Creato da emanu80ferrauto il 11/05/2010

criticateatrale

teatro, teatranti e soggetti teatrali

 

 

GLI SPETTATORI-ATTORI GUIDATI DA UN “GURUGURU”.

Post n°13 pubblicato il 16 Giugno 2010 da emanu80ferrauto
 

Il Napoli Teatro FestivalItalia 2010 si accinge a concludere la sua prima settimana e già ne abbiamoviste delle belle!

Il teatro si statrasformando, si mescola ad altre arti visive, unisce introspezione psicologiaalle installazioni 3D come nel caso di LES ADIEUX, si modernizza nelle sonoritàlinguistiche degli europei di seconda generazione come nel caso di ROMEO ANDJULIET, trasforma gli spettatori in attori come nel caso di GURUGURU.

Ebbene sì, 5 spettatori perogni performance, e solo una volta entrati si capisce perché: si assiste ad unainstallazione che del tradizionale teatro ha ben poco, ma della genialitàmolto.

Lo spettacolo GURUGURU perl’occasione viene ambientato nel bellissimo Palazzo Leonetti, nell’elegante viadei Mille di Napoli, a pochi passi dal “centro operativo” , il PAN, dell’interoFestival. Una piccola sala a cui si accede dai sotterranei del palazzo, unapalestra, o una stanza dove si insegna danza classica, almeno così sembra, vistala moquette, gli specchi e le sbarre alle pareti.

Gli addetti del Festival cifermano all’entrata del palazzo, ci fanno indossare dei cartellini con nomiimmaginari, ci fanno leggere delle istruzioni.

Cominciano a balenare dellestrane idee nelle nostre menti: dobbiamo davvero recitare?

In un certo modo, così sarà.

I nomi  dei nostri cartellini sono scritti anche sullecinque poltrone su cui ci accomoderemo per i prossimi 50 minuti di“spettacolo”. Una voce-guida ci fa indossare le cuffiette poggiate sullepoltrone, solo dopo averle sterilizzate naturalmente. Cinque spettatori cheprima non si sarebbero neanche rivolti la parola vengono costretti adinterloquire pronunciando frasi dettate e suggerite dal proprio “Guru”, dallapropria guida dentro le cuffiette. Una sorta di seduta psicanalitica e analisicommerciale di un “gruppo campione” ci inchioda lì, affascinandoci edivertendoci sempre di più.

Ci accorgiamo che frasi cheprecedentemente ci sembravano senza senso cominciano ad incastrarsi le une conle altre, formando un discorso  compiuto.

Ma ciò che angoscia einnervosisce è il fatto che si è costretti a pronunciare quelle frasi, impostedalla guida sonora, nonostante magari non ci si trovi d’accordo con quelle parole, ma inesorabilmente le ripetiamomeccanicamente per non essere da meno degli altri.

Una ricerca particolarequesta, che deriva da un precedente lavoro realizzato da ROTOZAZA intitolatoETIQUETTE, ma presentato al Festival come un lavoro di ANT HAMPTON. Nonesistono attori ovviamente, ma solo noi spettatori che alla fine ci ritroviamoinvischiati in questa introspezione psicologica imposta, rivivendo angosce epensieri dei personaggi che siamo costretti ad “indossare”. Il nostro Guru èun’immagine sul video, un viso creato assemblando pezzi vari. Improvvisamenteil volto del Guru scompare, vengono mandate in onda confusionarie immagini dipubblicità e televendite. Poi alcune voci si mescolano nelle nostre cuffie enon sappiamo che dire, non sappiamo quali parole ripetere, sembriamo realmentedisorientati. Il GURU li chiama “garbugli”, mentali, psicologici, linguistici.

Ma in qualche modo si reagiscea questa guida, ci si rende conto che si può scegliere da soli cosa dire, cosapensare, e mentre il volto di questo vecchio barbuto comincia a cambiare voce,a deformarsi, a scomparire, noi rimaniamo appiccicati al video, mentre nellenostre cuffiette si mescolano lingue, frasi, parole, rumori.

Nessuno ci dice di alzarci,né che la performance è finita.

Dopo alcuni minuti di“ipnosi” ci rendiamo conto di essere stati ancora una volta bombardati danotizie, ordini e concetti che non avremmo mai voluto fare nostri.

