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« Messaggio #68La donna scrive... »

La donna

Post n°69 pubblicato il 21 Febbraio 2008 da qatia
 

Volevano mettere distanza fra loro e gli affanni di Parigi, aggiungere come rinforzo la barriera di una lingua straniera. Due settimane in Italia. Niente Roma, Firenze o Napoli. Non volevano fare i turisti, ma starsene un po’ per conto loro. Un piccolo uliveto vicino al mare. Trovato per caso via internet. Il posto ideale per rintanarsi dal quotidiano.

Quella mattina stava leggendo nel prato, dopo aver fatto colazione. Alzò gli occhi dal giornale incuriosita da un mugolio insistente, intrecciato a un fluire di parole di cui capiva solo i ‘no, no’ fermi e sicuri. Il bambino aveva strappato dell’erba per mangiarla e la madre glielo impediva con gesti precisi e sapienti, come fatti un milione di volte. Mathieu le toccò la mano: ‘Tutto bene?’ ‘Sì’ rispose lei, più per sè che per lui ‘sì, non ti proccupare’. Restò a guardarli. Non poteva farne a meno.

Vedeva sè stessa china a fermare la mano del figlio, togliergli l’erba dalla bocca e ripetere quei no no no. Ce li avrà sette anni quel bambino? Forse sì.

E di nuovo si ricomposero le immagini del suo dolore.

La prima cosa che vide al risveglio fu il polsino bianco del camice verde che indossava. Il primo pensiero fu che quei colori stavano proprio bene insieme. La seconda cosa fu Mathieu seduto accanto al suo letto. ‘Ciao’ gli aveva detto ‘ciao’ le aveva sorriso lui. Intorpidita dall’anestesia faticava a tenere gli occhi aperti. Era ancora lì. Ancora viva. Era finito tutto. Una settimana disperata finita in meno di un’ora.

Una settimana prima erano arrivati i risultati delle analisi. Il dottore aveva voluto che fossero presenti tutti e due per consegnarli. Già questo l’aveva messa in agitazione. ‘Ma no, vedrai che è la prassi’ faceva Mathieu ‘in fin dei conti è un esame importante.’

Un esame importante, sì. Il più importante. Avevano deciso di farlo dopo averci pensato a lungo. Poi avevano scelto di sapere, piuttosto che farsi masticare dall’incertezza.

Prenotò l’esame a malincuore e la notte prima di farlo pianse in silenzio, tutta rannicchiata mentre Mathieu dormiva tranquillo.

E poi l’attesa del referto. Non ne parlavano mai. Si erano già detti tutto.Tenevano a bada l’ansia facendosi compagnia.

Infine li chiamarono.

Prima di bussare alla porta dello studio si guardarono: sarebbero usciti da lì con animo ben diverso.

 Il dottore cercò le parole migliori, ma lei sentì solo il ‘purtroppo’ iniziale. Poi fu solo un rombo nelle orecchie, bocca secca, respiro mozzato e lacrime che non potevano uscire. La mano di Mathieu che tremava dentro la sua. Li lasciarono soli per un po’. Quando tornò nello studio,  il medico le disse che poteva tornare a casa e pensarci ancora per un po’di giorni. Se avesse deciso di affrontare l’intervento, le avrebbe riservato un posto nella sua clinica. ‘Mi chiami Giovedì prossimo. Si dovrà trattenere da noi per quarantott’ore, niente più. Mi faccia sapere, qualunque cosa decida’.

Aveva cercato di prepararsi immaginando quel giorno, le parole del medico. Con  Mathieu avevano già deciso cosa fare dopo. Ma l’atrocità di quel momento no, non l’aveva immaginata. Non avrebbe potuto, perchè mai aveva conosciuto tanto dolore in vita sua. Sentiva il cuore esploderle al pensiero che il peggio, in ogni caso, sarebbe venuto dopo. Lei e Mathieu ripresero discorsi fatti mille volte; furono pianti, abbracci, urla e disperazione. Occhi gonfi e notti insonni, a chiedersi il perchè di tanto male proprio a loro, così sani, così attenti. A domandarsi cosa fare, perchè la mente straziata non lo sapeva più.Alla fine lei si arrese. Fra due dolori scelse quello che non si allargava ad altri. Chiamò il dottore. ‘Venga domattina alle 8. A digiuno. Coraggio, signora, sta facendo la cosa giusta’.

Ma non era vero. La giustizia qui non c’entrava niente.

Le infermiere si presero cura di lei con garbo, ma senza calore. Rassegnata, senza dire una parola, si lasciò depilare e preparare per l’intervento. Mathieu la vide, distesa sul lettino, entrare nella sala operatoria. Si scambiarono uno sguardo e un sorriso triste.

Lui sapeva che malgrado l’amore che li univa, lì dentro lei era sola. Non c’era modo di  attenuare la forza devastante del peso che le stava crollando addosso. Ebbe paura di perderla, in qualche modo.

La loro vita non si sarebbe raddrizzata più, come un ulivo torto e spaccato dagli anni.

