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Riceviamo e pubblichiamo.


Arte e Politica.Aspetti politici del Movimento Puraista.
L’affinità tra l’opera d’arte e l’atto politico è alquanto ambigua, infatti può essere intesa in due modi antitetici: si può pensare che l’opera d’arte e l’atto politico rappresentino, nell’essere umano, la sintesi organizzativa (la rappresentazione organica dell’osservato, il giusto ordinamento statuale), oppure che, in quanto manifestazioni di molteplicità non organiche rappresentino accadimenti inevitabili dell’umanità nati dall’individualità del singolo e dalla socialità del gruppo.L’arte ha comunque una dimensione sociale attraverso la considerazione ideale del pubblico, che percepisce il manifestarsi dell'opera. Questo è il primo possibile legame tra arte e politica.L’analisi del fatto artistico porta comunque sempre alla politica perché si tratta sempre, per l'individuo come per il gruppo, di ritrovare la purezza sotto ciò che il sistema sociale snatura. Ogni azione che non sia semplicemente conformista, e che sia essa stessa in qualche modo pura, testimonia una risalita verso l'originarietà dell’atto estetico.È sotto il mondo reale, addomesticato e violentato, che si può intravedere un originale sentimento di rispetto per l’essere umano. L’arte è lo strumento dinamico, che inventa a priori l'azione politica, azione che mostrerà possibilità ignote al sistema, ai suoi padroni e ai suoi ideologi, sarà l'artisticità diffusa nelle singole pratiche quotidiane, a trasformare il politico e il sistema, a instaurare l'utopia, a sovvertire le regole istituzionalizzate.La crisi degli anni 60, nonostante il suo sostanziale fallimento, ha avuto una funzione rivelatrice, su tutte le strutture sociali esistenti, scoprendo l'impensabile delle istituzioni, delle imposture degli apparati e mostrando a tutti, nella folgorazione del momento storico, il loro legame con l'ideologia dominante.I primi risultati di tale rivoluzione sono stati quelli di contestare le ideologie che mantengono l'uomo subordinato all'essere, riducendolo a puro testimone dei fatti, ideologie estremiste per le quali l'uomo è soltanto un invenzione linguistica, figura evanescente in un sistema temporaneo di concetti, essere finito che esiste veramente solo per il tempo in cui il sistema lo chiama, lo fonda e gli conferisce un luogo privilegiato e in seguito costretto a scomparire all'interno del sistemaLa politica attraverso l’arte deve tornare all'uomo. Questo compito etico dell’arte, si esplicita nel dovere morale di provocare l'uomo perché sia uomo.L’uomo non è un mero concetto, un semplice segno ma una concretezza, consustanziale all’ambiente in cui vive, evidenza irrecusabile e prima che si riconosce in ogni gesto, in ogni azione degli altri esseri umani. Il rapporto sociale tra le varie soggettività è ristabilito su un piano culturale di nuovo livello dove l'uomo compie volontari atti intenzionali verso i suoi simili, verso il mondo comune degli oggetti cercando tutte le dimensioni correlate dei loro valori fondanti. Cogliere questi valori significa per l’individuo impegnarsi nel mondo, essere chiamato ad agire contro le tecnoburocrazie del sistema sociale contemporaneo e di tutte le ideologie, contro le strutture della società che soffocano l’autenticità del reale: questo significa tentare di costruire un nuovo mondo in cui la creatività possa ancora rappresentare un segno demiurgico.Questa lotta, mette in luce il fondo di religiosità né dogmatica né fideistica della filosofia di Dufrenne contro le teorie dell’obiettivismo moderno, e dell'umanesimo integrale di Maritain mostrando l'importanza dell'azione dell'uomo, della sua capacità creativa, del suo desiderio di cambiare la vita, di restituirle un senso contro le tecniche che vogliono usarlo e metterlo a tacere nell'attesa della morte.La politicizzazione dell'arte è una presa di coscienza