STRISCE BIANCONERE

accelerare tutto


Battere la Juventus, questa Juventus che prima di ie­ri sera aveva perso altre sedici volte, è un po’ come accanirsi contro un bambino seduto sul vasino da notte. Incapaci di difendersi, puniti dall’espulsione banale di Sissoko, i bianconeri hanno tenuto per un’ora e un quar­to poi si sono afflosciati e hanno rischiato di sbracare. Le scene di giubilo sfrenato in tribuna d’onore e sulla pan­china nerazzurra sono giustificabili solo in chiave rincor­sa scudetto, non per altre ragioni, anche perché da Mou­rinho in su e in giù c’è totale consapevolezza del fatto che martedì sera ci sarà bisogno di una prestazione diversa per superare il Barcellona. L’Inter non è più l’invincibi­le armata dell’inverno, forse non è più neppure un’arma­ta. Lo fosse ancora, ieri sera avrebbe stravinto e non im­piegato così tanto tempo per schiodare il risultato.La sfida di Milano è stata brutta, nervosa, contaminata dal germe maligno di Calciopoli, da un titolo conteso e di­feso a suon di striscioni, dalla rievocazione della memo­ria di Giacinto Facchetti, da odi antichi come la Madu­nina. Del resto, l’unica partita che la Juventus può vin­cere è “fuori” dal campo, perché “dentro” il campo al massimo può suscitare una compassionevole pietas. Ze­bina, Grosso, Sissoko, Melo, Diego eccetera eccetera: quante volte è stato detto, scritto, ripetuto? Troppe e trop­pe volte non c’è stata risposta. Aparte l’invito a lavorare di più, che ormai suscita risolini imbarazzati. Detto ma­le, sarebbe il caso di accelerare le pratiche per la contrat­tualizzazione del nuovo allenatore, giusto per contrasta­re la depressione del popolo che ormai si eccita solo più per il passato remoto...Settancinque mi­nuti, oltre la metà dei quali giocati in superiorità nume­rica, sono la dimensione temporale dei patimenti in­teristi, cioè quanto gli ex spe­ciali di Mou hanno impiega­to per spezzare la resistenza della Juventus, notoriamen­te friabile come un grissino. Qualche mese fa, il carroar­mato nerazzurro avrebbe stritolato quest’avversario posticcio e sbilenco, non solo per il deficit d’organico ma per una cifra tecnica immen­samente superiore, invece ha dovuto arrancare e sfer­ragliare per raggiungere la vittoria. Ma tant’è e, in fon­do, se il risultato (2-0) legit­tima la gioia, la testa della classifica è stata riconqui­stata almeno per una notte, in attesa dell’esito del derby romano. In chiave Barcello­na, però, molto ci sarà da ri­vedere: la squadra di ieri se­ra non basterà né a San Siro né al Camp Nou; la squadra di ieri sera per un pezz(ett)o è stata alla portata della banda Zaccheroni ed è tutto dire. Con Milano, i biancone­ri sono alla sconfitta numero tredici - 17 in totale - e la cu­ra è sempre la medesima: la­vorare, lavorare, lavorare. Dai, che magari un giorno ‘sta presa in giro finirà.SOGNOEppure dopo cinque minuti, i primi cinque di una partita sostanzialmente brutta, il tifoso juventino medio si era illuso che il tem­po fosse tornato indietro di almeno quattro anni, quan­do la gita al Meazza era qua­si una passeggiata di pura goduria commerciale in via Montenapoleone, non una sorta di agguato psicologico a sfondo sportivo. In quel breve lasso di tempo, la Ju­ventus era stata capace di aggredire l’Inter e di creare due palle gol con Iaquinta e Del Piero, di sistemarsi in campo con il piglio di chi vuole vincere, persino con una buona predisposizione alla corsa. Ma trascorsi cin­que minuti e poi altri cinque, l’andazzo è diventato il soli­to andazzo, il centrocampo è ridiventato povero di idee e all’attacco sono venuti a mancare i rifornimenti, amen. In questo modo, ciò che rimane dell’Inter poco alla volta ha saputo e potuto risalire la china, fino alla conclusione violenta di Thia­go Motta (16’) parata da