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« Solidarismo I

Solidarismo II

Post n°69 pubblicato il 27 Settembre 2011 da cristianodisinistra

Nel campo della Diritto dei Contratti fondamentali furono gli studi del Bourgeois.

Costui affermava l’esistenza di un contratto sociale che, contrariamente a quello pensato dal Rousseau, era indipendente dal consenso dei contraenti, chiamandolo semi-contratto.

Il semi-contratto trae fondamento dall’esistenza di un’obbligazione giuridica propria della collettività; potremmo dire che la persona in quanto parte della collettività, nasce già titolare di un contratto che lo lega reciprocamente agli altri membri ed a cui garanzia è posto lo Stato.

Altri apporti vennero da Pierre Leroux e Celestin Bouglé. Quest’ultimo, allievo di Durkheim, è ricordato come il fondatore della Sociologia Moderna.

Un altro fondamentale apporto delle idee solidariste, a cavallo tra economia sociologica e diritto furono le idee che portarono alla creazione dei Crediti Agricoli; ma certamente rivoluzionarie e oggi certamente attuali, sono le idee che pongono i consumatori al centro dell’equilibrio economico.

L’idea delle Cooperative di consumo, quelle che noi oggi vediamo sorgere in numero crescente, tramite le quali, un certo numero di consumatori si riuniscono per portare la domanda di beni direttamente presso i produttori, bypassando la speculazione della filiera, nacquero proprio dal solidarismo ed ebbero in Charles Gide il loro maggiore propulsore.

L’economia solidale come oggi è chiamata, fu poi portata da Gide molto avanti, fino al punto in cui la cooperativa di consumatori diventava produttrice essa stessa, secondo un concetto di verticalizzazione.

Oggi i tempi non sono cambiati, sono solo apparentemente diversi, ma sono sempre animati dalla guerra tra liberismo e necessità di affermare una migliore perequazione sociale.

Il liberismo non è mai scomparso, anzi con la Seconda Guerra Mondiale è divenuto più aggressivo, arrogante perché molto più subdolo.

Pochi sanno che dopo la fine della guerra, la Nuova Costituzione della Germania fu “condizionata” dai vincitori in modo che non introducesse, date la sua eredità socialdemocratica, modelli economici d’impostazioni stataliste ostative al “libero mercato”.

La propensione al “libero mercato” é stata, dalla fine della guerra, sempre più oppressiva.

Essa risponde all’antica stimolo del bisogno di sempre maggiori mercati per una sempre maggiore produzione.

Dalla fase iniziale di controllo dei mercati cittadini, si è passati a quella dei mercati nazionali, poi all’esportazione e infine all’uovo di Colombo, del Mercato Globale.

La globalizzazione è stata spacciata come ineluttabilità umanitaria quando sappiamo tutti che mai il mondo come oggi è stato agitato da miserie e guerre che condannano nei loro ghetti di tragedia e sfruttamento intere popolazioni.

Io non nego la globalizzazione, come stimolo alla soluzione di molti problemi che affliggono l’umanità, ne nego il bruciare le tappe sotto la spinta di una bramosia di mercato che peggiora le situazioni.

Non bisogna illudersi sull’Unione Europea, come espressione di socializzazione, essa nacque come CECA (Comunità Europea del Carbone e Acciaio) materie prime dominanti nell’economia del mondo della II Guerra Mondiale, fu poi trasformata in CEE (Comunità Economica Europea) senza distaccarsi da spinte economiche, per risponde meglio alle regole del Mercato.

Essa è stata pensata perché deve obbedire, come scrive il Prof Mario Barcellona “all’idea che il mercato sia tendenzialmente in grado di rispondere a ogni domanda di benessere sociale sol che gli sia dato di sviluppare integralmente la libera concorrenza e che, perciò, lo Stato debba tendenzialmente limitarsi a intervenire all’esclusivo fine di rimuovere ogni sorta di ostacolo all’integrale dispiegarsi di una competizione non solo libera ma anche tutta privata”.

Mercato, questo Molok divoratore di tutto, le cui malattie sono, secondo gli studiosi non allineati, l’invasività del mercato: e l’autofagia del mercato.

Non stiamo parlando di cose secondarie, ma del nostro futuro, perché questa visione porta a ridurre la nostra vita al solo rapporto tra mercato e consumatori. Noi non siamo più considerati dai poteri forti, uomini o cittadini, ma solamente consumatori. O meglio sudditi-consumatori.

E’ fondamentale per il futuro comprendere questo, renderci conto che i conflitti nazionali con la Costituzione Europea, così com’è stato proposto, manifestatisi con i referendum ostativi di Francia e Olanda non sono provocati da nazionalismi non sopiti, come vorrebbero farci credere, ma dalla consapevolezza di quelle collettività, democraticamente più avanzate, dello scomparire, nel dettato proposto, di tutte quelle garanzie di diritto sociale che hanno reso importanti le Costituzioni di quei paesi.

