TuttacolpadellaLuna

Lentamente camminava


Non sempre siamo in grado di guardare oltre. Non sempre siamo interessati a scoprire se ciò che sembra lo sia realmente. Ci accontentiamo delle mezze verità, di ciò che riusciamo ad accettare senza farci troppo male… Camminava  lentamente per le vie quasi deserte della piccola città. Il rumore dei suoi passi gli teneva compagnia. Alzò lo sguardo verso l’alto, dove finestre chiuse e balconi vuoti gli ricordarono che tutto era cambiato.Sin da piccolo era sempre stato affascinato dal candore dei panni stesi al sole ad asciugare ed ancora oggi guardava sempre, con una sorta di ammirazione, quei balconi che li sventolavano  come bandiere, a testimonianza che lì c’era una vita che andava avanti, malgrado tutto. Oppure gli capitava di non riuscire a distogliere lo sguardo da una finestra illuminata da una calda luce dorata, perché lo aveva sempre incuriosito sapere chi fossero e come vivevano quelle persone, che avevano una casa che dal di fuori sembrava così accogliente. Che sia chiaro: non aveva mai spiato nessuno. Si era sempre limitato soltanto a guardare dalla strada, e a volte anche dalla macchina in movimento, in direzione di ciò che lui amava chiamare “gli occhi delle case”, perché le finestre sono lo specchio di chi vi abita, se le sai guardare attentamente. Lui lo sapeva ed è per questo che insisteva con lo sguardo: per cercare di intravedere una qualche immagine della vita di quella casa, quasi a voler trovare una corrispondenza tra quello che appariva e quello che traspariva.Non è un caso, infatti, che i ricordi più forti che aveva erano quelli legati ai suoni e agli odori, che fuoriuscivano dalle finestre spalancate e dagli usci perennemente socchiusi delle case nei vicoli di Napoli, la sua città. Sua nonna abitava lì, in un antico palazzo che una volta era stato un monastero. Scalinate altissime e gradini consumati, soffitti a volta, mura spessissime, tutte rigorosamente in tufo, una pietra di cui le viscere di Napoli sono piene. Al suo interno ogni tanto si aprivano dei cortili, di cui alcuni, memori della loro antica destinazione, serbavano ancora delle lapidi che ricordavano i frati, le cui morti si erano susseguite nel trascorrere di centinaia di anni. Questo, però, non aveva mai spaventato nessuno degli abitanti di quel palazzo, compresa sua nonna, che non capiva perché, arrivato in prossimità di quel cortile, il suo impressionabile nipotino cominciasse a correre a perdifiato per rifugiarsi tra le mura della sua vecchia e rassicurante casa. A nessun altro era mai importato di quella particolare convivenza. A Napoli, in certi quartieri, non puoi permetterti di avere degli spazi completamente tuoi, e poco male se a condividerli siano delle tombe di frati…magari porteranno anche bene. A Napoli non si è mai soli.In quei cortili riecheggiava la vita, fatta di musica e di voci, di rumori di stoviglie e tintinnìo di bicchieri di vetro all’ora di pranzo, di richiami melodiosi e cadenzati ad alta voce da un balcone all’altro. Tutto contribuiva a riempire ogni spazio, invadendo anche quello delle altre case. Spesso le musiche si intrecciavano tra loro, creando delle assonanze che mai più avrebbe ritrovato lungo la sua strada. Tutti partecipavano non visti della vita, che prepotente si imponeva sopra ogni altra cosa, e tutto era estremamente piacevole per lui. Persino i litigi, che sfociavano in urla, a volte stridule a volte sommesse, gli davano una visione della propria vita più accettabile. La condivisione si sa, alleggerisce gli animi. Quegli odori poi… di ragù, di fritto, di carne arrosto… Richiami invitanti di pranzi e cene preparate con cura e sapienza, frutto di ricette che nessun libro avrebbe mai potuto trasmettere.Tutto questo gli tornava alla mente guardando la tristezza di quei balconi apparentemente disabitati. Come c’era capitato lì… E perché, soprattutto, si ostinava a restarci?La risposta se la diede quando capì di non essersi accorto di essere arrivato sotto casa sua, tanto era confusa tra il grigiore delle altre.No, il suo posto non poteva essere più lì...