Esperimento riuscito,dunque…ma stavolta nessun giudizio sulla recitazione degli attori!


EMANUELA FERRAUTO

 
 
 

LES ADIEUX: IL TEATRO 3D

Post n°12 pubblicato il 16 Giugno 2010 da emanu80ferrauto
 

Che il 3D arrivasse anche a teatro, questo non ce lo saremmomai immaginati!

Invece eccoci qui, di fronte al palco dello storico teatroSan Ferdinando di Napoli.

Ancora una volta il Napoli Teatro Festival 2010 ci sorprendemescolando una bellissima scenografia ad un’installazione video 3D.

Parliamo di LES ADIEUX , spettacolo in scena dall’8 all’11giugno, in prima assoluta, per la regia di Benedetto Sicca.

Quest’opera prima di Arianna Giorgia Bonazzi di certo attiratantissima gente perché curiosa di vedere come l’ormai famosa tecnicacinematografica tridimensionale sia stata applicata e inserita a teatro, maqualche pecca purtroppo dobbiamo sottolinearla. Così, dopo la consegna diroutine degli occhialini, come al cinema, entriamo.

La scenografia è molto particolare, ed è affine alla storia:si racconta la memoria frammentaria di una bambina ormai divenuta adulta. Leimmagini mescolate nella sua mente affiorano continuamente in un alternarsi traricordi di infanzia e mondo adulto deformato.

In effetti l’attrice, Francesca Ciocchetti, sulla quale nonabbiamo niente da ridire, anzi, è adulta, o meglio anziana. Lo spettacolo siapre con un personaggio unico, Arianna appunto, posizionata sulla parte piùalta di questo video gigante, una sorta di cornice fotografica, digitale,incorniciata da sinuose forme lignee che scendono ai due lati. Scaleintrecciate, ramificate, che ad un’osservazione più attenta sono linee di corpiche affiorano attraverso chiaroscuri e luci rossastre.

Lei è lì sopra, accovacciata su questa cornice-mente cheracchiude tutti i suoi ricordi.

La tecnica sonora è particolare: a volte l’attrice assume untono di voce e una modalità di parola propria di una bambina, a volte di unavecchia donna morente. L’eco fa rimbalzare, attraverso giochi sonori,determinate parole, che corrono da un angolo all’altro della sala del teatro,dandoci la sensazione di vivere nella mente, nei sogni, nei ricordi dellaprotagonista.

Gli addii del titolo costituiscono i punti cruciali dellavita della bambina, che assimila situazioni, parole, accadimenti, con la mentee i ragionamenti che non sono di un adulto.

Il legame con i nonni, soprattutto con il nonno,  è visto non solo attraverso i sogni masoprattutto attraverso il ricordo dell’ospedale, dell’agonia di questi parenti,della morte, normale avvenimento in tutte le famiglie. L’immagine dei  tubi che fuoriescono dal corpo dell’amatoparente fanno pensare alla bambina  chel’abbiano gonfiato troppo, per questo muore.

Due le immagini dei genitori: quella del padre, definitopapà scienziato, e della madre, vista come una divinità, ma negativa,irraggiungibile nella sua bellezza, distaccata, angosciante, sporca nella suamaniera di rapportarsi con gli altri uomini, nel suo bere e ridere davanti alleamiche.

La vita di Arianna, i suoi compagni di classe, i primiamori, le prime delusioni con gli amichetti, tutto questo ruota in un movimentoche parte dall’alto della cornice immaginaria e fa salire e scendere l’attriceattraverso le scale sinuose ai lati.

E il 3D? Beh, dopo una prima apparizione di una fenice,simbolo dell’essenza della protagonista, gli spettatori ridacchiano divertiti,sorpresi di veder volare quest’immagine a mezz’aria, ovviamente attraverso ilgioco ottico degli occhialini. Ma ben presto diventa stancante tenere unavisione di una scena già abbastanza scura attraverso lenti scure. Del resto leimmagini 3D non appaiono sempre e mentre alcuni spettatori indossanoimperterriti gli occhialini per tutta la durata dello spettacolo, un’ora emezza, io e le mie lenti a contatto decidiamo di fare delle pause.