Buffon che ha determinato l’inversione di tendenza. Quando poi Sissoko, pastic­cione e confusionario fin dal­l’inizio, ha ritenuto di farsi cacciare per doppia ammoni­zione, il tifoso bianconero medio ha avuto la percezio­ne quasi tattile che il sogno era svanito e che la realtà sarebbe stata durissima. Percezione comune anche a Del Piero, richiamato in pan­china da Zaccheroni per in­serire Poulsen e salvaguar­dare gli equilibri.FIACCHEZZA Era nella condizione, la Juventus, di raccattare qualcosa in più. E senza compiere sforzi titani­ci. La scelta di piazzare Die­go a ridosso delle punte, quindi di rispolverare il rom­bo, poteva premiare non tan­to per una questione di me­riti specifici ma per la fiac­chezza dell’Inter, irriconosci­bile rispetto al passato, ner­vosissima a cominciare dal suo allenatore, incapace di produrre il gioco incisivo che l’aveva proiettata al vertice della classifica. Ovvio che il benefit dell’uomo in più è stato un aiuto non indiffe­rente per scrollarsi di dosso quintali di ruggine. Certo, le fatiche di coppa Italia e la prospettiva di affrontare il Barcellona martedì prossi­mo hanno assorbito la mag­gior parte delle energie men­tali dei nerazzurri, ma sicco­me attualmente la differen­za di valori con la Juventus è enorme, forse abnorme, era lecito aspettarsi qualcosa di più e di meglio. Invece Mai­con per un po’ ha spinto po­co sulla corsia destra nono­stante trovasse un’opposizio­ne tenera da parte di Mar­chisio e Grosso, Sneijder si è acceso a intermittenza, così come Eto’o, per tacere di Pandev, molto discontinuo. Nel mezzo hanno tenuto Cambiasso e Thiago Motta, al quale però converrebbe menare di meno. Un po’ è (anche) colpa sua se la conte­sa spesso ha assunto i con­torni del tafferuglio e se il tafferuglio ha mortificato lo spettacolo: comunque, per evitare che il brasiliano ri­mediasse lo stesso destino di Sissoko, saggiamente Mou lo ha lasciato negli spogliatoi e dato aria a Stankovic.STRAPOTERELa ripresa è stata sbilanciatissima per una summa di situazioni ab­bastanza comprensibili. La supremazia nerazzurra è di­ventata strapotere, la Ju­ventus è rinculata di una ventina di metri e solo una cileccata di Eto’o (9’) l’ha sal­vata dalla capitolazione su un contropiede innescato da una palla persa da Diego. E poi ancora Milito (12’) ha vi­sto la sua girata in anticipo su Cannavaro uscire di poco dopo che Maicon si era la­sciato alle spalle Grosso con uno scatto da centometrista, e poi ancora Stankovic ha provato a colpire dalla lun­ga distanza, e poi ancora Mi­lito ha mancato da un metro il tap-in aereo. Balotelli ha sostituito Pandev e Canna­varo ha provato a sorprende­re Julio Cesar su un corner di Diego, note di cronaca al netto del divertimento che non c’è mai stato. Alla mezz’ora, infine, è arrivato il gol di Maicon, in capo a un rinvio svirgolato di Zebina e a un contrasto ridicolo di Amauri, appena entrato al posto di Iaquinta. Ma la Ju­ventus ha molto protestato per la punizione che Dama­to ha fischiato a Chiellini (pure ammonito) per un fal­lo su Stankovic. Caso mai ci fossero stati dei dubbi, la traversa di Balotelli su pu­nizione e il raddoppio di Eto’ o in pieno recupero hanno messo tutti d’accordo.Tanto rumore per la solita... sconfitta. Che ci sta. Che non fa una piega. Che ri­specchia i valori in campo. La Juve regge finché può, poi ci pensa “Tyson” Maicona man­darla al tappeto, con surrogato di Eto’o. E con il contributo dello sciagurato Momo Sis­soko, che lascia in dieci i suoi poco dopo la mezz’ora. Alla co­razzata Inter, però, non si può concedere un uomo, men che mai di questi tempi avvelena­ti. C’erano 2006 ragioni per vincere, ma la squadra di Zac­cheroni non è in grado di tro­varne nemmeno una. E Chiel­lini, fuori di testa, se la prende con il cartellone