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Intervista al maestro Aletti 1° parte


Nel 2011 dopo aver pubblicato in questo blog alcune mie poesie ho conosciuto la casa editrice "Aletti" tramite la partecipazione a vari concorsi e all'adesione alla pubblicazione di diverse antologie ed iniziative poetiche promosse dal maestro Giusepppe Aletti  che gentilmente mi ha concesso questa intervista (inviata via mail) che ho suddiviso in due parti per esigenza di spazio. Ho aggiunto alcuni link che vi aiuteranno a conoscere meglio le attività del poeta, editore, formatore Giuseppe Aletti e dei suoi collaboratori. 1) Quando è nata la sua passione per la poesia?Ho dei ricordi molto nitidi. Facevo la terza elementare, ci diedero dei compiti in cui dovevamo riscrivere o elaborare un nostro testo poetico. Incominciai a vedere le parole in maniera un po' diversa da come si possono vedere a livello scolastico, scoprii che attraverso la parola avevo la possibilità di poter comunicare in maniera completamente diversa ciò che ero. Essendo molto piccolo, era più una fascinazione poter comunicare con gli altri senza dover parlare, senza dover essere obbligato a parlare, poiché ero un bambino abbastanza introverso e timido con le nuove conoscenze, avevo sempre difficoltà nel primo approccio, quando conoscevo nuove persone rimanevo sempre un po' sulle mie, poi nel momento in cui la conoscenza si normalizzava, diciamo così , diventavo un ragazzo, un bambino come tutti gli altri, allegro, spensierato, giocoso sempre voglioso di creare nuovi giochi, di stare in compagnia. Della poesia ricordo benissimo che mi intrigava la possibilità di solleticare una parte di me che era meno frequentata, che poi ho scoperto, in età adulta, essere la parte più intima di me stesso.2) Come è stata la sua infanzia? Questa è una domanda un po' ambivalente nel senso che fino a qualche anno fa, nella mia gioventù fino ai trent'anni ero convinto di aver avuto un'infanzia bellissima, libera nei vicoli del centro storico di Rocca Imperiale, la mia unica preoccupazione era stare con gli amici giocando a calcio, per le viuzze tentacolari del borgo medioevale nella massima libertà visto comunque che nel centro storico c'era un limitato accesso alle automobili o a situazioni rischiose; insomma pericoli veri e propri dello stare per strada non ce n'erano. Con il passare del tempo, uscendo fuori dalla favola, dal mito dove ognuno racconta di sé stesso, posso dire che è stata un'infanzia abbastanza complicata perché avevo delle aspirazioni totalmente diverse da quelle degli altri amici con cui passavo le giornate, da subito ho percepito una mia modalità di vedere la realtà totalmente diversa. Mi sentivo differente dagli altri, integrato ma diverso dagli altri ragazzi, per cui nella mia infanzia ladomanda principale che mi ponevo era "come sarei stato a trent'anni", ero incredibilmente curioso di sapere cosa avrei fatto, in cosa mi sarei distinto, quale strada inconsueta avrei preso, essendo del 1970 i trent'anni avrebbero coinciso con l'arrivo degli emblematici anni duemila, che a quell'epoca percepivamo come punto di svolta importante per l'umanità; lo è stato ma in senso negativo, senza entrare nello specifico, per tutto ciò che è avvenuto:i conflitti, le guerre, le crisi. La voglia di diventare grande, la curiosità di sapere ciò che avrei fatto a trent'anni in quel periodo era forte perché sapevo che non avrei fatto nulla di quello che facevano le persone che conoscevo, ma contemporaneamente anche la voglia di trovare nel futuro una mia stabilità. Quando sei piccolo ognuno dice la professione che vorrebbe fare da grande, io a questa domanda non sapevo rispondere, non perché non volevo fare nulla ma perché sapevo semplicemente quello che non volevo fare, cioè tutto quello che vedevo intorno a me, prima ancora di sapere cosa avrei realizzato. 