Ho incontrato per la prima volta l'opera di Maria Micozzi diversi anni fa, quando amavo passeggiare su l'ermo colle e circondarmi di atmosfere Leopardiane. In una di queste mie passeggiate recanatesi mi imbattei per caso nella splendida Galleria Civica: La disperatissima sete - 8 pieces per Giacomo Leopardi, era il titolo del ciclo che Maria stava esponendo. Era il 1988 ed è sicuramente stata una delle esperienze artistiche più intense che io abbia mai vissuto. Questo perchè Maria Micozzi è capace di coinvolgere sia a livello fisico che mentale in contesti in cui non esistono confini, dando vita, all'interno di questi ambiti, ad una sorta di descrizione doppia che si accompagna alla relazione all'interazione: l'oggetto della sua ricerca diventa una domanda di senso e essa stessa ci fornisce due vie per arrivare alla fine del processo di significazione: quella che parte direttamente dall'oggetto della sua indagine e quella che trae spunto dalla sua autoconoscenza. Questi due punti di vista convergono fisicamente nella sua opera, nei suoi segni che diventano un momento di apprendimento per lo spettatore che interagisce con quel contesto.Crea così un vortice di relazioni fra immagini materie idee forme e ne fa la sua personale sintassi espressiva, unico mezzo per indagare l'eterno rapporto fra dentro e fuori: sostiene, così, un pensiero possibile che tenta di attraversare la minaccia del caos in una nuova ricerca di equilibri frutto di quel flusso di eventi, spesso casuali, che caratterizzano la vita, ma fermati nell'arte in maniera selettiva per tentare di spiegarne il senso. Maria continua così a tessere fili e geometrie attraverso un segno sempre più grafico cercando di disegnare finalmente una mappa per il territorio dell'Utopia che non sia solo una vana classificazione ma, per usare le sue parole un organico vivo lungo circuiti senza scissioni che armonizza tutte le diversità in un continuum relazionale.Gino FiengaIn alto: Maria Micozzi - L'abbraccio - Olio su tavola e materiali vari - cm 40x124
