Cureprimarie

Cancri di intervallo tra screening istituzionale e "selvaggio"


Attorno agli screening oncologici il dibattito tra esperti e nella pubblica opinione dei non addetti ai lavori è sempre vivace.  Riguardo alla mammografia, in particolare, si discute sul problema dei cosiddetti  cancri di intervallo (da ora CI), vale a dire i tumori mammari che si manifestano clinicamente tra un "passaggio" biennale di screening e l'altro; negli screening di “qualità” i CI sono inferiori al 30% del totale dei Ca attesi nel biennio. Tale valore è in linea con lo standard accettabile, definito internazionalmente al 40% (30% il primo anno di intervallo e 50% il secondo), ma a molti appare pur sempre considerevole. In sostanza si ritiene accettabile una sensibilità dello screening almeno del 60%, a fronte della sensibilità della mammografia del 75-90% circa. Nei centri più accreditati i CI al primo anno di intervallo sono attorno al 15% e al secondo anno tra il 30 e il 40%, con punte del 60% nei centri meno efficaci. A cosa di deve il gap tra sensibilità dell’esame mammografico e quella dello screening organizzato? I CI non sono clinicamente differenti da quelli diagnosticati di routine, sia per dimensioni/velocità di accrescimento che per prognosi, e sono riconducibili a tre fattori:tumori di dimensioni minime (un genere Ca in situ) per essere diagnosticati alla mammografia;veri e propri falsi negativi radiologici (standard accettabile: <20% di tutti i casi di CI);scarsa qualità tecnica dell’esame mammografico.La superiore efficacia dello screening organizzato rispetto a quello opportunistico ed occasionale, ad esempio messo in atto dal MMG, da altri specialisti privati o dai vari centri, è dimostrata da alcuni dati statistici elaborati dall'ASL di Brescia. Ciononostante alcune strutture specialistiche ospedaliere ed ambulatoriali raccomandano ed inducono controlli periodi a 12-18 mesi, talvolta della sola  Mammografia ma non dirado associata all’Ecografia mammaria e alla Visita senologica. L’atteggiamento prudenziale è giustificato in presenza di fattori di rischio o di situazioni cliniche conclamate, ma nella realtà viene consigliato di routine a donne giovani o in età di screening, asintomatiche e senza particolari fattori di rischio (familiarità) per una diagnosi precoce, dopo la prima mammografia. Questa prassi organizzativa configura una sorta di (super) screening di popolazione, seppure informale, alternativo o in concorrenza rispetto allo screening biennale organizzato dall’ASL. La difformità di indicazioni temporali tra Centro screening pubblico e screening “selvaggio” di alcuni servizi diagnostici crea sconcerto e disorientamento, sia tra le donne sia tra i MMG, che vengono a trovarsi nella scomoda posizione del fuoco incrociato. La motivazione di questa discrasia è intuibile: i centri specialistici, per minimizzare il rischio di in un CI e delle conseguenti implicazioni medico-legali, raccomandano una mammografia “preventiva” con periodicità inferiore rispetto ai 24 mesi, per una forma di medicina difensiva su base organizzativa e non individuale.Si tratta di un esempio di dicotomia tra dimensione di popolazione (screening ASL) e approccio ad personam della clinica tradizionale (centro specialistico), che tuttavia per la sua sistematicità assume anche una valenza collettiva. In un mondo ideale e razionale le varie strutture, specie se pubbliche, dovrebbero concordare una linea di condotta comune, magari dopo un confronto e un dibattito pubblico, invece che adottare strategie difformi, che "scaricano" sostanzialmente il problema sulle assistite e sui loro medici.   Considerando una media del 50% di CI al II° anno di intervallo viene spontaneo ipotizzare che una periodicità inferiore, ad esempio annuale, potrebbe ridurre ulteriormente i casi che sfuggono allo screening biennale. Tuttavia i dati della letteratura dimostrano che il vantaggio non sarebbe consistente, con un anticipo della diagnosi di soli 6 mesi dei CI destinati a manifestarsi nel secondo anno, ma pagato a prezzo di un aumento dei falsi positivi e di una maggiore incidenza di Ca in situ a lenta progressione, probabilmente poco influenti sulla mortalità (http://goo.gl/q4d9aK). Tant’è che in Gran Bretagna si è optato per la periodicità triennale mentre in Svizzera, a seguito di revisioni di letteratura che non hanno confermato i benefici attesi in termini di riduzione di mortalità totale, è stato sospeso lo screening istituzionale e vari autori suggeriscono di abbandonare gli interventi generalizzati per passare ad azioni personalizzate di diagnosi precoce in donne a rischio.Alla luce di questi dati appare poco giustificato lo screening informale a 12-18 mesi, attuato a tappeto da alcuni centri specialistici in donne asintomatiche, in età di screening e senza fattori di rischio, spesso con l’abbinamento di mammografia, ecografia e visita senologica.