della televisio­ne: un pugno, e un calcio di rab­bia; un pugno e un calcio di im­potenza (con l’addetto ferito). Questa è la realtà, anche se non vi pare. Anche se non si riesce ad accettarla. Tanto da anticipare la fuga dalla tribu­na, come fa il presidente Jean Claude Blanc, che si perde il raddoppio nerazzurro. ANNERITI L’annata sciagu­rata, dunque, prosegue. E con le ultime quattro gare il sogno Champions sarà difficilissimo da acciuffare. Ci vorrebbe un miracolo, ci vorrebbe un’altra truppa zebrata. Ma è vietato mollare, bisogna provarci fino in fondo. «Mi devo preoccupare di risollevare il morale», con­ferma Zac. Che però non dige­risce l’inferiorità numerica. «Se il secondo giallo l’arbitro l’ha dato, c’era. Ma non ho capito il primo: lo meritava solo Motta che spingeva. Uno solo ha spin­to, e non è il mio. L’espulsione ha cambiato la partita, noi era­vamo ben dentro. L’avevamo preparata per non dare loro punti di riferimento, con il pos­sesso palla, con i tre davanti a scambiarsi la posizione. Io non parlo mai di arbitri, ma sono per la regola del buon senso, e una partita di questo livello non si condiziona per così poco. Va lasciata giocare il più possi­bile ai giocatori. E Chiellini rin­cara la dose: «Una sconfitta, co­sì non la posso mandare giù. Poi loro saranno anche più for­ti, ma... La prima ammonizio­ne a Momo non esiste al mon­do. Per non dire di Motta che sullo 0-0 mi ha spogliato. Sono tutti episodi che hanno condi­zionato il match. L’Inter è e re­sta una grande squadra, però è stata agevolata da questi fat­ti ».SUL RING Più che un incon­tro, uno scontro. Il motto è: più calci per tutti. Una botta qua, una botta là; una maglia strat­tonata, un gomito alzato. Se questa è la Scala del pallone, dal loggione dovrebbero salire alti i fischi... La Juve ci prova, con un ottimo avvio (sfortuna­to Iaquinta) e un finale di tempo rattrappito. Poi ci pensa Momo Sissoko a rompere gli indugi, a rompere l’equilibrio. Fallone su Zanetti e spogliatoi anticipati, per la gioia di Mou­rinho.Anche Zac, però, alza la voce, interviene, segnala, scuo­te la testa. Benvenuti al mani­comio pallonaro. L’importante è partecipare, non vincere. La gara dei brasiliani: Felipe Me­lo e Diego da una parte, Lucio, Maicon e Julio Cesar dall’altra. Con Thiago Motta nel guado. Baci e abbracci nel tunnel, entrate, giocate colpi bassi sul campo. Melo è grazia­to dall’arbitro, Motta vorrebbe la rissa ogni due secondi. Ma non erano i campioni del fute­bol bailado? Macché, qui si ba­da al sodo, a menare. E i bian­coneri, in inferiorità, la metto­no sull’orgoglio, sull’estempo­raneità delle azioni. Diego, il 28 che vorrebbe diventare 10, pro­va a illuminare la serata: qual­che buon lancio, poco seguito dei compagni. «Diego nel pri­mo tempo - conferma Zacche­roni - è stato il migliore Diego della stagione, dava anche equilibrio. Dispiace sempre to­gliere Del Piero ma dovevo pensare alla squadra». AZZURRI Serve il cuore Ju­ve, per sopravvivere. Serve il cuore anche dei campioni del mondo. Capitan Alex ha già chiuso i conti con i nerazzurri. E allora tocca a Buffon, a Grosso, a Iaquinta, a Canna­varo. Fate qualcosa di “gobbo”, altrimenti si rischia. E proprio Fabio, colui che alzò la Coppa verso il cielo di Berlino, veste i panni dell’attaccante aggiun­to. Ci prova di testa, ovviamen­te. E ci mette animo. Pure Su­perGigi non è da meno. Para, che poi è il suo mestiere. E ci tiene a tenere inviolata la por­ta. Un tuffo, uno spavento con Milito a due passi, una mano che sventa l’occasione di Stankovic. E ancora il Princi­pe. Da infarto. Inter-Juve è co­sì. I forti contro i deboli, con il pari che non si schioda, con i brividi che aumentano di in­tensità. E quando Amauri - il sostituto di Iaquinta - alza la gamba con poca convinzione e si lascia