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Screening mammografico tra rischio e medicina difensiva


Una mia assistita in menopausa si reca dal ginecologo privato per una visita di controllo. Lo specialista si informa sulle procedure preventive eseguite dalla paziente e saputo che la signora esegue gli screening mammografico e citologico con la periodicità stabilita dall'ASL (24 mesi e 36 mesi) prescrive una mammografia, ecografia mammaria e pap-test annuali con la seguente motivazione: "lo stato adotta queste scadenze per motivi economici ma io le prescrivo ciò che è davvero utile per un'efficace prevenzione". Su quali presupposti si fonda questa posizione discorante rispetto allo screening pubblico? Cosa replica alla signora uno specialista che condivide l'impostazione ella prevenzione “istituzionale” promossa dall’ASL?Questo atteggiamento è antitetico allo slogan di Slow Medicine “fare di più non significa fare meglio”: per lo specialista, al contrario, lo stato fa meno di quello che sarebbe etico e doveroso fare, per mere motivazioni economiche da "spilorcio", e quindi mette a rischio la salute dei cittadini; quindi il consiglio prescrittivo dello specialista è corretto e rimette le cose a posto, perchè è giusto e razionale FARE DI PIU'! Questa concezione è il sottofondo teorico implicito che ispira molte scelte prescrittive, dall'eccesso di accertamenti a scopo difensivo alla prescrizione di farmaci per ridurre fattori di rischio che prescindono dalle Note AIFA. In questo caso è stata enunciata senza mezzi termini, in modo diretto e tranchant, tant’è che restano pochi spazi di manovra per il medico di MG, che generalmente si adegua ai suggerimenti prescrittivi dello specialista.La posizione della specialista non tiene però conto di una distinzione di ruoli e di prospettiva: lo screening è un tipico intervento sanitario di popolazione ed i suoi metri di valutazioni, la quantificazione del beneficio/rischio/costo e le relative controversie scientifiche sull'efficacia dello screening stesso (riduzione mortalità, sensibilità, specificità,  sovradiagnosie sovratrattamento etc..) si basano su dati statistici di coorte e di lungo periodo. Lo screening opportunistico consigliato dal ginecologo invece riguarda il singolo professionista di fronte al singolo assistito che si sottrae per la sua natura individuale ai metri di valutazione statistica. Va da se che su questo terreno ognuno può legittimamente fare le affermazioni e prendere le decisioni che più gli sembrano corrette, senza alcuna giustificazione statistica di sorta. In sostanza siamo nel regno delle valutazioni meramente individuali che inevitabilmente sfuggono alla dimensione di popolazione che supporta le considerazioni epidemiologiche delle diverse tipologie di rischio (falsi positivi, falsi negativi etc..). Da questo contesto scaturisce la "teoria" del fare di più rispetto allo screening istituzionale, esposta programmaticamente dal ginecologo. Insomma ci troviamo di fronte ad una sortadi incommensurabilità concettuale e, soprattutto, percettivo-valutativa del rischio individuale versus la dimensione di popolazione.A ben vedere la motivazione del ginecologo appare eccentrica anche sul piano di una valutazione ponderata dei rischi insiti nella diagnosi precoce mediante screening mammografico: il suo problema prioritario è evidentemente quello di evitare i falsi negativi e per fugare questa eventualità  teorica è disposto anche a pagare il prezzo di un maggior numero di falsi positivi, sovra-accertamenti e sovradiagnosi pur di non farsi sfuggire nemmeno un caso. Ancora una volta è in gioco una quantificazione del rischio complessivo dello screening (falsi negativi versus positivi) che non è oggettiva ma inevitabilmente soggettiva (da parte del medico) e individuale (da parte del paziente) e che persegue la probabilità 0 di falsi negativi, come se fosse possibile raggiungere questo traguardo nel singolo caso.O meglio, nella dimensione collettiva dello screening il rischio resta anonimo e impersonale - anche quello di incappare in falsi positivi - mentre nella relazioni duale medico-assistito il rischio passa dalla dimensione impalpabile delle valutazioni statistiche alla impersonificazione individuale e diviene così concreto, specie quello del temibile falso negativo. Il caso che potrebbe sfuggire allo screening, nel senso di un tumore sintomatico anaplastico non intercettato della mammografia biennale, potrebbe essere proprio quello della singola persona che il ginecologo ha di fronte a se! Questa valutazione del rischio è motivata da esigenze difensive (la “paura” della denuncia) e porta con se emozioni negative, da una parte e dall'altra della scrivania, probabilmente frutto di precedenti esperienze personali di falsi negativi, forieri di pesanti conseguenze per chi ne è "vittima".  Questo aneddoto illustra in modo esemplare una delle antinomie del pensiero medico, descritte a suo tempo dallo storico della medicina Mirko Grmek, vale a dire la discrasia tra la dimensione individuale e quella collettiva.