3) In quale contesto? (familiare, scolastico, ambientale ecc) Il mio contesto familiare è molto semplice, papà era geometra, mamma era maestra di scuolaelementare, successivamente è diventata di ruolo nella scuola materna, all'epoca si chiamava così. ​Un contesto familiare molto normale: tre figli, io ero quello di mezzo, niente di diverso da tantefamiglie italiane degli anni '70.Nel ristretto nucleo familiare composto da padre, madre, figli ho avuto sempre molta libertà nel farele mie scelte. Indirettamente ho percepito una forma di fiducia da parte dei miei genitori perché milasciavano libero quando facevo o sceglievo cose completamente diverse da quelle a cui eranoabituati per esperienza, per condizione sociale, per quello che era probabilmente il vissutoall'interno di un piccolo borgo di tremila abitanti. Loro, finché la mia libertà non andava a ledere idiritti degli altri, mi lasciavano fare, sperimentare. Non sentivo dei paletti dentro quali dovevo stare,portavo i capelli lunghi, mi vestivo in maniera totalmente personale, non seguivo le mode, cercavodi soddisfare quello che ero.A parte queste cose di carattere prettamente estetico, delle scelte anche diseguali che facevo io nonho mai ricevuto critiche o attacchi da parte della mia famiglia. Questo mi ha dato fiducia nelprovare a fare cose che non erano previste nella vita di paese. Altra cosa è stata la famiglia allargata,dove la situazione era di scherno, provocazione, nel migliore dei casi. 4) Che cosa lo ha portato a lasciare la sua terra e perché?Gli studi, una volta che avevo finito di fare il liceo scientifico " Enrico Fermi" a Policoro, abitavo inuna terra di mezzo, Rocca Imperiale è l'ultimo paese ai confini con la Basilicata, che per un secoloe mezzo si è spostato più volte fra la Calabria e la Basilicata; c'erano delle diaspore fra le diocesi diCassano, quella di Anglona a nord di Tursi; chi si aggiudicava la diaspora si accaparrava ancheRocca Imperiale, ci spostavano frequentemente, un po' in Calabria e un po' in Basilicata. Il primopaese lucano in Calabria. Mi sono sentito sempre più lucano che calabrese. Ho sempre vissuto quasisempre in Basilicata. Ho fatto le scuole superiori, le ho fatte a Policoro nel cuore della Lucania cheha anche lo sbocco verso il mare. Poi mi sono iscritto all'università per cui è stato un approdoperché altrimenti non avrei potuto continuare gli studi. Visto che avevo deciso di prenderepsicologia, non perché volessi fare lo psicologo, ma perché cercavo nuove informazioni chesarebbero state importanti per la mia crescita personale e per la mia consapevolezza. C'erano solodue facoltà di psicologia a quell'epoca: Padova e Roma, e Padova mi sembrava veramentelontanissima e troppo distante, in tutti i sensi. Per quella che era la mia esperienza, città che giàfrequentavo da tanti anni, Roma è stata un bene, tutto quello che ho fatto sarebbe stato impossibilerealizzarlo restando a Rocca Imperiale. 5) Chi o che cosa ha o hanno ispirato le sue poesie?Sono un onnivoro a livello culturale per cui non ho una predilezione, anche seessendo un esistenzialista da sempre provo una sorta di empatia, una fratellanza, una vicinanza con tutti quelli che hanno provato a dare un senso profondo al nostroessere finiti e a scadenza. Le mie poesie vertono verso quello slancio: cercare un senso al nostro passaggio terrestre. Ho scoperto da molto piccolo che il nostro tempo era finito, che era la morte a nascondersi dietro la vita; è stata unaconsapevolezza drammatica, non è stata una cosa gioiosa percepire che prima o poi lo spettacolo colorato finirà, per cui anche la mia scrittura si sofferma molto su due ambiti: quello della ricerca del senso di quello che facciamo all'auto realizzazione, in ogni artista che