a sostenere un Paese, che nelle sue ridotte dimensioni, e' una propria copia, una vera e propria replicazione della sua storia.
La democrazia e' un sistema migliore di altri solo se fondato su principi universalistici, sia al proprio interno che nei rapporti internazionali. Una democrazia consapevole di quelle forze e quegli interessi che spingono verso le diseguaglianze sociali ed il militarismo e li sappia tenere sotto controllo ed eradicare le basi del loro consenso. Una democrazia formale dominata da oligarchie militariste, imbevuta di suprematismo culturale, se non addirittura etnico puo' essere addirittura peggio di paesi non democratici formalmente, ma meno militaristi e non imbevuti di suprematismo. Ma poi non si tratta piu' di democrazie, ma di oligarchie variamente cniugate.

 
 
 

Riflessione su moneta fiscale

Post n°5 pubblicato il 19 Luglio 2024 da santity

La moneta fiscale mi pare possa essere una via di uscita dolce rispetto ai vincoli austeritari della moneta unica. Cioè invece di uscire dall'euro, si decide per una doppia moneta, una delle quali, chiamata moneta fiscale di uso solo nazionale, non sottoposta a vincoli esterni. Cmq le sinistre anche quelle cosiddette radicali questo problema se lo pongono solo marginalmente. Sono spesso solo concentrate sulla leva fiscale. Ma le oligarchie europee hanno fatto l'unione economica monetaria non per gli erasmus o gli eurofili che che vogliono viaggiare con le compagnie low cost, ma tra le altre cose per aggirare la tassazione progressiva degli stati nazionali sovrani. Infatti da che mi ricordi, ogni vittoria delle sinistre che promette di far piangere i ricchi è finita in fiaschi, e non di vino. Per cui sono anche moderatamente soddisfatto per l'affermazione delle sinistre in Francia, consapevole che senza acquisire una qualche forma di sovranità economico monetaria, anche un governo he promette le più avanzate politiche sociali può fare ben poco. Senza discutere la posizione molto Nato allineata sulla questione della guerra russo-ucraina. Mentre il fogliaccio Repubblica che accusa Melenchon di antisemitismo può far sperare in una Francia che si smarchi dall'abbraccio con l'entità sionista che sta commettendo crimini di guerra in continuazione.

 
 
 

Il trasformismo della sinistra ed il sovranismo

Post n°4 pubblicato il 19 Luglio 2024 da santity

di DAVIDE SPONTON

Una spaccatura forse irreversibile sembra essersi prodotta in quel che rimane della sinistra italiana. Una spaccatura che ha origine nella scelta neoliberale e pro Unione europea della classe dirigente post Pci (ma anche di spezzoni di altre forze politiche della prima repubblica che ad essa si sono unite, ex democristiani soprattutto, ma anche ex socialisti, come pure molti della generazione delle rivolte studentesche degli anni 60/70). Per un certo periodo questa scelta fu occultata dal cosiddetto pericolo fascista di una nuova destra rappresentata dal partito fondato dall’imprenditore televisivo Silvio Berlusconi (e non solo, data la popolarità internazionale datagli dalla proprietà del club calcistico A.C. Milan), Forza Italia, da una nuova forza radicatasi soprattutto in Lombardia e Veneto, pericolosamente secessionista, la Lega Nord, e da una forza post-fascista, Alleanza nazionale, che si preparava a raccogliere l’elettorato conservatore in libera uscita dalla Dc, ormai in via di smobilitazione, soprattutto nel sud Italia.

