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Un'incertezza da panico collettivo....


Sulla lista di discussione medica locale un collega riferisce un episodio di ordinaria fenomenologia ambulatoriale, che riguarda la relazione atre MMG, assistito e specialisti."Vengo chiamato da un'assistita che lamenta dispnea. Valuto il caso e, con i mezzi a mia disposizione, formulo la diagnosi di attacco di panico. L’indomani la paziente scontenta, a mia insaputa, consulta a domicilio un'amica cardiologa che dopo avere eseguito un ECG, risultato peraltro negativo, consiglia comunque un accesso in PS, perchè "non si sa mai".  E qui parte la girandola di accertamenti: RX torace ,TAC torace senza mdc per sospetta embolia, esami ematici a profusione, visita internistica, cardiologica ed ORL (era presente vertigine), RMN encafalo. Diagnosi finale:  "PANIK ATTACK" (l'inglese è più trendy).La rivedo al termine del percorso diagnostico labirintico e la invio a consulenza psichiatrica. Conclusione della signora: "aveva proprio ragione lei, dottore!".L'episodio è assai istruttivo e merita un commento, su più piani di analisi, di cui quello economico è forse il meno interessante, in quanto effetto collaterale di altre dinamiche.Sul piano strettamente clinico si può dire che la specialista ha peccato di eccesso di zelo, all'opposto del medico curante che forse poteva fare di più, se non altro a scopo rassicurativo. La diagnosi di attacco di panico si pone in genere per esclusione, come accade del resto in presenza di disturbi funzionali o sintomi psicosomatici, nel senso che alcuni accertamenti clinici sono necessari per fugare l'ipotesi di una matrice organica del disturbo, specie in presenza di sintomi fisici prevalenti come oppressione toracica, dispnea, cardiopalmo etc.., che richiamano una patologia coronarica o bronco-ostruttiva. Insomma, due esami ematici e un ECG avrebbero sedato le ansie della paziente, nel senso dell'effetto placebo ansiolitico della tecnologia, assai utile per una persona in preda ad uno stato di ansia acuta.La seconda considerazione riguarda il tema della fiducia, nella relazione medico-assistito, e soprattutto la gestione dell'incertezza in medicina. La signora non era pienamente soddisfatta della diagnosi del proprio medico e ha cercato un conforto specialistico, perchè nell'era della tecnomedicina specialista non ci si può fidare fino in fondo del "generico mutualisa". Così la signora ha deciso per conto suo di approfondire la situazione consultando la specialista.La cardiologa pur mettendo in campo la tecnologia alla sua portat non è riuscita a sedare la sua ansia/incertezza (nel senso della specialista) ed ha rilanciato la palla ai colleghi del PS, che sono stati investiti di un compito impossibile, per giunta da parte di un collega specialista: ovvero minimizzare le incertezze diagnostiche offerte del caso, andando alla puntigliosa ricerca delle patologie rare e poco probabili che potevano in qualche modo essere correlate alla sintomatologia lamentata. Anche perchè il principale mandato sociale dell'istituzione è proprio quello di sedare le ansie della gente.Ecco quindi entrare in gioco la deformazione professionale dello specialista, che pensa al peggio e vuole fare bella figura, azzeccando la diagnosi improbabile, anche per evitare di incappare in un misconoscimento diagnostico e finire magari sui giornali; lo specialista più di ogni altro medico è intollerante verso l'incertezza, perchè ha a sua disposizione gli strumenti tecnici per ridurla o addirittura tentare di azzerarla (sic!). Perchè non dovrebbe usarli? Qual'è il livello di incertezza accettabile da parte del medico e del paziente? Fino a che punto si deve spingere il processo diagnostico per ridurre l'incertezza ed escludere le patologie più rare? Il fisico teorico Carlo Rovelli ha osservato che “un margine di incertezza rimane in qualunque sapere: la soluzione non è inventare un modo per eliminarlo. E’ imparare a gestirlo. In larga misura, la scienza non è la ricerca di assolute certezze, è l’apprendere a gestire l’incertezza”. Ecco, il generalista si trova in posizione antitetica rispetto allo specialista, ovvero si deve abituare per forza di cose a convivere e tollerare margini più o meno ampi di incertezza, che nel suo contesto organizzativo e professionale resta fondamentalmente irriducibile, a meno di prescrivere sistematicamente accertamenti diagnostici e richiedere consulenze specialistiche a tappeto. L’incertezza epistemica è l’altra faccia della medaglia e il motore della medicina difensiva.L'episodio illustra in modo emblematico una sorta di epidemia di incertezza, sfuggita di mano ai vari attori e generatrice di un'escalation di accertamenti tecno-specialistici nel (vano) tentativo di annullarla.