si rispetti c'è autodeterminazione, nel senso individuale di dire: "Io sono". Questa autodeterminazione c'è l'ho dasempre, da quando ho la consapevolezza della mia esistenza. Mi sono sempre mosso nel cercare di migliorare la realtà circostante e di conoscenza di me stesso.6)Quali sono stati i suoi o sono i suoi autori preferiti?I miei autori sono veramente tantissimi, è difficile fare un elenco, di alcuni autori mi piacciono anche soltanto due poesie che ritengo fondamentali, di altri opere intere, l'esistenzialismo è il mio punto di riferimento anche nella scelta degli autori o artisti da frequentare. All'interno di questa lente d'ingrandimento si può trattare qualunque tipo di argomento, mentre da un punto di vista linguistico preferisco maggiormente, invece, quegli autori che utilizzano un linguaggio di tipo evocativo, che non si accontentano della prima cosa che gli passa per la testa, che spesso è una cosa scontata, banale, prediligono la comunicazione per immagini. Utilizzando una comunicazione per immagini, dicevo, tendono a suggerire al lettore un percorso, una selezione, non dichiarano subito tutto, non è una poesia totalmente immediata, che non vuol dire fare un testo complicato o ermetico. L'ermetismo poi non esiste: l'ermetismo non è altro che una mancanza d'informazione del lettore nel capire come il poeta ha incasellato le parole all'interno della poesia. L'ermetismo nonesiste altrimenti sarebbeuna sorta di incomunicabilità, è semplicemente diciamo una modalità diversa d'inserire delle parole all'interno del testo poetico, ma in generale non è quello che mi interessa, mi interessa invece la capacità del poeta di utilizzare anche parole comuni, che inserite nel contesto poetico, perdono il loro significato originale per acquisirne di nuovi, di più originali, questi sono i poeti che mi piacciono, dire quali sono è assolutamente riduttivo. Come regola generale, ogni qualvolta che c'è l'urgenza io di solito sono all'ascolto.7)Quando e come è iniziata la sua professione di editore?La mia professione di editore nasce in maniera abbastanza casuale. Scrivevo, avevo poco più di vent'anni, facevo parte di gruppi poetici spontanei. Ricordo che andavamo al quartiere Ottaviano, il sabato notte, in uno di questi sotterranei, un po' esoterici della Roma bene. Io non facevo parte di quell'ambito lì essendo uno studente universitario squattrinatissimo che faceva grande difficoltà ad arrivare a fine mese; però ogni tanto venivo invitato da questi gruppi poetici borghesi. Mi ricordo che c'erano tutte le persone in cerchio, in mezzo ci stava un fiasco di cinque litri di vino, questo fiasco girava con bicchieri piccolini come quelli dei contadini: dodici bicchieri un litro; quando finiva il vino di solito finiva anche la riunione; ma nessun gruppo mi dava quello che cercavo. Mi ricordo che risposi a un annuncio su Porta Portese: un giornale che all'epoca andava fortissimo; c'era una sezione che parlava degli annunci artistici per cui andammo in un centro anziani a Piazza Colonna, un posto bellissimo dove andammo a fare questa riunione fra tutti quelli che potevano essere i nuovi collaboratori, perché volevano aprire di nuovo un giornale sociale, con una grande attenzione alla cultura. Quando siamo arrivati ci siamo accorti che eravamo quasi tutti ragazzi che già si conoscevamo. I due organizzatori dell'incontro cominciarono da lì a pochi minuti a litigare, scoprimmo che questa dinamica di astio e conflitto andava avanti da sempre, ed era anche ilmotivo per cui la prima esperienza del giornale che avevano già fatto si era arenata. Allora uscendo fuori ho detto: "Viviamo quasi tutti nella stessa casa, su otto persone sei già ci conosciamo da tempo, perché dobbiamo lavorare per questi qua che litigano, che non hanno una prospettiva, o un poco di