femminile plurale

capitolo quattordicesimo - Un tranquillo week-end di paura


“Che gli faresti a uno così?” sospira Elisabetta dopo il cappuccino, sbavando sulla foto di un pilota rosso di capelli e verde di occhi che occhieggia dal tavolino del bar dell’ospedale. Che gli farei? Gli direi  tre parole sole: trasformami in purè! Nello stesso, maledetto, preciso momento in cui io sospiro sognante, entra Culapponte e pensando che stiamo parlando di lui ci rivolge uno sguardo indulgente e superiore che ci fa tornare su il cannoncino alla nutella appena ingurgitato. Culapponte è un collega che sta nella strozza a tutte e tre perché pur non avendo di che, se la tira così tanto che potrebbe farne una cravatta. E’ un pallone gonfiato, soprattutto nella zona posteriore – da cui il soprannome. Ha un culo formato bmp, per farlo stare dentro le mutande ogni mattina lo riduce in jpg. Lui ci odia perché non subiamo il suo fascino. E lo dice pure. Con gli occhietti da cui zampilla luce paralizzante chiede: “Come posso non piacervi io che sono bellissimo?!?”.Ora ha una nuova fidanzata, una poveretta che ieri mattina è scesa giù in Pronto Soccorso in estasi per raccontare a tutti che Mister Natica Larga l’ha portata in treno a Sapri per il  week-end.“Almeno era un Eurostar?” ha domandato un’infermiera che la sa lunghissima.“No,” ha risposto l’innocente sgranando gli occhioni color cannella. Appena è uscita dalla porta a vetri, Francesca ha alzato la mano destra e ha disegnato in aria un segno di croce. “Quanto tempo le concediamo prima che venga giù sfatta ad elemosinare Compendium?” ha chiesto Elisabetta.“Ma come facciamo noi donne a prendere simili cantonate?!?” domando a   nessuno in particolare. “Un taccagno culone la porta in treno e questa accende ceri a Maria Vergine manco avesse fatto un cinque più uno”