femminile plurale

cap. 96 - M.A.S.H. -


La sala operatoria è grigio azzurra e fredda. Continuo a provare quel sentimento composito di attrazione e repulsione. Stringo tra le mani un pezzetto di mattone che apparteneva al pavimento del salone della mia casa di Carpineto. E’ liscio, caldo, rosso scuro. Mi dicono che non potrò tenerlo durante l’intervento e allora lo affido ad Alberto, il chirurgo estetico destinato a suturarmi in modo elegante - a punto erba -. E’ caro e rassicurante, Alberto. L’ultima cosa che ricordo è il suo sorriso dolce e malinconico. Quando mi sveglio effettuo una punzonatura sommaria. Ci sono le Coccinelle e la maggior parte delle nostre infermiere. Di Dario nemmeno l’ombra. Gloria probabilmente è con le bestie. Sono rincoglionita, mi viene un po’ da vomitare ma non mi sento diversa da qualche ora fa. Voglio tirarmi su e truccarmi prima che arrivi Jacopo e poi voglio una gassosa, non una sprite o una schweppes, proprio una gassosa nella bottiglietta di vetro e voglio pure un piatto della schifosa minestra di fagiolini di zia Elena e la pastina con l’olio Plasmon e il parmigiano. E voglio pure un maritozzo, uno di quelli con la crosta dura che sembrava ferro arrugginito e lo zucchero in polvere e che via via che mordevi si pietrificava e non finiva mai.“Li fanno ancora i maritozzi?” farfuglio o forse lo penso e basta. E penso che ormai sono diventati un reperto archeologico pure i maritozzi perché dappertutto trovi i cornetti surgelati che hanno lo stesso sapore a Palermo come a Bolzano. Mi esplode una gran malinconia da maritozzo ma per fortuna mi addormento.Poi mi sveglio, trovo la forza di spettegolare e di guardarmi allo specchio. Ho appena finito di passarmi il mascara che nella porta si incornicia un giacchino bianco corto coi bottoni dorati e il colletto rigido da allievo dell’Accademia di Modena: tutto è a posto. Posso anche spirare.