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Su Craxi

Post n°342 pubblicato il 18 Gennaio 2010 da corvo_rosso_1

Non c’è nulla da riabilitare e neppure da celebrare. Sono dieci anni che Bettino se ne è andato ma tutt’ora la sua morte è un atto di accusa. Lo è contro il brigatismo giudiziario che pensò di fare la rivoluzione con le manette. Contro la viltà di una classe politica che ebbe paura di dire la verità sul finanziamento dei partiti. Contro l’ipocrisia degli intellettuali di regime, contro la canea giustizialista di destra e di sinistra, contro le monetine del Raphael ed i cappi leghisti, contro Istituzioni politiche deboli e imbelli che rinunciarono a difendersi. Lo è contro le famiglie della finanza italiana che da tangentopoli ebbero via libera per spartirsi il bottino di un’Italia in saldi. Contro lo strapotere di un circuito mediatico che condannò e giustiziò prima dei processi e a prescindere dalla verità. Lo è contro una democrazia slabbrata e stremata da lobby e corporazioni, da interessi, connivenze e complicità, opaca e compiacente, guasta e violenta, incapace di restare nel binario della verità e  quindi dei diritti e della libertà. Lo è contro un Paese che sa essere “prima servile e poi crudele” come ha scritto Cazzullo sul Corsera.

Bettino è morto in Tunisia. Era malato, in Italia si sarebbe salvato. Si poteva sospendere la pena per ragioni di salute, come avviene per tutti, ma i giudici di Milano non vollero. Ciampi e D’Alema, allora Presidente del Consiglio, non mossero un dito. L’ “Italia delle Istituzioni”, come il toro di Guernica, si voltò dall’altra parte, fece finta di non vedere. Bettino spirò nel primo pomeriggio di un giorno qualsiasi, lontano dal suo Paese che aveva amato come la sua libertà, distante dal coro di un’Italia forcaiola e opportunista, vile e feroce. Un Italia da piazzale Loreto.

Fu politicamente ingombrante in vita, ed ancor più da morto. Aveva intuito che c’era bisogno di riformare lo Stato, l’economia, la democrazia. Che occorreva decentrare, modernizzare, alleggerire, senza perdere di vista la difesa dei più deboli. Le sue idee rivoluzionarono la politica italiana. Tagliò la barba a Marx quando ciò sembrava una terribile eresia, parlò di Europa con convinzione ma senza eccitazione, aiutò concretamente il “dissenso” da Praga a Varsavia, dagli Urali alle Ande, fu amico dei palestinesi senza negare le ragioni di Israele, fu leale, ma mai succube degli Usa. Fu un protagonista del socialismo europeo e all’Onu difese efficacemente le ragioni dei paesi più poveri. Fu un guerrigliero coraggioso e generoso e si trasformò in avveduto ed autorevole statista quando fu chiamato a guidare il Paese. Fu uomo di sinistra ma amò l’Italia più del “socialismo”, la libertà più dell’utopia, la democrazia ed i diritti più della ideologia. Fu un socialista italiano, anticomunista, riformista, mediterraneo, europeo. Ricompose l’album di famiglia con Proudhon al posto di Marx, tirò fuori dall’oblio il Risorgimento, rivalutò l’irredentismo, riscoprì il socialismo patriottico del De Amicis di Cuore. Fece di Garibaldi  l’icona di un socialismo radicato nella lotta per l’indipendenza e l’unità di Italia. Della storia scritta dai vincitori diffidava e su fascismo e Mussolini, parlò, discusse e giudicò senza odio e/o pregiudizio. Craxi “fece scandalo”. Irruppe nell’acquitrinio consociativo della fine dei settanta e si incuneò nella ragnatela del compromesso dc – pci . Si candidò a guidare la modernizzazione di un Paese cresciuto ma incapace di svilupparsi.

L’offensiva craxiana si fece sentire anche a destra. Craxi cestinò l’”arco costituzionale“ di De Mita e liberò una destra costretta a rantolare nel reducismo post fascista, inducendola a crescere ed a cambiare. Con la “grande riforma” disse che bisognava cambiare la Costituzione, fare la Repubblica delle Autonomie, introdurre il Presidenzialismo e diversificare le funzioni di Camera e Senato. Sembra oggi. Si batté per la distinzione delle carriere e l’introduzione della “responsabilità” dei giudici, non chinò la testa verso i “poteri forti”, liberò l’economia dal laccio soffocante degli automatismi salariali, e, dopo aver scelto di stare con Reagan nello spiegamento dei Cruise contro gli SS20 sovietici,  a Sigonella, con uno scatto d’orgoglio, tenne aperta la porta italiana sul mediterraneo e spiegò al potente alleato ed al mondo che l’Italia, a tutela della sua sovranità e della parola data, schierava l’Arma anche contro i Marines.

Sono dieci anni che Bettino se ne è andato, il mondo, l’Italia, tutto è cambiato, ma il dibattito politico gira ancora intorno alle sue intuizioni, alle sue proposte.   



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corvodimontagna il 19/01/10 alle 09:17 via WEB
"...il dibattito gira intorno alle sue intuizioni, alle sue proposte" Il dramma è che "gira e rigira" e non trova concretezza perchè i suoi sparpagliati "allievi",i suoi raminghi "discepoli", i soli capaci di concludere quel progetto,non hanno o non vogliono avere più voce in questa "repubblica delle banane"
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