Le immagini 3D sono mezzo per rappresentare visivamente enello stesso tempo in maniera irreale, tutti i pensieri e le riflessionioniriche della bambina. Di certo siamo abituati a una grafica di fattura superiorenei film di ultima generazione, ed inoltre, in qualche scena si mescolanoimmagini tratte da tv o dal canale on line youtube, in cui si spiattella agli spettatori il videodi un bambino nato con grosse deformazioni, considerato dalla stoltezza umana unalieno, e allattato.

Qual è il senso di questo?

L’idea della narrazione frammentaria e infantile colpisce maperché non affidare il tutto alla bravura dell’attrice? Nonostante lesperimentazioni visive e tematiche ormai siano una consuetudine anche a teatroe devo dire, piacciono molto, forse in questo spettacolo stancano.

Un’introspezione psicologica come quella di LEs Adieux, checolpisce fortemente gli spettatori, soprattutto i giovani trentenni, in quantoi riferimenti agli anni ‘80 sono frequenti, non credo abbia bisogno di unatecnica così innovativa. Anche se non possiamo negare che l’immagine irrealedel volto gigante, e computerizzato, che fuoriesce dal video e che rappresentala madre con cui interloquisce la bambina, faccia davvero impressione. Un voltofatto di linee, di calcoli, di angoli, cerca di fuoriuscire dal videostirandosi e deformando il piano immaginario. Ma la voce artificiale e la boccache si spalanca in un urlo, in un baratro nero profondo che ci inghiotte tutti,lascia senza fiato.

L’esperimento di mescolanza tra irrealtà teatrale e realtàvirtuale è ancora da rodare ma probabilmente ci vuole del tempo per abituarsi atutto questo. Il pubblico teatrale non sempre si avvicina a quello deigiovanissimi appassionati di cinematografia 3D.


EMANUELA FERRAUTO

 
 
 

INCONTRI AL PAN, PALAZZO DELLE ARTI NAPOLI

Post n°11 pubblicato il 16 Giugno 2010 da emanu80ferrauto
 

Continuano gli incontri al PAN, Palazzo delle arti diNapoli, che in occasione del NAPOLI TEATRO FESTIVAL, anchequest’anno apre le sue sale ad interessanti conversazioni con i registi e iprotagonisti degli spettacoli del Festival. Gli incontri, utilissimi aigiornalisti e critici, sono aperti a tutti gli appassionati del festival e delteatro ovviamente: permettono, quindi, di venire a conoscenza di tematiche escelte contenute all’interno di spettacoli che si andranno a vedere, già vistio che magari non si riuscirà a vedere, per impegni o per il frequente sold-outdei biglietti.

Mercoledì 9 giugno l’incontro mattutino ha vistopresenti tre registi italiani il cui obiettivo negli ultimi anni è stato quellodi coinvolgere persone lontane dal teatro. Soggetti provenienti da comunità oquartieri con grossi problemi sociali, o addirittura gli ospiti del dormitoriopubblico di Napoli. Persone, cioè, che hanno visto in questi progetti teatralidelle speranze culturali e sociali, pur convivendo quotidianamente connecessità poco “artistiche”, in primis la povertà e la solitudine.

Coordinatore dell’incontro è stato GOFFREDO FOFI,saggista, critico teatrale, letterario e cinematografico, che si impegna datempo nell’analisi del rapporto tra realtà sociale e la sua rappresentazioneartistica.

A dire il vero la platea rimane incantata dal suo conversarepacato e “pindarico”, affrontando grandi temi e diversi aspetti.

Dei 3 registi presenti il primo a parlare della suaesperienza è SALVATORE TRAMACERE, pugliese, fondatore dei famosi CANTIERITEATRALI KOREIA. Negli ultimi anni si è impegnato in progetti dicooperazione artistica nei paesi balcanici ed Europa dell’ Est,  venendo a contatto con comunità Rom esoprattutto con ragazzi nati e cresciuti in questi contesti.

Tramacere sottolinea il fatto che a questi ragazzi nonimporta nulla della grandezza artistica e culturale dell’Italia, del restohanno altro di cui preoccuparsi. In questo modo è più difficile avvicinarli adun mondo e ad un lavoro di cui hanno sempre fatto a meno e che non avrebberomai considerato indispensabile. Perchéquesto tipo di esperienza? Tramacere risponde che questa opportunità deveessere concessa anche a loro, recuperando poi patrimoni intellettivi e artisticienormi. La dura disciplina del teatro pian piano fa effetto e ha degli effetti,mentre una selezione naturale si crea sempre: c’è chi resta, c’è chi decide diandare per poi tornare, c’è chi va e basta.