fregare da Maicon, il destino è segnato: gol, partita, incontro. Il resto è Milito man­gia tutto. Un Eto’o che non sba­glia. E una Juve impotente. «Il distacco che c’è dai nerazzurri non si è visto in campo - prova ancora Zac ad alzare il muro ­. E il primo gol l’abbiamo con­cesso, con un nostro attaccan­te che ha sbagliato la pressio­ne. Io ho rammarico non di quanto fatto a San Siro, ma di quanto accaduto precedente­mente. Il nostro problema è la mancanza di salute, questa squadra non si è mai allenata, è mancata la condizione». La chiosa: «Auguri all’Inter per il Barcellona».Ora non resta che reagire..Dove eravamo rima­sti con la Juventus e Calciopoli? Al comunicato della scorsa setti­mana e, ancor prima, ad Ales­sandro Del Piero che chiedeva la restituzione dei due scudetti. L’udienza di martedì a Napoli ha amplificato le certezze di chi già prima era convinto che i pro­cessi del 2006 fossero stati so­prattutto una manovra anti Ju­ve. Sentimenti, molto probabil­mente, condivisi anche da Jean Claude Blanc che però, sull’ar­gomento, ha preferito parlare con fermezza, certo, ma senza inutile clamore. «Stiamo vigilan­do e monitoriamo la situazione, ma senza infuocare gli animi e senza rilasciare dichiarazioni eclatanti visto che la giustizia sta lavorando. Quindi non mi re­sta che ribadire quello che ab­biamo scritto nel comunicato di una settimana fa. È importante tenere i toni giusti, ma siamo an­che stati chiari, con quel comuni­cato. È necessario dare tempo a chi deve prendere un certo tipo di decisioni ed è fondamentale che la giustizia sia equa per tut­ti ». Juventus vigile e attendista, dunque, anche se in serata, a margine del derby d’Italia a San Siro, è trapelata l’indiscrezione, smentita dal club, che in corso Galileo Ferraris starebbe pren­dendo corpo l’idea di chiedere la revisione dei processi sportivi del 2006 con l’obiettivo di arri­vare alla revoca dello scudetto 2005-06 assegnato a tavolino al­l’Inter. Controcorrente Buffon: «Calciopoli fa solo male al calcio, sono passati tanti anni, uqello scudetto lo prenda chi lo vuole a me non interessa».PERCHE’ La domanda più ri­corrente e anche più banale, nel­la sua semplicità, è capire per­ché nel 2006 non sono state pre­se in considerazione tutte le in­tercettazioni. Blanc allarga le braccia: «Ci sono persone a livel­lo giuridico che daranno rispo­ste e forse tra qualche giorno ca­piremo un po’ di più». Ma c’è chi vorrebbe capire subito. Come i tifosi di Italia bianconera che hanno rivolto un appello a John Elkann, affinché «chiarisca che cosa è stata Calciopoli. Se un cancro che ha colpito il calcio op­pure solo un cancro che ha colpi­to Moggie Giraudo. Dicci chi è stato a voler colpire solo noi. Molti sono convinti che con tuo zio Umberto e tuo nonno Gio­vanni non sarebbe successo nul­la. Ora tocca a te, John. Se non vuoi farlo per i 14 milioni di tifo­si bianconeri, fallo almeno per tuo nonno e tuo zio».ATTUALE Il presidente ha scelto il no comment sia su un eventuale incontro con i rappre­sentanti di Benitez («Sul tema allenatori non faccio commenti. E non è mia abitudine dire con chi mi incontro e con chi no») sia sulle eventuali punizioni econo­miche ai giocatori in caso di nuo­ve figuracce («Quello che si dice negli spogliatoi deve rimanere negli spogliatoi. E comunque la linea tra la proprietà e la diri­genza è sempre la stessa»). Ma sulla contestazione dei tifosi, in­vece, ha voluto parlare con de­terminazione: «Non aiutano la squadra, così non si fa. Non è ac­cettabile, queste sono questioni di ordine pubblico. I tifosi juven­tini sono 14 milioni, per tre tifo­si che mettono striscioni ne van­no di mezzo tutti gli altri. Se vo­gliamo aprire gli stadi alle fami­glie, bisogna fare in modo di ave­re comportamenti accettabili».(Tuttosport 18/04)