un anno di amelia

Saimir


La redenzione personale di un immigrato giovane albanese, i problemi di comunicazione con il suo padre, lo squallore, la miseria, la violenza e lo stupro. Temi non veramente attraenti ma in un modo o nell’altro, il regista è riuscito a creare un film pesante ma ispiratore. La trama è veicolata attraverso Saimir, un ragazzo giovane con una triste prospettiva. Questo ruolo è interpretato perfettamente da Mishel Manoku, il cui faccia esprime tutto con delicatezza, senza esprimersi troppo esplicitamente. Questa sensibilità messa insieme con la scenografia tetro, oscillando fra le periferie squallide in cui vivono quelli che organizzano lo trafficking degli immigrati clandestini e gli campeggi negli quali i secondi sono confinati, rendono questo film uno di grande potenza agghiacciante. Saimir è un anomalo in questo gruppo dei mostri che s’impadrino degli immigrati spaesati che arrivano sulla costa. Tuttavia, è anche uno straniero della cultura italiana; non riesce mai a tener ferma sua relazione con la ragazza italiana della quale s’innamora. Lui è poco naturale quando si esprime fisicamente, suo linguaggio del corpo sembra rigido e c’è sempre una certa distanza fra lui e gli altri personaggi con cui parla. La sola eccezione arriva nel momento che scopre una ragazza immigrata che è stata abusata fisicamente, e sessualmente (s’inferisce); lui si avvicina di lei e la tocca la spalla – un simbolo del suo tradimento imminente del gruppo trafficking e la sua redenzione personale. Mishel Manoku colpisce nel segno con sua interpretazione del ruolo che riesce a sensibilizzare il pubblico per quanto riguarda queste atrocità che subiscono gli immigrati clandestini cercando una vita meglio.