Cureprimarie

Pronto Soccorso, tecnologia e controllo dell'incertezza


Il CASO. Franca è una giovane madre con due piccoli che soffre periodicamente di emicrania con aura che riesce a controllare con FANS. Oggi però all’aura visiva si è aggiunta una sintomatologia che la spaventa (parestesie all’arto superiore sinistro) anche perché ha finito il farmaco che assume abitualmente in caso di cridi. E’ sola in casa, il disturbo è fastidioso, lei è “agitata” e quindi decide di recarsi in PS accompagnata dalla madre. Qui viene accolta e dopo il triage e l'inquadramento clinico, comprensivo di esami del sangue, le viene infuso un farmaco per l’emicrania che riduce il dolore ma a prezzo di vari effetti collaterali, assai più fastidiosi forse per un’infusione endovena troppo veloce, dalle vertigini alla nausea fino alla brutta sensazione di “non sentire” più gli arti inferiori, probabilmente per via dell'iperventilazione da ansia. Per ovviare a questi sintomi le viene somministrato prima un farmaco anti-emetico e.v. e poi, vista la “crisi di panico” anche un sedativo in gocce. Viene dimessa con richiesta di EEG con privazione di sonno, Anagio-RMN e successiva rivalutazione neurologica presso il centro emicrania. Torna finalmente a casa, barcollando per la sedazione, e dorme profondamente fino al mattino successivo. Al risveglio però è ancora intontita, ansiosa e visibilmente confusa per cui il marito decide di riportarla in PS, dove viene di nuovo valutata dal medico di guardia, che esegue nuovamente esami ematici e, per via dello stato d'ansia, prescrive in aggiunta agli esami del giorno prima una valutazione psichiatrica. COMMENTO. Annota un collega che "i Medici di Famiglia sono rimasti gli unici clinici capaci di " arrangiarsi" con l'uso della parola, dell' esame obiettivo e della poca tecnologia presente nei nostri ambulatori". Questo accadeva un tempo ed anche oggi è parzialmente così, ma il panorama e il contesto è radicalmente cambiato per effetto di una trasformazione silenziosa di cui ora percepiamo gli effetti empirici proprio in sede di PS. Diciamo che un tempo c'erano due medicine abbastanza separate, seppure comunicanti: quella territoriale, che si arrangiava "a mani nude" e tollerava l'incertezza decisionale insita nei propri scarsi mezzi diagnostici, e quella ospedaliera, che veniva "in soccorso" del MMG quando la situazione era critica grazie alla degenza e al dispiegamento di mezzi tecnologici e specialistici. Oggi invece non è più così: il PS infatti si è trasformato da luogo di cure immediate per traumatizzati, o di semplice smistamento verso la degenza per gli altri, ad un vero e proprio multireparto che eroga prestazioni di ogni tipo in tempi rapidi e con consistente utilizzo di tecnologia e diagnostica specialistica; da posto di passaggio il PS si è trasformato in trincea di prima linea a difesa dell'ospedale, senza lesinare armi e munizioni (tecnologiche) per arginare l'assalto degli "esterni" ed evitare il ricovero a causa della riduzione e della cronica indisponibilità di posti letto. E' proprio grazie al dispiegamento di mezzi diagnostici sul confine del nosocomio che è possibile evitare il ricovero e nel contempo rispondere alla domanda di assistenza manifestata con l'accesso improprio in PS.In questo modo gli stessi assistiti che il MMG gestisce con scarsi mezzi, facendo ricorso alla parola, all'EO e pochi arnesi del mestiere, vengono sottoposti ad un inedito fuoco di fila di esami e visite specialistiche nel momento in cui accedono al PS. Questo doppio binario trasforma radicalmente il tradizionale approccio clinico facendo la differenza rispetto a quella cesura che caratterizzava nel recente passato il rapporto tra ospedale e territorio. l cambiamento di approccio verso casi non gravi in PS - i codici bianco/verdi un tempo di pertinenza dell'ambulatorio del MMG - si deve al fatto che buona parte dei servizi ospedalieri si è fisicamente spostata sul confine dell'ospedale per difendere il proprio "nucleo tecnico" dalle perturbazioni dell'ambiente esterno. Tuttavia questa difesa ha un risvolto inatteso: il territorio è stato così "contagiato" dall'offerta tecnologica, la cui la cifra culturale di sfondo consiste nell'intolleranza per l'incertezza. Infatti tra gli operatori del PS il ricorso alla tecnologia ha lo scopo di ridurre l'incertezza nel momento in cui non dispongono di sufficienti informazioni anamnstiche e devono gestire presentazioni atipiche, sintomi soggettivi o sfumati (i disturbi lamentati dai codici bianco-verdi) per migliorare l'affidabilità della diagnosi, a differenza di quelle sempre incerte dei generalisti “scalzi” e disarmati. L’esigenza di sottoporre ad accertamenti diagnostici gli assistiti latori di sintomi aspecifici che accedono al PS è motivata dalla necessità di chiarire immediatamente la natura dei disturbi a fronte dell’impossibilità di monitorare l’evoluzione dei disturbi sul medio periodo, ovvero di ricorrere alla risorsa tempo tipica del contesto delle cure primarie. I due modi di fare medicina erano in passato separati dalle mura ospedaliere, mentre ora si può dire che sono compresenti sul territorio proprio a causa della proiezione ambientale del PS, che ovviamente ha indotto la gente, attratta dalla “potenza” dell’offerta tecnologica, ad una maggiore accesso al PS stesso ma anche nel MMG la necessità di un maggiore ricorso alla diagnosi strumentale. Di riflesso anche tra medici del territorio si riduce la tolleranza dell'incertezza, in quanto si trovano ad operare ancor più "a mani nude" rispetto alle potenzialità diagnostico-terapeutiche e plurispecialistiche messe in campo dal PS. Probabilmente non ci si rende conto dell'entità del cambiamento provocato dalla ristrutturazione dell'ospedale - a seguito della riduzione dei posti letto e della sua vocazione a gestire solo situazioni acute - ma di riflesso anche sull'ambiente: una trasformazione che oserei definire antropologica ed epistemica nel contempo, che fa perno sulla gestione e sul controllo dell’incertezza.