Cureprimarie

Corsi e ricorsi sanitari, l'intasamento del PS


Da almeno una decina di anni a gennaio, in corrispondenza del picco dell'epidemia influenzale, entrano in crisi le strutture ospedaliere che più soffrono per l'effetto"collo di bottiglia": posti di Pronto Soccorso (PS) sovraffollati e reparti di rianimazione con indisponibilità di posti letto. Puntualmente le cronache giornalistiche registrano proteste, malcontento e disagio degli operatori  per le difficili condizioni di lavoro ed anche denunce dei cittadini per il malfunzionamento dei servizi. Sulla complessità della crisi del PS sono stati spesi i proverbiali fiumi di inchiostro, ma puntualmente rispunta il tentativo di "dare la colpa" al Medico di Medicina Generale (MMG), come propone la dott.ssa Rossella Carucci, direttore Ares del 118, in una dichiarazione al Tg3 Lazio del 7 gennaio 2014 sulla crisi dei PS della capitale: "Il medico di famiglia, dove dovrebbero andare, o non lo trovano o non gli da l'affidabilità necessaria, fatto sta che l'ospedale è molto attrattivo per i pazienti e la medicina territoriale molto meno".La crisi del PS ha radici lontane e concause profonde. Sul PS convergono e si concentrano nel tempo e nello spazio le contraddizioni e i limiti del sistema, di cui fanno le spese per primi gli operatori, in termini di stress, sovraccarico di lavoro e concreto rischio professionale. In pratica medici e paramedici devono fronteggiare quotidianamente una continua emergenza organizzativa nell’emergenza sanitaria. Ecco un sommario elenco dei determinanti della crisi tratto da un documento ministeriale *:un sempre maggior bisogno del cittadino di ottenere dal servizio pubblico una risposta ad esigenze urgenti o comunque percepite come tali;il miglioramento delle cure con aumento della sopravvivenza in pazienti affetti da pluripatologie che con sempre maggior frequenza necessitano dell’intervento del sistema d’emergenza-urgenza;il ruolo di rete di sicurezza rivestito dal Pronto Soccorso per categorie socialmente deboli;la convinzione del cittadino di ottenere un inquadramento clinico terapeutico migliore e in tempi brevi;la preminenza del modello di salute tecnologico centrato sull'Ospedale rispetto al modello preventivo-territoriale centrato sulla Medicina di Base. A questi determinanti si devono aggiungere altri nodi problematici, di natura organizzativa e psicologico-comportamentale individuale, vale a dire:-la ristrutturazione della rete ospedaliera, con la chiusura dei piccoli ospedali e la riduzione dei posti letto, che si riflette sul PS con il citato “effetto imbuto”, nel senso che non è possibile ricorrere come un tempo al ricovero per il completamento delle indagini diagnostiche;·        -l’aumento dei tempi e delle liste d’attesa per prestazionidiagnostiche e specialistiche, con conseguente domanda inevasa dall’offertapubblica di prestazioni sul territorio;        -le difficoltà del sistema sanitario nel suo complesso, e in particolare del singolo medico del territorio, ad influenzare le decisioni autonome dagli assistiti di recarsi in PS, generalmente in preda all'ansia per la propria salute (i ben noti “codici bianchi”).Un’ansia generata da un clima sociale di allarme, riguardo ai problemi sanitari, che cerca e trova conforto nella "potenza" e nell'offerta tecnologica dell'istituzione ospedaliera. Laddove la tecnologia diagnostica è offerta in modo pronto, affidabile e "attrattivo" per la gente. Attrattività che si autoalimenta ed inducela propria domanda, indipendentemente dalla volontà del singolo operatore, in un classico circolo virtuoso o vizioso di natura organizzativa, a seconda del punto di vista. Può capitare, ad esempio, che un assistito decida di recarsi in ospedale piuttosto che frequentare, magari a pochi minuti da casa, l'ambulatorio del medico di famiglia, dove potrebbe essere visitato