Quando uscì dalla clinica lui la portò al mare, da sempre la sua consolazione.

Non dissero nulla lungo il viaggio, che le parole non servivano più. La radio riempì il silenzio con le voci di mondi lontanissimi. Lei era come pietrificata. Ammutolita dal bisogno di proteggersi, salvare quel che restava di sè.

Passeggiarono sulla spiaggia deserta. Il cielo di Novembre gli fece la grazia di un poco di sole. L’andare e tornare delle onde era così semplice e profondo insieme, così vero, così eterno che lei sentì di colpo tutta la violenza inesorabile della vita. Piegata su sè stessa, il viso stravolto, si lasciò andare a un pianto dal suono animalesco più che umano. Pianse sul suo corpo straziato, sul ventre inutilmente gonfio e svuotato di ogni promessa, sulla condanna che s’era scelta per non condannare un innocente.

 Pianse su quella creatura che avrebbe portato sempre dentro di sè, nella perenne gestazione dei figli mai nati.

 

 

 

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Commenti al Post:
heygio8
heygio8 il 23/02/08 alle 11:22 via WEB
La vita è piena di cose belle o brutte, ma la cosa più importante la vita è fatta di scelte giuste o sbagliate, che si possono condividere o meno ma sono scelte e per fortuna che si possono ancora prendere.
 
 
qatia
qatia il 24/02/08 alle 17:19 via WEB
Il peso delle scelte si rivela solo nel tempo. Scegliendo azzardiamo sempre un po', basandoci su quanto sappiamo di noi e della nostra capacità di sopravvivenza. Alle donne capita spesso che siano gli uomini a scegliere 'per' invece che 'con' loro, parlando di giustizia come se tutto fosse riconducibile ai codici. Ci trattano da mentecatte o da irresponsabili, con la leggerezza del prepotente che non conosce ostacoli. catia
 
heygio8
heygio8 il 25/02/08 alle 22:50 via WEB
Il tempo aiuta solo ad avere rimpianti e i rimpianti sono dolore che poi non riesci a cancellare e ti rimangono impressi sul tuo corpo come un tatuaggio.. Hai scritto un racconto che parla di un argomento molto difficile, ma scrivi come se lei avesse sbagliato a prendere quella scelta, per me no, non dico nulla su questo argomento, non dico se giusto o sbagliato abortire, ma io penso che bisogna avere la scelta di decidere, tutto qui... Purtroppo come dici, molte volte le donne sono costrette dagli uomini e questo è un male, ma avete affrontato tante battaglie in passato e tutte vinte e credo che avete la possibilità di vincere anche questa.
 
qatia
qatia il 26/02/08 alle 10:19 via WEB
No, heygio, non si tratta di sbagli: le cose non sono sbagliate o giuste a seconda che provochino o meno dolore. Nella vita spesso procediamo bendati, imbocchiamo strade che non sappiamo bene dove ci porteranno. Scegliamo basandoci sulla nostra capacità di sopportare le conseguenze delle nostre scelte, sapendo che saranno comunque diverse da quelle ipotizzate. Con queste premesse ciascuno dovrebbe essere lasciato libero di decidere per sè almeno su argomenti delicati come la vita e la morte, senza che la sua scelta venga giudicata da altri giusta o sbagliata. Mi sembra però che le cose stiano diversamente. Dell’aborto parlano soprattutto gli uomini. Spesso presuppongono che per le donne sia solo un modo facile di liberarsi di un fardello scomodo. Questa è arroganza, prepotenza, ignoranza. Una donna che sente crescerle una vita dentro cambia per sempre, irreversibilmente. Che il bimbo nasca o no, dopo non sarà più la stessa. La donna del racconto sceglie liberamente di non far nascere un bimbo che avrebbe sofferto. Decide di prendere su di sè tutto il dolore di quella scelta. Ma il fatto di non aver subito costrizioni non riduce le dimensioni della sua sofferenza. Vorrei che si riflettesse su questo: le ragioni di certe scelte non ci sono note, dunque non possiamo esprimere giudizi in merito. Bisognerebbe provare a mettersi nei panni scomodi di chi è coinvolto, immaginarne l’angoscia e lo strazio, il tempo lunghissimo del rimorso: che esiste sempre, anche quando non ci sono costrizioni. Invece intorno sento strepiti di proclami, crociate, sentenze su quel che è giusto per gli altri, per tutti. Uomini, soprattutto. Con la verità in tasca, accanto al fazzoletto. Beati loro. Catia
 
fiodor.yang
fiodor.yang il 02/03/08 alle 13:18 via WEB
Ciao, lascio un commento non riguardante l'argomento trattato dal racconto, ma semplicemente per dire che: catia, quando leggo cose tue non riesco a staccarmene fino a che non ho letto tutto fino in fondo ... complimenti e per favore continua.
 
 
qatia
qatia il 02/03/08 alle 17:31 via WEB
Grazie fiodor, m'hai fatto diventare tutta rossa ... fortuna che qui nessuno mi vede ...
 
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