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Amata, odiata, costretta all’autocritica: la vita complicata della numero 1 cinese che sa solo vincereLa diva Guo, un tuffo oltre il destino«Prima di buttarti sei come un pittore, in acqua è tutto dolce e confortevole»LE IMMAGINITutte le foto
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ROMA — «Il tuffo sono io». Così rispose a chi le chiedeva una definizione della sua disci­plina. Un po’ come Luigi XIV, ma non è supponenza, quella di Guo Jingjing, semmai reali­smo: considerata (4 ori e 2 ar­genti olimpici, 8 ori mondiali in quattro edizioni dal 2001) la più grande tuffatrice di tutti i tempi, è soprannominata la Di­ving Queen o la Diva. Ma anche le regine tremano per il freddo e Guo scuote i suoi quattro orec­chini: ha fretta di andarsi a rive­stire. Ha appena dominato, in scioltezza, la semifinale dal trampolino da tre metri nella buca dei Mondiali, ma ha feb­bre e mal di gola. Tania Cagnot­to accede alla finale col quarto posto, preceduta anche dalla ca­nadese Jennifer Abel e dall’altra cinese, He Zi. «Voglio migliora­re il mio livello»: Guo è laconi­ca. La sua coach, Zhou Jihong, primo oro olimpico cinese di una lunga serie (Los Angeles 1984), fa spallucce: «Se sei un grande atleta puoi gareggiare in tutte le condizioni».La vita di Guo Jingjing è un lungo tentativo di tuffarsi lonta­no da un destino che invece la riafferra in continuazione. Ave­va promesso di ritirarsi dopo Pechino, è stata sei mesi ferma, avvolta dal mistero che contrad­distingue le dive, poi è tornata nella quinta tappa del Grand Prix a Fort Lauderdale in Flori­da a maggio: prima nel sincro da tre metri con Wu Minxia. E quindi rieccola, a 27 anni, con un nuovo limite: «Arriverò fino a 30 anni». Londra 2012? Sottile e bella come un giunco, tenera e ribelle, la vita di Guo è una specie di soap opera ancora sen­za fine, né tantomeno lieto fine per questa ragazza nata a Bao­ding, 140 km a sud di Pechino, e scoperta a sette anni da Lei Fang, la sua prima mentore, scomparsa tragicamente schiac­ciata da un palo del telefono. Il nuovo coach, Yu Fen, la portò alla scuola di tuffi e anche al­l’esordio all’Olimpiade di Atlan­ta, a 13 anni. Quinta. L’esperien­za divenne una miniera con Zhou Jihong che la prese subito dopo i Giochi del 1996. Allena­menti, clausura, successo. Syd­ney 2000: due argenti.Poi venne Atene e la consa­crazione. Brava e bella, è la testi­monial ideale. McDonalds, Co­ca Cola, Budweiser, cosmetici e altro. Due milioni di euro l’an­no di guadagni, l’estratto conto più alto mai toccato a un atleta cinese, Pechino invasa dai car­telloni con il suo faccino, jet set, il legame con Tian Liang, anche lui tuffatore, anche lui due ori olimpici al collo, anche lui bello e ricco. I due vengono sorpresi al Casino di Macao che se la spassano. Lui viene spedi­to in esilio, a meditare, a lei vie­ne chiesto di abiurare pubblica­mente certi comportamenti. Ma la verità è un’altra, ci sono di mezzo i soldi che Guo vuole tenere per sé e che lo stato, in­vece, vuole in gran parte nelle proprie casse, a risarcimento dell’investimento fatto su di lei. La storia con Tian si conclu­de, lui molla (o gli fanno molla­re) i tuffi e sposa la vincitrice di X-factor made in China.Guo invece recita il suo mea culpa. «Non ho operato secon­do le istruzioni dei leader». Ria­bilitata, si fidanza con Kenneth Fok, nipote di un potente tyco­on di Hong Kong. Potente e ge­neroso: aggiunge 45 mila euro di bonus al premio per gli ori ci­nesi a Pechino. Amore e affari: Kenneth e Jinjing aprono un centro commerciale a Hong Kong. I tabloid, però, sono in agguato: alla vigilia dell’Olimpi­ade scrivono che è incinta. Non risulta, arrivano altri due ori. Sembra la conclusione promes­sa della sua carriera sportiva.Invece torna. Segnata, ma torna. La descrivevano come una ragazza solare, ora rispon­de a monosillabi e non si fida più. A Pechino si era sciolta, ma alla domanda sulle sue avversa­rie si era trovata questa rispo­sta scritta sui giornali: «E poi c’è la cicciona canadese». Il rife­rimento era a Blyte Hartle. Che l’avesse detto o no, nel mondo piccolo della «buca», venne fuo­ri un tumulto. Forse è qua per disciplina, perché non c’è nes­suno che possa ancora distur­barla e, soprattutto, sostituirla. Oppure perché le piace. «Il mo­mento più bello del tuffo è al­l’inizio e alla fine. Prima è come essere un pittore che ferma il suo pennello e contempla il quadro, poi, quando sei sott’ac­qua tutto il tuo corpo capisce se hai fatto bene. Ogni cosa è dol­ce e confortevole». Fuori Guo Jinjing è ancora il tuffo. Ma den­tro?Roberto Perrone21 luglio 2009