in tempi brevi, a dispetto delle lunghe attesa in P.S., dovute proprio alla presenza dei "codici bianchi" in eccesso sfuggiti al filtro della MG.La risposta alle interpretazioni semplificate sta nel ribadire che è impossibile per il singolo medico del territorio reggere la concorrenza dell’offerta tecnologica dell’emergenza sanitaria. Prima di tutto perchè non è il suo compito, essendo altra la mission che si è data la Medicina Generale negli ultimi anni, ovvero la gestione delle patologie croniche sul territorio. In secondo luogo è la disponibilità della tecnologia diagnostica e specialistica a fare la differenza rispetto all'offerta territoriale, attraendo la gente ed inducendo il medico del PS a prescrivere giustamente accertamenti, a prescindere dall'accesso più o meno appropriato dell'assistito. Lo spiega l’economia sanitaria con una delle sue leggi ferree: in sanità vale la regola che l’offerta organizzativa di servizi e prestazioni crea la propria domanda, a prescindere dall'intervento del singolo operatore.E’ normale e “naturale” che si ricorra alla tecnologia diagnostica quando è prontamente disponibile, sia per venire incontro alla domanda implicita degli utenti sia per motivi clinici specie se il professionista deve tenere conto di protocolli aziendali, linee guida aziendali, aiuti alle decisioni etc.., elaborati proprio per fare fronte a situazioni di incertezza, prevenire il rischio clinico e tutelare gli operatori stessi da eventuali conseguenze medico-legali personali. L'incertezza decisionale, specie quella diagnostica, si riduce aggiungendo informazioni -secondo il modello bayesiano della cinematica delle probabilità - o ricorrendo al parere dello specialista, in particolare di fronte a nuovi casi o disturbi di dubbia interpretazione, atipici, inconsueti o sotto-soglia, che non sono “coperti”dai protocolli e dalle linee guida. Insomma è difficile negare in PS un minimo di esami ematici, qualche accertamento per immagine o consulenze specialistiche, sia per motivi oggettivi sia per evitare di incappare in un errore diagnostico, date le difficoltà decisionali del contesto emergenziale, essere denunciati per malapratica, finire sui giornali e magari pure sul banco degli imputati pagando personalmente per deficit gestionali e strutturali. Come si può chiedere al singolo medico extra-ospedaliero di gestire sul territorio la medesima incertezza diagnostica a mani nude, ovvero senza il supporto decisionale della tecnologia, quando nessuno in PS giustamente vi può rinunciare? Gli assistiti hanno capito da tempo queste dinamiche e non a caso si recano senza indugio in P.S,anche a rischio di dover sborsare qualche decina di euri, ma con la sicurezza di by-passare le liste d'attesa ed eseguire in poche ore accertamenti e visite che solo in tempi lunghi e con farraginose procedure burocratiche potrebbero avere sul territorio.Le cose potrebbero andare in modo diverso se si potenziasse l’offerta organizzativa delle cure primarie territoriali, incentivando le forme associative in MG previste dalla riforma Balduzzi. L’obiettivo è quello di intercettare i codici bianchi prima del nosocomio e quindi ridurre almeno parzialmente il loro impatto sulle strutture di emergenza-urgenza, come dimostrano alcune esperienze regionali e recenti ricerche empiriche sul campo.Infine l'uso della tecnologia si impone da sè perchè è noto che il PS è un contesto professionale assai difficile, stressante,  ad elevato rischio professionale e di errore cognitivo, come ammettono i professionistiche vi lavorano:http://www.acemc.it/sito/eventi/doc/relazioni/strategie_cognitive.pdfInsomma per la crisi del P.S. vale l'aforisma per cui sono improponibili soluzioni semplici e lineari per problemi di natura sistemica e maledettamente complessi.*http://www.agenas.it/psn_op/Doc/Normative/09_LINEE_GUIDA_ASSISTENZA_H24.pdf