Significar per verba

...come d'autunno sugli alberi le foglie


Sono le 21.30 dell’otto aprile.Percorro a piedi una via cittadina. Seguendo  i consigli  di chi sbandiera a destra e a manca i benefici delle passeggiate veloci, dei 3000 passi al dì (per lo scopo ho pure acquistato un economico contapassi), decido di lasciare a riposo l’automobile e di far funzionare le gambe, ottimo e salutare strumento di locomozione. Già a quest’ora il silenzio è totale, avvolgente, straniante. Luci accese nelle case che brulicano di vita. Nella campagna vicina il richiamo insistente, lugubre, ritmico  di un uccello notturno. L’atmosfera pare sospesa, immutabile, eterna. Il pensiero vira verso altri silenzi ed altri spazi. Silenzi e vuoti che nessuno potrà più riempire. La terra ha tremato ancora. La Natura è la madre che tradisce i suoi figli. Da qui agli interrogativi di sapore leopardiano il passo è breve.Nasciamo per soffrire? L’amarezza è la nostra regola di vita? Il silenzio mi fa riflettere. Difficile, anzi raro, percepire il silenzio, pura espressione del nulla,  nella quotidianità fagocitata da rumori che diventano compagni, ossessione, clamore, inutile contorno di giorni dolci e amari. Manca nelle fibre del nostro essere  il silenzio, quello stesso  silenzio che è sinonimo di pace, di raccoglimento interiore e allo stesso tempo condizione della morte. Guardo obnubilata la devastante realtà alla Tv che spezza  la quiete: commozione, emozioni, ricordi. 1980: la terra trema una sera qualsiasi di una domenica qualunque, scuotendo sin nel profondo le nostre certezze, emozionandoci, commuovendoci, tradendo speranze, spezzando il corso sereno  di esistenze tranquille, prosaiche, lacerando i fili di legami d’amore, gli affetti, sconvolgendo piccole comunità chiuse nel rispetto millenario delle loro tradizioni. Era un Novembre inaspettatamente caldo, una scossa stende il suo candido sudario su una realtà fatta di certezze. Ovunque morte e devastazione, speranze deluse, vite recise sul limitare della giovinezza. All’ordine si sostituisce in un attimo l’incomprensibile disordine. Ed è  il caos, la perdita, la rottura. Oggi, l’ottuagenaria culturalmente impegnata, miracolosamente scampata al sisma abruzzese, che rimpiange con tenerezza infinita i propri libri, sfrattati senza alcuna ragione dai loro scaffali, il suo candido corredo di sottovesti e i pigiami merlettati esposti all’offesa dei calcinacci piovuti dal soffitto  e generati, come un parto mostruoso, da una natura ingrata, mi commuove profondamente. La condivisione  è totale. Il confronto con una realtà che ci offende e  ci mortifica non fa che portare allo scoperto i nervi del nostro sentirci esposti, deboli, incompleti e per ciò stesso più umani. Se la terra trema non abbiamo più la base su cui costruire  e far crescere le nostre certezze. La nostra essenza  di essere umani perfettibili è in pericolo, in bilico sulla frattura da cui il terremoto stesso si è originato. La fragilità della nostra natura è un aspetto che spesso non consideriamo, ci fa paura. Funziona da elemento oltremodo ansiogeno il nostro sentirci ungarettianamente come le foglie che dimorano sui rami degli alberi in autunno, mai pronte ad essere portate via da un vento che le strapperà improvvisamente dalla loro pianta quando a Qualcuno o al Caso piacerà…Senza sapere il perché. Perché così è la vita e  dobbiamo rispettarne le regole. Le tragedie dell’esistenza, quando abbiamo la fortuna di scamparvi, ci portano a dover considerare che oggi “siamo” (carne e sangue, muscoli e nervi, pensiero e cuore) e domani potremmo non “essere” più…puro ricordo nel dolore, nelle lacrime  e nel cuore di chi ci ha amati.