Criticinema

Fuocoammare


 FUOCOAMMARE Regia: Gianfranco Rosi Attori: Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana Pietro Bortolo, Giuseppe Fragapane. Soggetto: Carla Cattani (idea), Gianfranco Rosi   La storia Gianfranco Rosi per più di un anno si è trasferito a Lampedusa ed ha vissuto con gli abitanti dell’isola, attori del documentario, documentandone la loro vita. La vita dei lampedusani è diversa dagli altri italiani. Da anni Lampedusa è al centro del clamore mediatico di tutto il mondo perché nell’isola continuano a sbarcare migranti. Il numero dei profughi è altissimo, povera gente che cerca una vita migliore e fugge dalla guerra. Il documentario ritrae la quotidianità dei lampedusani. Rosi entra nelle loro case. I lampedusani, gente non ricca, amano la loro casa. Ce ne rendiamo conto dai particolari: il centrino, la tovaglia con i fiori stampati, la cura messa nel rifare il letto, i baci devoti alle statuine di Padre Pio e della Madonna, da come preparano la cena a base di pesce. Tutto con un bellissimo sottofondo, le canzoni siciliane, che su richiesta mette con dedica sulla radio il deejay dell’isola. Il titolo del documentario è il titolo di un’antica canzone siciliana, “Fuocoammare”, che una donna dedica all’anziano marito.  Che dolcezza vedere i due anziani che nella loro ordinata cucina bevono il caffè. Una vita trascorsa insieme e in quella dedica traspare l’amore che lega la moglie all’anziano marito. I lampedusani ci fanno tenerezza e un po’ li amiamo per questa loro semplicità, gente di cuore che da decenni vive col fenomeno della migrazione senza mai lamentarsi. Rosi racconta Lampedusa attraverso la storia di Samuele, dodicenne che va a scuola, ama la sua fionda e con essa va  a caccia, dopo aver fatto i compiti. Samuele è un bimbo libero che preferisce giocare sulla terraferma ed insegna al suo amico i segreti di come costruire una buona fionda, il trucco è nel costruirla con il legno giusto. Carino Samuele quando afferma “ci vuole passione” nel parlare di come si costruisce la fionda.    Samuele scopre di avere un occhio sinistro pigro, dal quale vede pochissimo, per tal motivo deve bendare l’occhio destro. In questo frangente dimostra la sua determinazione, si esercita con la fionda usando solo l’occhio pigro per colpire gli oggetti. Inizialmente non riesce a colpire il bersaglio ma pian pianino migliora perché il suo occhio recupera diottrie. Samuele ama vagare per la terraferma anche se il mare lo circonda, sostentamento degli isolani che vivono di pesca. Il mare non regala agli isolani solo pesce ma tanti migranti. Negli ultimi 20 anni sono arrivati migliaia di profughi. Molti di essi sono sotterrati nel cimitero e ti viene tristezza nel vedere le croci senza nome. Il medico lampedusano, responsabile della prima assistenza, che ha accompagnato Rosi a Berlino, ci racconta che non puoi abituarti alla morte. Le autopsie eseguite sui piccoli, le donne incinte ti lacerano il cuore. La bravura di Rosi è nell’essere riuscito a realizzare un documentario dove la quotidianità degli abitanti che ascoltano la radio e gli sbarchi di questa povera gente diventano un’unica realtà. Nei barconi o carrette di mare vi è la 1^ classe, la 2^ classe e infine nella stiva la 3^ classe.  In base a quanto puoi permetterti di pagare vai in una delle tre classi. Vi è una differenza di classe là dove non può esservene e là dove non esiste alcuna classe. Molti muoiono, il viaggio è lungo e pieno di insidie:  disidratazione, ustioni da nafta (quando viene versata nel motore e fuoriesce, i migranti sdraiati o seduti a terra si ustionano), poco cibo e talvolta stupri da parte degli scafisti. Un’immagine che ci colpisce è la stiva con i corpi di chi non ce l’ha fatta. Inizialmente ho fatto fatica a comprendere: abiti, tanta sporcizia, corpi riversi a terra privi di vita. Che differenza vi è tra questa immagine e quella del campo di sterminio mostrata nel superbo film “Il figlio di Saul”? Ci fa sorridere il torneo di calcio “Coppa d’Africa” tra le varie nazioni, che i sopravvissuti organizzano al centro di prima accoglienza. Ci fa intristire il canto rap di un nigeriano che, in inglese, racconta il suo viaggio dalla partenza sino all’arrivo a Lampedusa., Rosi è stato premiato a Berlino, ho esultato. Che bello vedere sul palco il dottore, Samuele col suo elegante vestito e gli altri che insieme a Rosi hanno ritirato l’oscar. Il documentario non ha nulla da invidiare ai capolavori del realismo italiano, bello, commovente rende merito ai lampedusani che, come tutti gli isolani, raccolgono ciò che il mare loro regala. Come ci dice il medico lampedusano nel 1990, nel primo sbarco, arrivarono tre africani. Nel 2016 arrivano a centinaia, anzi a migliaia. L’Europa deve prendere coscienza sia della grandezza dei lampedusani, che da anni accolgono i migranti, sia della grandezza del fenomeno migratorio. Tutti dovrebbero vedere questo documentario, soprattutto il pubblico straniero che ben poco sa di ciò che succede nei nostri mari e dell’enormità del fenomeno, per comprendere la vita di questi poveri migranti e di ciò che affrontano per cercare di dare una vita migliore ai propri cari. I migranti, come tutti noi, sono genitori o figli di qualcuno. Nessuno è felice di lasciare la propria terra, i propri cari e andare a vivere da povero in nazioni dove sei visto come un estraneo che ruba il lavoro e anche peggio. Speriamo che questo documentario faccia cambiare la situazione nel tempo e non sia solo un momento di fugace commozione. ANGY