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Fare di più non vuol dire fare meglio.....anche nella formazione medica!


La Società Italiana di Pedagogia Medica (SIPEM) ha pubblicatole 5 principali pratiche da abbandonare nella formazione delle professioni mediche, nell’ambito del progetto "Fare di più non vuol dire fare meglio" promosso da Slow Medicine (https://docs.google.com/file/d/0B4DJE4Qn8qXGQTYzcFNLR1JzS3M/edit).Eccone la sintesi:· Non usare la lezione frontale non interattiva come strumento didattico principale. Privilegiare invece modalità interattive.· Non trattare argomenti di clinica o organizzazione senza considerarne anche le implicazioni etiche, sociali, economiche, inter-professionali, le aspettative ed i valori dei pazienti· Non utilizzare l'esame orale non strutturato e non valutare le abilità pratiche unicamente con strumenti di tipo cognitivo· Non far apprendere le procedure direttamente sul paziente senza preparazione inappropriato modello di simulazione· Non utilizzare unicamente test di tipo cognitivo ed a prevalente indirizzo biologico per la selezione all'accesso ai corsi di laurea o specializzazione. Si tratta di affermazioni forti che configurano una sorta di rivoluzione pedagogica per gli standard del nostro paese e, in quanto tale, piuttosto difficile da attuare in tempi brevi e senza scontare l'opposizione di una parte dagli addetti ai lavori. Basta aver esercitato il ruolo di tutor valutatore del tirocinio propedeutico all'esame distato per aver toccato con mano le carenze dell'insegnamento universitario tradizionale, specie per quanto riguarda la metodologia clinica ed il procedimento diagnostico. Da quando svolgo attività di tutor per l'esame di stato e mi sono reso conto della grande importanza del sapere pratico e soprattutto esperienziale - rispetto alla dimensione puramente cognitiva della lezione e dell'esame orale - che i neo-laureati hanno l'occasione di "sperimentare" nel mese di frequentazione dello studio. Mi pare che anche per loro il tirocinio rappresenti un'occasione di apprendimento sul campo incommensurabile rispetto a quello astratto della lezione frontale tradizionale, ancora in gran voga. La dimensione esperienziale del tirocinio è il crogiuolo in cui si fondono in modo incomparabile le componenti cognitive, pratiche, relazionali, psicologiche, decisionali,comunicative e sociali della professione medica, che sono state oggetto di insegnamenti e apprendimenti teorici durante la formazione curricolare, spesso di buona qualità ma in genere tra loro irrelati. In particolare la metodologia clinica dovrebbe avere la funzione di collante delle dimensioni semeiotico-percettiva,comunicativo-relazionale e clinica-decisionale dell’esperienza professionale ed umana; purtroppo non sempre nel contesto pedagogico ospedaliero si realizzano le condizioni perché  si concretizzi questo apprendimento informale ed interattivo, tipicamente interpersonale e “sul campo”. Il tirocinio pre-esame di stato sopperisce solo parzialmente a questo deficit nella misura in cui permette al neo-laureato di venire in contatto con la componente di sapere tacito, informale e situato tipico di ogni pratica clinica, che per sua natura è la parte meno codificabile e trasmissibile del bagaglio professionale, specie se si utilizzano solo tecniche didattiche tradizionali come la lezione frontale.Per quanto mi riguarda invece ho dovuto superare un certo impaccio e disagio riguardo all'obiettivo teorico del tirocinio, ovvero la valutazione delle abilità e competenze cliniche del neo-laureato, che passa in secondo piano rispetto alla valenza formativa pratica del tutoraggio. Il tirocinio pre-esame di stato serve più che altro a colmare le lacune della formazione di base, sottolineate dalla SIPEM, specie per quanto riguarda la metodologia clinica e il procedimento diagnostico, insegnamenti abbastanza trascurati nel corso di laurea a favore della tradizionale semeiotica. Non c'è nulla di più utile della pratica sul campo per attivare processi meta-cognitivi, di apprendimento esperienziale e di riflessione nel corso dell'azione, proposti quotidianamente a 360 gradi dai problemi pratici del contesto ambulatoriale. Così il tirocinio più che un momento valutativo – nel mio caso un po' imbarazzante - diviene l'occasione per compensare alcuni deficit della formazione di base, gli stessi deprecati dai pedagogisti medici nella loro lista "nera" stilata per "Fare di più non vuol dire fare meglio".