della necessità di esercitare la funzione critica da parte dell'artista. Nonostante i sintomi che ne rivelano la malattia, l’arte moderna non è morta, l’impegno nel contesto sociale, la capacità di autoaffermarsi e difendersi dalle aggressioni del contesto, realizzando le proprie norme comportamentali e di ricerca ne fanno uno strumento di intervento politico potente e puro. Non equivochiamo sul termine politicizzazione, che non va inteso come asservìmento totale ad un partito o ad un’ideologia, gli anni sessanta insegnano.L’arte scende in politica per orientarla, per estetizzarla, con la cognizione di non farsi subordinare alla prassi politica. L'impegno politico odierno può svelarsi come novità d’essere, a volte attraverso azioni che possono sembrare contraddittorie, proclamando la morte dell'arte borghese di puro appagamento visivo, rifiutando i mercati dell'arte, inserendo la pratica artistica nella quotidianità, rivelando nel suo modo di essere la naturalità naturante dell'uomo, mostrando che, se l’arte non può fare la rivoluzione, è almeno in grado di cambiare la vita.Arte e politica sono due strutture della società ed in quanto tali, si pensa debbano essere condizionate dall'ideologia del contesto ossia da ciò che esprime e giustifica il sistema; a questa falsità bisogna opporre, proprio attraverso l'arte, una nuova origine della verità. L'antidoto che permette di restituire all'arte la sua innocenza incorrotta; è l'utopia, che mira a purgare le istituzioni proponendone un altra organizzazione, un'altra vita.Storicamente l'arte è stata fin dai primordi istituzionalizzata.
Da quando l’artista-sacerdote, uscito dalla fase magica che lo vedeva sciamano del sapere occulto, è stato asservito al potere del re guerriero (il mecenate) e confinato al ruolo di artigiano che produce per chi lo sfama e lo protegge, all’arte, è stato assegnato: uno status sociale inserito in una filiera di microistituzioni costituita da: artista, clientela, pubblico, critica, emolumenti, clientelismo, tangenti, commercio, consumo, levitazione dei costi, iperproduzione, sfruttamento, riciclaggio,…. ecc. un'idea ordinatrice di Bello, in grado, da sola, di caratterizzare gli oggetti attribuendo loro una mercificazione, indipendente da qualsiasi altro valore.  Anche la politica, in modo più evidente, si è istituzionalizzata nello Stato. Istituzione per eccellenza, dove il potere politico si radica rivendicando la propria autonomia nei confronti degli altri poteri della società, la magistratura, la polizia, ecc.L’arte e la politica considerate come sostanzialmente autonome, nei punti che segnano la loro comunione, mostrano in facciata, nella relazione fra gli addetti,  un atteggiamento che pare d’indifferenza formale, in realtà le relazioni che si instaurano sono di subordinazione reciproca.L'utopia non considera arte e politica come istituti separati, ma come il pensiero che feconda l'impegno e l'avvenire dell'uomo nel mondo.Il rapporto utopico moderno tra arte e politica assume un carattere di irriverenza e di invenzione, quindi di estraneità verso il pensiero filosofico del riflettere. Ne fa emergere dunque la parentela con l'azione resa necessaria dal bisogno, che si manifesta nel gesto, come attuazione del desiderio, essa si identifica con la necessità di perseguire il possibile, la creazione dello status naturale di un nuovo mondo in cui la libertà si attui attraverso un processo di liberazione economica, politica e sociale il cui fine è quello di affrancare l'uomo dalla schiavitù del bisogno, dalla guerra, dalla lotta di classe, consentendo a ciascuno una concreta autorealizzazione materiale e spirituale. Questa dunque non coincide con l’utopia classica, che descrive contesti irreali, ma è il nostro habitat sociale che vuole essere ristrutturato per una vita più equa per tutti.Quest’utopia della realtà, si radica nella società dove, come dice Marcuse, il principio