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Tibet. I Cinesi sparano sulla folla. Boicottiamo le Olimpiadi


I cinesi sparano Repressa nel sangue la rivolta in TibetAdesso è vera, autentica rivolta. Adesso gli ospedali di Lhasa contano i morti e feriti. Adesso i reparti della polizia cinese in assetto antisommossa svuotano i caricatori tra i fumi del mercato in fiamme mentre torme di cinesi fuggono inseguiti dalla rabbia tibetana. Adesso Washington alza la voce, chiede a Pechino il rispetto per i tibetani. Il Dalai Lama lancia, invece, un disperato appello chiedendo alle autorità di Pechino di rinunciare alla forza e avviare il dialogo.Inizia tutto in sordina. Sembra la solita protesta, sommessa e discreta. Come nei tre giorni passati. La semplice appendice dello sciopero della fame lanciato dai monaci per ottenere il rilascio dei colleghi arrestati all’inizio delle settimana quando centinaia di tuniche sono sfilate ricordando l’invasione del 1951 e la feroce repressione del 1959. A scatenare la prima fatale scintilla sono i poliziotti mandati a bloccare la processione di cento monaci. Sono usciti dalle mura del tempio di Ramoche, vogliono soltanto raggiungere il centro di Lhasa. Le forze di sicurezza li fermano, li circondano, li rimandano indietro. Loro si fermano, la folla s’assiepa, circonda le divise, le sovrasta, apre un valico, protegge la marcia dei religiosi. Sembra una scaramuccia, ma è l’inizio della rivolta. Dietro e attorno al corteo monta la rabbia di Lhasa, tracima nelle strade nel mercato, dilaga non appena la polizia tenta di bloccarla. Gli scontri a colpi di bastoni e manganelli, lacrimogeni e sassi lasciano spazio ai roghi e alle sparatorie. E i bilanci si fanno drammatici. «Siamo tutti presi a soccorrere i feriti, ne arrivano di continuo, ci sono anche dei morti, ma non sappiamo quanti» - grida un’infermiera dal telefono del pronto soccorso di Lhasa. «La polizia cinese ha sparato sulla folla uccidendo almeno due persone mentre folle di tibetani bruciavano le auto e sfilavano nelle strade» - riferisce Radio Free Asia citando altre testimonianze telefoniche. Le agenzie ufficiali cinesi si limitano a diramare un freddo e scarno bilancio di nove feriti. Le prime colonne di fumo invadono, intanto, il mercato di Tromsikhang dove si moltiplicano gli assalti ai negozi controllati dagli immigrati Han, la minoranza d’origine cinese incoraggiata a trasferirsi in Tibet per alterare la composizione etnica a vantaggio di Pechino.