Quand’ ero piccola l’ anno scolastico iniziava contemporaneamente in tutta Italia.La sera prima il Presidente della Repubblica salutava gli studenti con un discorso come a Capodanno, ma senza lenticchie e zampone. Era un riconoscimento (anche solo formale) del ruolo della scuola nella società italiana. Domani mia figlia inizia la prima elementare. O scuola primaria, come dice Marystar.Abbiamo faticato a trovare un grembiule bianco abbastanza piccolo per i suoi diciassette chili.Quando gliel’ ho misurato è stato come aprire una finestra. Lei felice, i grandi occhi stellati e sorridenti; il visino ancora sporco del sudore dei giochi, i capelli tutti scarmigliati dalla corsa.E ho visto d’un colpo le meraviglie a stormo che la faranno sorridere, tutti i perchè pronti a sbocciarle sulle labbra, le sere bagnate di pianto quando penserà di non farcela. Il magico trasformarsi dei segni in parole da spiccicare a gocce. La musica dei numeri e le acrobazie dei colori.Una curva della vita che non sai cosa c’è dopo. E mia figlia, curiosa, si sporge per vedere.Domani entrerò nella sua aula. L’accompagnerò al banco e poi me ne andrò via per aspettarla a casa.Perchè è così. I figli non sono nostri. Sono del mondo e al mondo devono andare. E se lo devono prendere tutto. Saperlo leggere, scrivere, contare. Misurarlo e berselo e masticarlo tutto.E se pure non è la scuola che vorrei; se dovrò comperare la carta igienica e quella da cucina; se due ore di religione mi sembrano troppe a confronto dell’ unica d’ inglese, questo non basta a spegnermi la gioia in cuore. E adesso a letto, chè la campanella suonerà puntuale.
Primo giorno
Quand’ ero piccola l’ anno scolastico iniziava contemporaneamente in tutta Italia.La sera prima il Presidente della Repubblica salutava gli studenti con un discorso come a Capodanno, ma senza lenticchie e zampone. Era un riconoscimento (anche solo formale) del ruolo della scuola nella società italiana. Domani mia figlia inizia la prima elementare. O scuola primaria, come dice Marystar.Abbiamo faticato a trovare un grembiule bianco abbastanza piccolo per i suoi diciassette chili.Quando gliel’ ho misurato è stato come aprire una finestra. Lei felice, i grandi occhi stellati e sorridenti; il visino ancora sporco del sudore dei giochi, i capelli tutti scarmigliati dalla corsa.E ho visto d’un colpo le meraviglie a stormo che la faranno sorridere, tutti i perchè pronti a sbocciarle sulle labbra, le sere bagnate di pianto quando penserà di non farcela. Il magico trasformarsi dei segni in parole da spiccicare a gocce. La musica dei numeri e le acrobazie dei colori.Una curva della vita che non sai cosa c’è dopo. E mia figlia, curiosa, si sporge per vedere.Domani entrerò nella sua aula. L’accompagnerò al banco e poi me ne andrò via per aspettarla a casa.Perchè è così. I figli non sono nostri. Sono del mondo e al mondo devono andare. E se lo devono prendere tutto. Saperlo leggere, scrivere, contare. Misurarlo e berselo e masticarlo tutto.E se pure non è la scuola che vorrei; se dovrò comperare la carta igienica e quella da cucina; se due ore di religione mi sembrano troppe a confronto dell’ unica d’ inglese, questo non basta a spegnermi la gioia in cuore. E adesso a letto, chè la campanella suonerà puntuale.