Tramacere presenta al Festival 2010 BRAT( fratello) [nella foto asinistra]

 in scena dal 10al 12 giugno nell’Ex Birreria di Miano, spettacolonato da un lungo workshop teatrale con 11 attori rom. Essi parlano delle lorostorie ispirandosi a L’OPERA DEL MENDICANTE di JOHN GAY, testo che ispiròl’OPERA DA TRE SOLDI di Brecht. Odio razziale, ipocrisia economica, violenzadel business, sentimenti, il tutto in lingua serbo-croata con sottotitoli initaliano.

 Presente al PAN anche il giovane EMANUELE VALENTI,  conosciuto ormai per il progetto PUNTACORSARA, di cui ormai ha preso le redini, dopo il cambio di testimone conMarco Martinelli. Il progetto nato con lo scopo di recuperare i giovani delquartiere  SCAMPIA avvicinandoli alteatro e a diverse forme di arte, appare ormai consolidato. In attesa dellafine dei lavori di restauro dell’ormai ambito auditorium di Scampia, che i“Corsari” si tengono stretti, ritornano in scena con un nuovo spettacolo per ilFestival 2010: IL SIGNOR DE POURCEAUGNAC, tratto da Molière e in scenadal 25 al 27 giugno presso l’Ex Birreria di Miano. Dello spettacolo neparleremo approfonditamente dopo l’incontro che si terrà al PAN il 13giugno, data in cui il regista, Emanuele Valenti appunto, e i suoi ragazzicorsari, parleranno ai presenti.

Memori del grande successo di STUDIO SU FATTO DI CRONACA DIVIVIANI, affiancati l’anno scorso daArturo Cirillo, gli attori di Punta Corsara rientrano a Napoli dopo un anno emezzo di grande tournè.

Lo stesso Valenti afferma che i giovani corsari all’inizioerano poco più che adolescenti e tutti insieme, registi e guide compresi, sonocresciuti in un’evoluzione artistica e psicologica . Ciò che è stato importantefar comprendere era la messa in discussione, continua e costruttiva, di tutti ipartecipanti. Bisognava quindi dare una formazione che non mettesse una personasul mercato, che la facesse apparire, ma che facesse crescere professionalmentee artisticamente questi ragazzi, anche in previsione di un futuro teatrale.Valenti sottolinea l’azione di scardinamento dei miti televisivi e cinematograficiche spesso, giovani e non, che si avvicinano a questo mondo, hannocontinuamente in mente.

Terzo e ultimo ospite di questo lungo incontro è stato ilregista DAVIDE IODICE.  Anche luipunta sui “luoghi del disagio” e quest’anno decide di vivere alcuni mesi nelDormitorio pubblico di Napoli. Sapevamo già, in occasione della presentazionedel Festival, circa un mese fa, che questo progetto avrebbe rivelato storieassurde. E così è stato. Nasce lo spettacolo LA FABBRICA DEI SOGNI, in scena dal 15al 20 giugno, presso il Dormitorio Pubblico di Napoli [foto a sinistra].

Il regista trasforma in teatro delle immagini oniriche degliospiti del dormitorio, che proprio lui ha conosciuto, ha ascoltato, hacondiviso.

Racconta di manager ricchissimi caduti in miseria, di unamaestrina di scuola elementare che la mattina va ad insegnare e la sera non hanessuna casa, ma va a rintanarsi al Dormitorio.

La miseria vive tra le persone che incontriamo ogni giorno eche mai immagineremmo essere ospiti di un dormitorio. I nuovi “poveri”abbondano nella nostra società.

Iodice parla di un “attimo”: basta un attimo per perderetutto.

Il teatro deve quindi essere un’ arma da scasso, aprirealcuni luoghi occultati dall’ipocrisia, occuparli, renderli fruibili. Ilprogetto “DORMIFICI” che esalta e apre barlumi di speranza agli ospiti delDormitorio, cioè quello di occupare queste persone in grandi lavanderie peralberghi ed enti, parte ma rimane purtroppo ancora in cantiere.