I militanti critici, molto pochi negli anni 90, notarono fin da subito che le mobilitazioni contro il pericolo delle destre sembravano molto strumentali, che su temi sistemici i due poli spesso convergevano (guerre Nato, privatizzazioni, adesione ai trattati istitutivi dell’Ue e dell’euro di forte ispirazione liberista), e che il cosiddetto antifascismo (sacrosanto nei suoi principi fondanti la repubblica) era usato come copertura ideologica per processi di trasformazione profonde dentro la sinistra. Cioè il passaggio dalla rappresentanza del mondo del lavoro per diventare il riferimento italiano del capitale finanziario internazionale che si stava saldando alle forze dominanti che stavano dando vita alla moneta unica, in particolare alle classi dirigenti tedesche in quello che stava diventando il partito internazionale della deflazione, cioè politiche tese alla massima compressione delle spinte inflazionistiche anche a costo di provocare stagnazione e recessione nelle economie dei vari Paesi, al fine di aumentare il valore dei cespiti finanziari.

Chi scrive era militante di Rifondazione comunista negli anni 90, e fintantoché vi aveva militato si era unito alle varie correnti di minoranza di quel partito tese a dargli una progettualità indipendente e in opposizione ad un centrosinistra a trazione pidiessina-diessina-piddina, che ormai sempre più apertamente rompeva con la sua tradizione storica per assumere una identità politica di partito delle élite economiche, soprattutto di quelle operanti nel settore della finanza e del sistema bancario, ma anche di settori della grande industria (Fiat soprattutto). Ma proporre di essere un terzo polo indipendente dal centrosinistra e dal centrodestra non trovava orecchie disposte ad ascoltare tra i militanti ed i simpatizzanti anche della sinistra radicale, troppo assuefatte al teatro della retorica dello scontro fascisti-antifascisti, berlusconiani-antiberlusconiani.

Poi arrivò la grande recessione del 2007-2008, la crisi dei debiti sovrani, le imposizioni austeritarie dell’Unione europea, fortemente pressata dal governo e dalla banca federale tedesca. E si iniziò a capire che l’ingresso nell’euro, fortemente voluto dal governo di centrosinistra guidato dall’ex presidente dell’Iri Romano Prodi, aveva condotto il Paese in una trappola mortale. L’ingresso nella moneta unica era stato presentato come l’inizio di un futuro di benessere per il Paese; i bassi tassi di interessi avrebbero dovuto essere un incentivo agli investimenti e allo sviluppo, oltre al fatto che il pagamento degli interessi sul debito a tassi bassi o bassissimi avrebbe consentito una riduzione del deficit e di conseguenza del debito. Questo scenario si era rivelato fallace e le politiche imposte dall’Ue dopo la crisi dei debiti sovrani si incaricavano di mostrare il re nudo.

Ci si rese conto che il governo italiano poteva reagire agli shock esterni non più con la svalutazione della moneta – sulla quale non aveva più controllo – ma solo comprimendo il costo del lavoro, in particolare i salari. Che l’impossibilità di fare politiche anticicliche in deficit, ma anzi l’imposizione di politiche di austerità – con aumenti di tasse e tagli alla spesa sociale (ma mai alle spese militari, cosa che avrebbe potuto indurre qualcuno a riflettere sul generale funzionamento del blocco Ue-Nato) – non facevano altro che impoverire larghi settori di lavoro salariato e di piccola imprenditoria. Ma mentre molti a sinistra continuavano a profondersi in atti di fede verso l’Ue come orizzonte irreversibile, gran parte della destra, furbescamente, riusciva a capire gli umori sociali e iniziava a cavalcare la campagna euroscettica al fine di raccogliere consensi.

Perché nel frattempo era nata anche un nuova forza populista, il Movimento 5Stelle, che riusciva ad unire tematiche molto varie, dalla lotta ad un ceto politico ormai autoreferenziale e chiuso nei propri privilegi (la casta) alla protezione delle nuove figure del lavoro precario attraverso la proposta del reddito di cittadinanza fino ad un referendum consultivo per la fuoriuscita dall’euro, ormai percepito da una parte della popolazione come strumento di dominio esercitato da poteri forti stranieri sul nostro Paese. Il fatto che sia la destra leghista che il nuovo movimento populista agitassero questi temi portava non solo il centrosinistra (cosa ovvia), ma anche la sinistra radicale a chiudersi a riccio. Sorprendentemente anche quest’ultima, nonostante fosse stata contraria all’ingresso nella moneta unica nei primi anni 90, si professava eurista, vagheggiando “un’altra Europa” di cui non si riusciva a comprendere con quali modalità e in che lasso di tempo dei cambiamenti potessero essere ottenuti.