attenzione per noi che abbiamo dato la nostra disponibilità, perché non apriamo noi una nostra rivista?" Per cui aprimmo la rivista da lì a qualche settimana, una fascicolazione di fotocopie, ma eravamo senza soldi.Di tanto in tanto andavamo in copisteria per stampare delle copie, facemmo il numero 0 di cui io ero l'editore e il direttore, con il numero 0 non c'era bisogno di essere registrati al tribunale civile diRoma; dopo qualche mese avevamo già fatto seicento copie, per cui c'è stata subito una grande attenzione e una grande curiosità verso la nostra proposta comunicativa. Da lì a qualche tempo facemmo il primo numero stampato in tipografia, le nostre prime mille copie e in quell'occasione confermai che avrei fatto l'editore assumendomi tutti i rischi del caso, da lì è partito tutto. Dopo pochi anni la rivista Orizzonti ha iniziato a stampare libri, poi di volta in volta a inaugurare collane ​di settore, fino ad arrivare ad oggi dove spaziamo un po' ovunque, dalla pubblicazione cartacea, all'ebook, alle video poesie, concorsi, formazione, festival letterari. 8) Ha incontrato difficoltà in questa attività e se si come le ha superate? Le difficoltà di fare l'editore: a quell'epoca tantissime!La mia professione di editore nasce con difficoltà enormi. Ricordo quando uscì il primo numero della rivista Orizzonti, quando arrivò questo numero e non avevamo neanche un punto vendita dovemettere la rivista in esposizione perché siamo partiti veramente da zero. Ricordo che quando arrivò il primo numero della rivista orizzonti, nello stesso giorno mi chiamò mia madre per dirmi che era arrivata la cartolina per andare a fare il militare, avrei dovuto andare a fare dodici mesi di VAM cheè la vigilanza armata militare, se non ricordo male che si chiami così, era comunque un corpo speciale dell'aereonautica. Per cui difficoltà tantissime, siamo partiti da subito trovando prima le prime edicole dove mettere la rivista, poi le prime tre librerie Feltrinelli a Roma. Da lì a qualche anno ci diedero cinque librerie Feltrinelli per testare l'accoglienza dei lettori che fu entusiasta con numeri di vendita sorprendenti per una rivista letteraria, poi dopo qualche mese ancora, tutte le librerie Feltrinelli d'Italia. Questo è stato un percorso molto, molto accidentato, per tanti anni la redazione era il luogo in cui vivevo e lavoravo, insomma non è stato semplice. Sono quei percorsi particolari che tu porti avanti sapendo che hai novantanove possibilità su cento di fallire e il fallimento in quel caso coinvolge non soltanto l'aspetto professionale ma anche quello personale: bisogna imparare a buttarsi senza paracadute, hai due possibilità, ti schianti o impari a farti il paracadute mentre sei in volo, oppure, ancora meglio, impari a volare.Difficoltà ne abbiamo avuto tantissime, per tanti, tanti anni; a volte mi pronosticavano che a quaranta anni sarei stato un grande fallito, mi dicevano, mi consigliavano di lasciare perdere e di dedicarmi ad altro perché c'erano ritmi di lavoro impressionanti e solo costi, mai benefici. Tutto è difficile prima di diventare facile, nonostante le difficoltà ogni giorno inserivamo un tassello, poi unaltro tassello, e poi un altro ancora, con determinazione. Inevitabilmente da lì a poco tempo diventammo la rivista letteraria di poesie più seguita del circuito Feltrinelli, questo ci diede un grande seguito di lettori, poi incominciammo ad aprire la nostra casa editrice, a pubblicare i nostri primi testi, abbiamo avuto la possibilità di superare questi momenti di crisi grazie alle persone che ci seguivano, ce ne siamo accorti da lì a pochi anni che avevamo uno zoccolo duro di lettori, avevamo più di tremila lettori per una rivista letteraria che sono numeri altissimi: avevamo più di mille abbonati. Intorno a questo consenso