EMANUELA FERRAUTO

 
 
 

ALEXANDER ZELDIN E IL SUO ROMEO AND JULIET: CARNALE, EMOZIONANTE, CONTEMPORANEO.

Dopo le grandi attese mi posiziono sulla mia bella poltrona al teatro Mercadante di Napoli. Ho sentito dire di tutto su questo spettacolo, il ROMEO AND JULIET di Alexander Zeldin, che ha segnato, dal 4 all’8 giugno, il debutto di questo Napoli Teatro Festival 2010 . Ma pur ascoltando tanti commenti e tante presentazioni ho voluto constatare con i miei occhi. Così, l’ultima sera, dulcis in fundo, c’ero anch’io.

La vista della scenografia, realizzata dal grande scenografo di fama mondiale George Tyspin, è un impatto fortissimo.

Avevo già visto molte volte le scene di molti teatri spogliate dalle quinte e dagli orpelli che per anni e secoli hanno caratterizzato la concezione visiva di un palcoscenico teatrale. Ma qui si supera tutto.

Il palco del Mercadante viene spogliato, denudato violentemente, soprattutto in linea verticale, in altezza. I ponteggi di luci, i riflettori e quant’altro ci sia in un allestimento scenico vengono eliminati, o meglio, portati ad altezze infinite, nascosti agli spettatori. Emergono le nude pareti del retro-palco, le porte di servizio, i fili, le botole di areazione, addirittura un grosso termosifone e un radar dell’impianto di antifurto del teatro.

Poi, dopo, si fa caso al profilo del palcoscenico, quello che di solito è delineato dal tendone rosso: due grandi travi di cemento armato, diroccate, spezzate, delimitano la quarta parete. Lo sguardo dello spettatore penetra attraverso questa parete immaginaria smembrata, come se una bomba avesse squarciato un lato di un edificio. Polvere, fumo, musiche arabe sono continuamente presenti e accolgono l’entrata degli spettatori e degli attori. Quest’ultimi, tutti giovanissimi, non solo italiani ma soprattutto europei di seconda generazione, cioè nati in Europa ma dalle origini straniere.

All’improvviso si apre un portellone sul fondo, un grosso riflettore viene puntato sul pubblico, una sagoma scura in controluce, il principe, decreta e impone la fine di queste lotte familiari a Verona, pena la morte. Sul fondo del portellone appaiono le case, la luce della strada “reale” della città di Napoli. Finzione e realtà si mescolano attraverso una semplice uscita di sicurezza.

La storia di Romeo e Giulietta la conosciamo tutti, banale ripeterla ancora una volta.

Ciò che caratterizza questo spettacolo è di sicuro la sonorità della lingua italiana che appare diversa, nuova, metricamente inconsueta se pronunciata da attori di diversa provenienza. Infatti, all’inizio è difficilissimo comprendere le parole, per poi accorgersi che il nostro orecchio si abitua automaticamente a queste sonorità.

E soprattutto i balli: quello che il regista ha ripetuto in moltissimi incontri è l’attenzione rivolta a questa nuova generazione europea ma tutto ciò si dimentica nel corso della storia. La diversità di questi attori si coglie da alcuni particolari, si identifica non solo nella pronuncia ma anche nei movimenti: ognuno balla con gesti particolari, innati e spontanei, che ricordano i balli delle diverse terre di provenienza. Questi elementi li identificano nelle loro origini, perché in realtà noi spettatori quasi subito non facciamo caso al colore della loro pelle, ai loro abiti. Siamo ormai abituati a mescolarci con gli stranieri.

Così come, durante il corso della storia, non pensiamo più a Shakespeare, di cui peraltro il testo viene rispettato, utilizzando la traduzione di Agostino Lombardi.

Ci immergiamo in un’appassionata storia d’amore, di politica, di odio razziale come se fosse accaduta nella nostra contemporaneità. Modernità di Shakespeare o magia di questo spettacolo?

Ironia a parte, bellissimo l’effetto scenico dei teli trasparenti che dividono e distinguono zone della scena ed episodi rappresentati ad incastro e in contemporaneità. Parti dello scheletro di una macchina sono appese a questi teli, dando l’effetto di un fermo immagine a mezz’aria.

