(SENZA TITOLO)

63


Ho preso uno scatolone. Ci devo mettere dentro dieci anni di vita. Detta così sembra una cosa grossa, ma è tutta carta. Qualche fotografia. Nastri, dischi. La tazza del tè. Forbici. A dire il vero è quasi tutta roba dei primi anni. A ogni trasloco ho lasciato qualcosa in una busta, in qualche scatola mai riaperta , in fondo all’ armadio. L’anticamera del cassonetto. Lo scatolone è fin troppo grande per quello che mi resta. Non potrò metterci i disegni di mia figlia perchè non avrei dove appenderli. Dalla prossima settimana non avremo più un ufficio, ma il 'più moderno' open space. Settantadue persone in due gruppi, scrivanie in fila per quattro. Su una lavagnetta magnetica ci sarà la mappa dei nostri posti. Il mio è il 63. Un pupazzetto blu segnalerà la presenza, quello rosso l’assenza prolungata e dunque la disponibilità della postazione. Pupazzetti. Siamo poco più di questo. Ci mettono insieme e in fila per favorire gli scambi di idee, dicono. Per aumentare la produttività. A me era sembrato produttivo anche ascoltare A. che mi raccontava della sua vita sconquassata dal male, della figlia difficile e della sua paura di vivere. Non era tempo sprecato quello che ho passato a tranquillizzare L. dopo una brutta telefonata di una brutta persona. O quando M. venne da me a cercare un abbraccio perchè non ce la faceva più. Ma questa è roba da porta chiusa, da quattr’occhi. Roba che ormai non serve più. Risorse, ci chiamano. Come le macchine, le fotocopiatrici. Che buffo, in dieci anni non ho mai avuto il nome sulla porta, a differenza dei miei colleghi. Ho sempre dimenticato di stamparlo, tutto qua. E ormai non faccio in tempo. Ora avrò un numero rosso a identificarmi. E un pupazzetto: un omino. Avesse avuto almeno la gonna ...