di realtà è divenuto il principio di rendimento. Questa utopia calda che nulla ha in comune con gli impianti tecnocratici, in quanto molla del cambiamento, va collocata nel desiderio, di giustizia.Nell’intenzione di realizzare questo desiderio c’è insita la speranza in sé, nella propria capacità all'azione, che deve esprimersi costruttivamente, potere di affermazione, apertura verso un avvenire migliorato dall’impegno personale. L'utopia oggi è andata oltre gli stessi filosofi che l’hanno proposta, infatti, ha preso coscienza che la conquista dello Stato attraverso la rivoluzione e l'instaurazione di nuove ortodossie, è falsa e fuorviante. La strategia dell'utopia è sostituire, alla rivoluzione che si pensava di fare, le azioni politicamente estetiche, immediate e puntuali che si fanno oggi. Attraverso l'azione utopica, insieme alla politica dei potentati, delle lobby, dei partiti delle poltrone, troverà la sua dissoluzione anche l'arte istuzionalizzata delle filiere che producono ricchezza ai mercanti del tempio che attraverso la loro comunicazione asservono l’artista, stravolgendo la verità del suo vissuto. Bisogna restituire all'arte un senso e una funzione e ciò può accadere solo se le è nuovamente attribuito quell'alone di festa magica e misticismo che possedeva presso i popoli primitivi, quel senso della bellezza come intensità dell'apparire, il gesto pienamente gesto che si concede alla vista come il rituale magico, necessario e sufficiente, all’essenza evocata della “COSA”. L'ordine messo in scena, teatralizzato dall'ideologia, ha perso ragion d’essere, è cessato il motivo della necessità e dell'universalità; le giustificazioni e le motivazioni del potere sono rimestate, le competenze discusse, le virtù processate e l'arte appare quindi motivo e strumento di innovazione.Il concetto estetico che sorpassa quello di bello va dunque esteso dagli oggetti agli atti in modo tale che l'utopia inciti la produzione artistica, in modo formale, ossia che faccia morire una certa concezione dell'arte, per far sì che essa sia il risultato interpretato in senso etico della Natura. Se questi processi si sono verificati per Schönberg o Picasso, non per questo saranno preclusi per l'anonimo bricoleur, che si inserirà all'interno dell’arte per le azioni che ne vogliano allargare il senso e portare il rivolgimento sociale a mutare le condizioni della produzione. L'utopia non vuole moltiplicare le opere bensì gli artisti.O per puntualizzare i non-artisti che praticano l’arte, con le loro mani. Questa sarà autenticamente popolare, da loro inventata e trasformata in gioco attivo. Giocando: l'uomo non rimane in sé, nel chiuso cerchio dell'intimità della sua anima, egli piuttosto esce estetico da se stesso in un atto cosmico ed interpreta il senso di tutto il mondo, questa affermazione di Fink esplicita il senso profondo dell’utopica relazione tra arte e politica.Un’arte che rifiuta di essere istituzionalizzata sarà solo l'arte della gioia. Il desiderio della libertà, determina la gioia di fare. Anche la contestazione, che è azione politica, può dunque divenire in questo contesto un avvenimento estetico poiché i concetti politico ed artistico hanno, nella totalità sociale, lo stesso campo d'azione sino a identificarsi l'utopia non si svolge nel cielo ideale di un non meglio definito desiderio come sembrano sostenere gli epigoni degli estremismi dogmatici, ma nella concretezza reale del mondo, nella presenza ben radicata del percepito, nell’attualità resa possibile dal concetto utopico.Queste azioni utopiche non hanno una connotazione di classe. Va inoltre evitato di cadere nei miti radicaleggianti: non è necessario distruggere il sapere ma solo modificare le istituzioni che lo avvolgono, quel sistema che è negazione concreta del giusto. Arch. G. S. DevotiIn alto: David Alfaro Siqueiros, Autorretrato, El Coronelazo, 1945In mezzo: Ricardo Martìnez, El Brujo, 1972