Per chi volesse approfondire tali riflessioni, suggerisco vivamente gli studi del Prof. Alessandro Somma sulla Giustizia Sociale Europea e la spinta verso l’Ordoliberalismo, oltre al citato Mario Barcellona e la lettura del Manifesto che illustra i punti di critica al dettato della Costituzione Europea.

Per comprendere meglio il problema si rifletta alla fatica che fanno certi nostri prodotti per combattere la falsificazione che continuamente la Commissione Europea lascia sorgere e avalla, al solo scopo di allargare i mercati e suscitando le nostre sorprese. Si pensi al fallimento pilotato di una delle più importanti, ricche e attive holding dell’Europa, la nostra Federconsorzi, o la svendita della nostra agricoltura a vantaggio delle produzioni, in serra, olandesi.

Guardando indietro nei secoli XIX e XX, nel conflitto tra egoismo istruito e ignoranza storicamente diffusa, il processo di autoconsapevolezza che il Solidarismo professava, risultò perdente, anzi le sue idee servirono, a volte, da camuffamento per gli establishments dell’una e dell’altra parte.

Il radicarsi di questa situazione fa riflettere sulla strada da seguire in futuro.

Il Solidarismo non può pensare di sostituire ex nunc o questo o quello, soprattutto oggi che il confronto tra i due ha tracimato i confini nazionali e si é trasformato in globalizzazione o mondializzazione, ma scegliere una tattica diversa.

Per inserirsi nella gestione della collettività, é’ inutile mirare alla struttura primaria dello stato, cioè ai suoi vertici parlamentari, convivere invece puntare a inserirsi in quelli periferici come comuni, province regioni, dove una sufficiente rappresentanza, permetterà di raggiungere posizioni di controllo di come queste collettività vengano amministrate.

Esso deve far propria la teoria che professa che i cambiamenti devono venire dal basso. Le costruzioni si reggono dalle fondamenta e non dal tetto, e la democrazia si avvicina al cittadino in rapporto direttamente proporzionale alla sua presa di coscienza. La spinta al federalismo, che abbiamo davanti ai nostri occhi ne è una prova.

Sempre più si sta prendendo coscienza e sempre più frequentemente si sente dire e che “ in questo paese le leggi ci siano, ma che manchi il controllo “.

E’ nei controlli quindi che il solidarismo deve agire, applicando le regole della buona gestione aziendale, reintroducendo quelle della buona gestione familiare e così via.

Chi gestisce male, per ignoranza o malaffare è sempre vulnerabile al controllo, l’assuefazione al potere e la passività supina delle vittime ottundono l’attenzione.

Sempre più si avvalora la necessità di un cambiamento, e le menti indipendenti percepiscono sempre più l’importanza di un new deal solidarista.

Oggi il Solidarismo deve abbandonare, momentaneamente, la strada dei cambiamenti radicali e delle affermazioni di principio, per divenire il sassolino che rompe i meccanismi perversi lasciando immuni quelli sani.

Il compito è meno difficile di quanto si pensi, come il mercato seleziona le aziende ben condotte ed espelle quelle mal gestite, così il mondialismo con il crescere delle istanze darà spinta ad una tale strategia solidarista.

Dobbiamo puntare al rinascere di una dottrina che, anche se sommessamente e senza i clamori di quelle cui si pose a critica, può essere con certezza, paragonata per importanza storica a queste stesse e non tarderà a influenzare i futuri indirizza socioeconomici della collettività in senso globalizzato.

Non per nulla i moderni pensatori già cercano di interpretare il periodo “ dopo globalizzazione “ in cui secondo, il mio parere, grazie al diffondersi di sempre maggiori consapevolezze, non si potrà non accettare i pensieri che sono a fondamento del Solidarismo.

Parlando di globalizzazione non mi riferisco e non solo a quella economica, oggi comunemente intesa, ma al fatto che i conflitti sociali che stanno prendendo corpo, non saranno e non sono più a dimensione nazionale, ma stanno globalizzandosi ed i loro effetti, grazie alla Rivoluzione Internettiana, risuonano e entrano in sintonia tra le varie nazioni.

Per alcuni che hanno visto nella globalizzazione e nel mercato allargato, il modo per incrementare i propri profitti o la propria influenza di potere, ciò potrebbe rappresentare il rovescio della medaglia, il contrappasso, cui cercano di rimediare controllando e asservendo i media.

Scendendo sul piano delle proposte concrete, esaminiamo ipotesi di solidarismo moderno.