Il balcone diventa una carcassa di macchina bruciata con Giulietta sul tetto e Romeo davanti al cofano, lo speziale che dà la pozione a Romeo appare come un pusher metropolitano che vende la sua dose. E la notte in camera di Giulietta diventa sensuale e carnale: due giovani innamorati e disperati fanno sesso completamente nudi. Molti hanno criticato la scena, io sottolineo l’assenza di volgarità in un’immagine che fa solo commuovere e appassionare: se Romeo e Giulietta sono contemporanei lasciamoli essere tali in tutto. Nel 2010 le platoniche parole di Shakespeare non sarebbero veritiere.

La scena finale della morte dei due giovani è ricoperta da un enorme telo di seta bianca che scende dall’alto per “marmorizzare” tutto e fermare il tempo.

L’urlo finale di Giulietta sottolinea il climax di tamburi in sottofondo, come uno sparagmòs della tragedia greca.

Attori giovanissimi ma di grandissimo talento. Impossibile non sottolineare la bravura di Romeo, Enzo Curcurù, e della balia, l’intensa Evelyne El Garby Klay.

E poi, lasciatemelo dire, è un onore avere un mio concittadino catanese, Salvo Lombardo, nei panni di Frate Lorenzo, in una produzione d’eccezione come questa.



EMANUELA FERRAUTO

 

 

 
 
 

COWBOY AL FRINGE FESTIVAL 2010

Foto di emanu80ferrauto

Il ricchissimo meccanismo del Napoli Teatro Festival 2010 si è ormai attivato, tra spettacoli, incontri, interviste, feste “dopo – teatro”,navette Napoli-Miano, ma come preannunciato è partito anche il Fringe ,festival parallelo.

Compagnie giovani e innovative presentano tematiche differenti ma è interessante vedere la continua analisi dell’uomo, della sua psiche, delle sue emozioni e della  vita quotidiana, il tutto analizzato attraverso meccanismi scenici di grande sperimentazione.

Il festival parallelo viene inaugurato dallo spettacolo COWBOY, di Alessandro Sciarroni, in scena nella suggestiva Chiesa dellaPietrasanta, nella storica via dei Tribunali a Napoli, dal 4 al 6 giugno contre repliche ogni sera.

20 minuti di spettacolo completamente muto dove a far da protagonisti sono i colori.

I due attori, Luana Milani e Matteo Ramponi, appaiono portatori di significati e riflessioni, in una esibizione a metà tra mimo, conmovimenti lentissimi accuratamente studiati, ed equilibri da trapezisticircensi che fanno sussultare il pubblico.

La novità? Gli specchi. Non importa quali siano i volti dei protagonisti poiché essi sono coperti da lastre di vetro, specchi squadrati cheriportano le forme geometriche e colorate del pavimento della scena. Glispecchi diventano personaggio, vengono poggiati sulle spalle, sul collo, sullemani e con sapienti movimenti e articolazioni riflettono non solo i volti dinoi spettatori, che diventiamo protagonisti specchiati nelle figurine sulpalcoscenico, ma riflettono anche stati d’animo e giochi visivi. Le immagini riflesse appaiono come piccolifotogrammi,  falsi video dalla pellicolaconsumata e tremolante.

Tutti noi siamo inglobati in quegli specchi, con le nostre storie, i nostri pensieri, i nostri sguardi interessati. I corpi degli attori fanno da sostegno.

Altro elemento fondamentale: i colori. Blu per la malinconiae verginità, rosso per la stasi e la paura, nero per l’eleganza e il giallo peril pericolo.

I due attori si guarderanno in viso e si incontreranno solo quando tutti i colori dei grandi rettangoli sul pavimento  saranno stati riflessi negli specchi-volto.Ogni colore un’emozione e uno stato d’animo fino all’exploit : i due si vestono da cowboys. Piccoli oggetti, gli stivali, il cappello, la cintura, presenti sindall’inizio ai bordi del palco. Inizia un ballo su una musica country, iniziala cavalcata della vita. Il lavoro fa riferimento alle ricerche spaziali dell’artista portoghese Helena Almeida, ispirandosi al libro sui colori diDerek Jarman, intitolato Chroma.


EMANUELA FERRAUTO

 
 
 
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