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Il lavoro rende liberi: spunti per la riflessione


Ho riflettuto a lungo prima di accingermi a pubblicare le foto sullo sterminio degli ebrei. Ho temuto (e temo) che nel circo variopinto del web e di un portale destinato allo svago, qual è quello di Libero, le mie immagini possano  colpire per la loro crudezza o comunque creare disagio. L'esposizione del “Male”, (anche se solo per immagini) che costituisce l'infinitesima parte di quello perpetrato solo 64 anni fa nel cuore dell'Europa civilizzata, si giustifica in relazione alla necessità di offrire uno spunto di riflessione ed è un chiaro invito a non dimenticare. Ciò è ancor più necessario perché come scrisse Brecht, "la matrice che ha partorito questo mostro è ancora feconda" e assume ora l'aspetto dell'intolleranza, ora quello del razzismo e del nazionalismo, ora quello della negazione dei diritti fondamentali.
La linea della vita: il filo spinato ARBEIT MACHT FREI "La prima caratteristica di quasi tutti i lavori svolti nei lager era il sovraffaticamento sistematico degli individui, che venivano esposti senza possibilità di rigenerazione a uno sfruttamento che esauriva in breve tempo tutte le loro risorse fisiche. Sotto questo carico insostenibile anche l’uomo più robusto si trasformava in poche settimane in un relitto umano. E sottoposti com’erano a questa pressione spietata i detenuti venivano messi in perenne contraddizione con se stessi”. “Lo sfinimento fisico derivava da svariati fattori: il catastrofico stato di denutrizione, le lunghe e logoranti marce per raggiungere il posto di lavoro, turni della durata di 10 – 12 ore e il continuo incitamento da parte dei sorveglianti.” “Sotto gli effetti di uno stress fisico continuo, l’uomo perde la capacità fondamentale di distaccarsi dal proprio corpo e si arrende allo strapotere del bisogno fisico. Il punto di arrivo è l’individuo inerme e sfinito che si trascina come al rallentatore, che continua a muovere gli arti solo a costo di grandi sofferenze e che si consegna impotente all’ultimo atto di violenza del potere.” “ I reclusi venivano usati anche come animali da tiro. A Dachau gli addetti alla costruzione di strade dovevano trascinare con dei tiranti un rullo compressore a vapore, mentre a Sachsenburg, e poi anche a Buchenwald, Sachsenhausen e Auschwitz, si usava attaccare a un carro stracarico dai quindici ai venti uomini, per lo più ebrei, ordinando loro di cantare e incitandoli al galoppo a suon di frustate… Così perfino la cooperazione sul lavoro veniva trasformata in strumento di vessazione e di umiliazione.”
Ma il destino di milioni di inermi si era già compiuto Il “Muselmann” "La loro vita è breve, ma il numero è sterminato; sono loro, i Muselmanner, i sommersi, il nerbo del campo; loro la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non – uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.”
Il lavoro non li rese "liberi" Violenza gratuita e pratiche di crudeltà “Uno dei metodi più antichi per bandire un individuo dall’orizzonte sociale è murarlo vivo. Nella compagnia di punizione di Sachsenhausen bastò, a tal fine, il deposito delle scope accanto al lavatoio, uno spazio minuscolo, di un metro quadro di superficie, senza finestre, quasi a completa tenuta stagna. In quel “bugigattolo”, come lo chiamavano i detenuti, il comandante della compagnia di disciplina faceva entrare sino a otto prigionieri che si avvinghiavano e si arrampicavano l’uno sull’altro, fino a che la porta veniva chiusa e il buco della serratura veniva otturato con della carta. Quel groviglio di uomini era talmente fitto, che chi moriva soffocato non cadeva neppure per terra. La procedura non richiedeva alcuno sforzo supplementare, e una volta chiusa ermeticamente la porta gli esecutori potevano andare a sbrigare altre faccende di servizio. Non si percepivano reazioni, non si sentivano grida, non c’era alcuna forma di resistenza né spargimento di sangue. Si moriva dietro una porta chiusa, come sarebbe avvenuto più tardi nelle camere a gas delle fabbriche dello sterminio.”
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario » (Primo Levi) A  chi volesse approfondire l'argomento consiglio  "L'ordine del terrore" di Wolfgang Sofsky da cui ho tratto i passi presenti nel post.