Soluzioni che soddisfino contemporaneamente lo sviluppo e l’iniziativa privata con le domande sociali.

Potremmo pensare a forme miste di gestione; intendendo per miste, non le confuse forme di gestione promiscua che distribuiscono soldi ai politici trombati o momentaneamente parcheggiati, come le rovinose società miste, ma a gestioni, per una parte, pubbliche e per un’altra, private.

Facciamo un esempio con l’assicurazione obbligatoria.

La responsabilità dice il codice, l’interpretazione, ma estrapoliamola al livello di collettività quando a coprirla, è un dettato generale come l’assicurazione obbligatoria cioè quando si deve “spalmare statisticamente” su tutti, colpevoli e innocenti.

Altrimenti II cittadini sono lasciati soli contro i poteri forti, mentre l’efficienza e la legittimità di un governo si misurano proprio dalla capacità di rappresentare e difendere i cittadini nel confronto impari che essi devono sostenere con questi poteri.

Non deve essere permessa l’applicazione di statistiche, dove l’azione e l’evento sono in rapporto diretto di causa ed effetto, e quindi la responsabilità diventa personale.

E’ quindi illegittimo colpevolizzare e penalizzare statisticamente tutti coloro che sono innocenti, quindi non ancora colpevoli, su basi ipotetiche, imprigionandoli in categorie più o meno onerose, perché ciò corrisponde ad una condanna ed una pena aprioristica.

Innocenza fino a giudizio ……… lo dice la nostra Costituzione e lo ribadisce lo Statuto dell’Europa, questo dettato rende illegittima la graduatoria di pene, leggasi eufemisticamente premi, che le compagnie di Assicurazione preinfliggono a loro insindacabile beneficio.

E non ci si venga a parlare di “libera contrattazione” cioè di libero mercato, perché l’assicurazione contro terzi è obbligatoria, quindi va regolata dallo Stato per il fatto che obbliga.

Per salvaguardare aprioristicamente gli innocenti si dovrebbe istituire una fascia minima di assicurazione contro terzi, “calmierata”, come si fa per il pane comune, non ultra petitum, come si dice in giurisprudenza, accogliendo i parametri della classe 1° della compagnia più bassa, una fascia uguale per tutti, che non penalizzi alcuno, tantomeno per fasce d’età che spesso corrispondano ad anni di condotta corretta. Questa parte sarebbe gestita dallo Stato, come per l’INAIL, mentre ai responsabili d’infrazioni resterebbe loro la libera contrattazione e il rientro nella fascia, come per le patenti a punti, dopo un numero di anni di buona condotta.

Siamo certi che si conterebbero un sacco di “figliol prodighi” e meno costo di morti per la collettività.

Abbiamo parlato di obbligatorietà imposta per legge, ma potremmo anche parlare di obbligatorietà imposta dalla natura, come l’acqua. Una parte minima calmierata, necessaria alla sopravvivenza dei singoli, gestita pubblicamente e un surplus di consumo per chi lo vuole, lasciata alla libera contrattazione.

Abbiamo introdotto l’obbligatorietà per legge o per natura, ma la natura può essere vista come necessità indotta dallo sviluppo, come il caso dell’energia elettrica o del gas, perché gravare il singolo e non chi la usa per illuminare esageratamente grattacieli?

E non deve ingannarci la realtà italiana che pubblico sia più dispendioso che privato, perché non si può accettare aprioristicamente l’irresponsabilità.

Molte cose potrebbero essere ricondotte all’opportunità di una parziale gestione da parte della collettività nel rispetto dei bisogni sociali e una volta garantiti questi, lasciare il resto al libero mercato.

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Commenti al Post:
giampi1966
giampi1966 il 27/09/11 alle 17:57 via WEB
Interessante, molto interessante, purtroppo contro le idee iperliberiste bisogna combattere un'aspra battaglia perchč sono entrate nel cervello della maggioranza degli intellettuali e dei politici.
 
cristianodisinistra
cristianodisinistra il 03/10/11 alle 08:26 via WEB
come hai ragione....
 
ninograg1
ninograg1 il 03/10/11 alle 20:57 via WEB
dovremmo riscoprire il solidarismo come cemento sociale.... non ne so molto di quello cui accenni e mi informerņ per poter dire la mia senza cadere nell'ovvio...
 
charr626262
charr626262 il 22/03/12 alle 10:37 via WEB
Durkheim , ho letto qualcosa anni fa' , ne ricordo il senso ... in parte . Niente di meglio scavalcare e annullare lo stato mediante cooperativa a livello di base , contribuirebbe a delegiferare e a far abbassare prezzi imposte balzelli veri . Proprieta' comune ... oddio , sara' mica comunismo il mio ? ciao , bel post . Roby
 
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