Nel 2015 in Grecia falliva il tentativo del nuovo governo di sinistra populista, guidato da Syriza, di rinegoziare il pagamento del debito, di allentare l’austerità e di avere margini di spesa sia per la sicurezza sociale che per un minimo di investimenti pubblici. L’Ue si dimostrava inflessibile. L’idea di cambiare l’Europa da dentro andava definitivamente in crisi, ma dentro la sinistra solo sparute minoranze di intellettuali e militanti aderivano alla prospettiva sovranista, cioè del recupero del controllo sull’emissione di moneta e sulla rimozione dei vincoli sovranazionali alle politiche di spesa pubblica. La destra leghista impugnava la parola d’ordine sovranista, ma la univa a politiche xenofobe e contro gli immigrati. Questo bastava ai mezzi di informazione dei dominanti per imbastire equazioni come sovranismo uguale a razzismo uguale a fascismo. Eppure uno stato che abbia il controllo degli strumenti per attuare una politica economica indipendente ed orientata ad uno sviluppo economico equilibrato, alla giustizia sociale, ad una programmazione finalizzata al riequilibrio tra le aree territoriali era parte integrante del patrimonio politico dei partiti di sinistra di un tempo.

Tuttavia il crollo del comunismo storico novecentesco ha disorientato il popolo di sinistra e lasciato in eredità un ceto politico ormai slegato da tutti i valori storici di riferimento, la cui sola ambizione era l’acquisizione di posizioni di potere e cariche pubbliche. Questo ceto politico ha rinnegato tutto, ma constatando il profondo radicamento antifascista della sua base, ha tentato di indirizzare, con successo, tale diffusa cultura verso la costruzione di un identitarismo che molto somiglia alla tifoseria sportiva, in particolare quella calcistica, dove i contenuti politici vengono sostituiti dall’appartenenza identitaria. Così quello che una volta era il popolo di sinistra crede di appartenere alla parte più istruita, più civile e più tollerante della popolazione. E mentre il vecchio popolo di sinistra, la vecchia classe operaia che aveva acquisito il benessere con le lotte sindacali di una precedente fase storica faceva blocco col ceto medio dell’impiego pubblico e delle consulenze e con la borghesia urbana passata al centrosinistra, le nuove generazioni operaie e del lavoro precario tendevano ad unirsi a quei settori del lavoro autonomo e della piccola imprenditoria che soffrono la compressione della domanda interna e l’alto livello di tassazione imposto dal regime della moneta unica.

Quindi questo antifascismo rimodellato andava a saldarsi con i ceti medio-alti della popolazione. Allora sovranismo ed eurismo perdono il loro reale significato per confondersi in questa nuova contrapposizione sociale e politica. La destra leghista, come pure il populismo pentastellato, hanno usato la carta sovranista per raccogliere voti, ma non hanno gruppi dirigenti realmente determinati e capaci di un confronto duro con i poteri forti euristi e finanziari. Allora mentre il M5S ha abbandonato da un pezzo la carta sovranista, la Lega l’ha piegata in una declinazione xenofoba. Che però fa pienamente il gioco di quel centrosinistra eurista e legato ai poteri finanziari, che così ritiene di dimostrare che non vi è alternativa all’euro e alle politiche liberiste da esso indotto.

Chi ritiene che invece il sovranismo sia una visione volta al recupero degli strumenti di politiche economiche e monetarie autonome di uno Stato democratico e che tale recupero sia pure uno strumento essenziale per perseguire politiche di tipo socialista, dovrà mantenere la barra ferma, resistere agli attacchi e prepararsi ad una lunga traversata del deserto.

 

Davide Sponton

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 24/12/2008
 

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