popolare, nel senso più bello e alto del termine, abbiamo cominciato a costruire piano la nostra attività, però eravamo sempre molto soggetti a fenomeni terzi: la rivista se non avevi un certo tipo di distributore non potevi andare in alcuni circuiti e così via. Nel momento in cui è arrivato Internet, noi siamo letteralmente esplosi, perché dal punto di vista dei contenuti la rete premia, la rete ha tante cose negative e positive, ma nel momento in cui noi siamo usciti sulla rete è stato veramente dirompente,avevamo fatto, oltre alla rivista cartacea che usciva ogni due mesi, anche quella on line con quattro, cinque pezzi a settimana, sui libri, sul cinema, sui film sulla pittura ecc. Mi ricordo che solo dopo dieci mesi il sito della rivista Orizzonti.net diventò tra i siti più visitati d' Italia, al Premio WWW indetto dal Sole Ventiquattro Ore, suddiviso per categorie, arrivammo tra i primi 10 posti nella sezione cultura, fummo invitati come finalisti allo Smau. Eravamo l'unica realtàindipendente tra tutti i colossi della comunicazione. Lo studio continuo delle innovazioni ci ha poi portato ad avere un numero sempre più ampio di persone che ci seguivano, a tal punto che il paese della poesia nella primavera dello scorso anno ha fatto oltre 5 milioni e mezzo di persone raggiuntecon i post pubblicati senza pubblicità, e con ben 550.000 interazioni, significa che le persone nonhanno soltanto visto un post, ma ci hanno messo un like, un commento, l'hanno condiviso, ci hanno cliccato sopra per leggere quello che avevamo scritto; sono numeri incredibili trattandosi ​comunque principalmente di post culturali spesso legati alla poesia. Ormai complessivamente sui social abbiamo 200.000 follower, per cui ciò che ci ha salvato è stata la possibilità di diffondere ciò che noi proponevamo a un pubblico sempre più ampio, non mediabile dai giornali, diversamente ogni volta per parlare alle persone dovevi andare in tv o su un grande quotidiano, cosa che noi ovviamente non avevamo la possibilità di fare, perché non facevamo parte delle consorterie. La rete è stata come rompere le catene; ci siamo andati a cercare da soli il nostro pubblico perché poi nella rete la cultura sedimenta, si diffonde piano, piano, e raggiunge il tuo pubblico; c'è sempre qualcuno ad attenderti quando la comunicazione è autentica, perché le persone davanti alla veritàfanno un passo avanti, è davanti alla finzione che fanno un passo indietro. 9)Come sono iniziati i rapporti e le collaborazioni con Alessandro Quasimodo, Mogol e Hafez Haidar e altri autori?Le collaborazioni con Quasimodo, Haidar e Mogol sono tutte iniziate tramite il Federiciano perché fino al 2019 facevamo questo enorme festival estivo, il festival è stato fatto comunque fino a poche settimane fa, in forma diversa perché in inverno. Il federiciano va avanti dal 2009, dal 2014 al 2019 si è svolto per ben nove giorni consecutivi. Nel 2019 abbiamo fatto addirittura trentotto manifestazioni in nove giorni per cui di anno in anno invitavamo intellettuali, poeti, artisti. Abbiamo avuto grandi artisti, da Gianluca Grignani a Federico Moro, Giancarlo Giannini, Michele Placido, Alessandro Hader; tutti sono passati dal Federiciano, Katia Ricciarelli, Francesco Baccini, La Rino Gaetano band, tanti poeti contemporanei, grandi poeti internazionali: Hafez Haidar, Dato Magradze, miei carissimi amici. Quando si ha la possibilità di invitare nuovi artisti di solito ci sono due possibilità: si fa la manifestazione dove la persona è venuta per motivi professionali, uno lo invita, si concorda ciò che devono fare, finisce la manifestazione, si rimane in contatto in una maniera molto superficiale, ci si saluta e finisce là; ogni tanto capita, nemmeno così tanto di rado nel mio caso, che nascano delle amicizie o dei veri e propri sodalizi.