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Esistenze veloci.


La strada è: confine, percorso, segno del divenire, il binario guida dell’esistenza tutta.Cosa al mondo non segue una traccia?Chi può dire che un martellare ritmato, lo scorrere dell’acqua, la carezza di un pennello su una tela, non seguano tutte un percorso prestabilito da una mano generatrice che nel suo incedere ne definisce la forma.Nel plasmare il nostro umano cammino, un puzzle da completare tassello per tassello, cerchiamo di rendere sempre più nitido il panorama che vorremo ci appaia la nostra vita.Non è forse un’eresia affermare che la miglior fotografia della nostra esistenza è l’immagine di Don Abbondio con i Bravi, fermi ad un bivio, sentendoci come quel vaso di coccio tra i tanti vasi di ferro; tutti sul carro dell’umanità speranzosi di non cadere mai in frantumi.Siamo fermi ad un semaforo, sta a noi decidere dove andare, quale strada intraprendere; sapere che ad ogni angolo possiamo imbatterci in un vicolo cieco come di fronte ad una salita.Il tutto trova ambientazione immaginaria nel macrocosmo di un’autostrada a percorrenza veloce e non nel microcosmo lento di una piccola città di provincia.Sostando in una piazzola di servizio e rivolgendo lo sguardo alle vetture che a velocità assurde sfrecciano a pochi centimetri dal nostro naso possiamo facilmente intuire quanto prossimi siamo al diventare schegge impazzite, proiettili sparati a folle velocità in direzione di obiettivi sempre lontani.Tentando, poi, di risalire in macchina capiterà di transitare nei pressi di un casello e lanciando lo sguardo oltre l’ostacolo della semplice immagine sterile che dinanzi i nostri occhi para, notiamo quanto i rapporti umani si sgretolino sotto i colpi dell’effimera materialità contemporanea.Il meccanico svolgersi del pagamento tramite aggeggi elettronici, il non avvertire lo scivolare di quella mano che tira su il contante e ne restituisce il sopravanzo rimarca forse un po’ più la nostra solitudine interiore.Immaginando d’essere un cerchio vediamo i nostri cari come la retta tangente più prossima a noi, e ne avvertiamo sempre più il loro discostarsi dal centro, le parole che ad esso li riconducevano, il calore di una mano che può dare conforto, divengono post – it lasciati su di un frigo, messaggio di un sentimento che non è più tale perché privato del suo primo significato, l’emozionalità.Non dovremmo ritenerci particelle impazzite lanciate lungo una direzione inconsistente, piuttosto incarnarci in Andy Warhol nell’attimo in cui dipingeva il suo quadro, Vesuvius, e sentiremo come il fiume magmatico dei nostri pensieri troverà canalizzazione nell’attimo in cui esplodono, carichi di una devastante lentezza.Fermiamoci dunque e chi tra noi più coraggioso si destituirà quale contrabbandiere di frenesia.Stefano Lento