CureprimarieConsiderazioni e riflessioni sulla medicina del territorio |
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Post n°80 pubblicato il 19 Agosto 2015 da bellegi0
Da qualche anno a questa parte alcuni dietologi hanno inaugurato una nuova moda, quella di prescrivere “pilloloni” dimagranti, preparati dal farmacista di fiducia in forma galenica, contenenti un cocktail di vari principi attivi, molto diversi tra loro, che avrebbero l’effetto combinato di indurre un calo di peso corporeo in abbinamento ad una dieta adeguata. |
Post n°79 pubblicato il 17 Agosto 2015 da bellegi0
Il decreto ministeriale attuativo delle norme sull'appropriatezza prescrittiva, approvate all'inizio di agosto all'interno della Legge sugli Enti Locali, riguarderà 180 prestazioni di specialistica ambulatoriale, su oltre 1700 contenute nel dm 22 luglio 1996, per le quali vengono proposti due tipi di vincolo: 1. CONDIZIONI DI EROGABILITA' - Definiscono limiti e modalità di erogazione. Indicano che l'erogazione della prestazione nell'ambito e a carico del SSN è limitata a specifiche categorie di destinatari, e/o per particolari finalità, condizioni o indicazioni cliniche. Nello specifico i livelli di appropriatezza riguardano per quasi i 2/3 prestazioni diagnostiche o terapeutiche prettamente specialistiche, con l'esclusione delle relative visite di consulenza specialistica: ⦁ ODONTOIATRIA: sono interessate 35 prestazioni su 180 (20% circa) Le limitazioni prescrittive che coinvolgono la MG sono una sessantina e riguardano due tipologie di accertamenti clinici, il cui impatto pratico sull'attività ambulatoriale si potrà valutare sono quando verrà licenziato l'elenco dettagliato, con le relative indicazioni circa i vincoli prescrittivi. ⦁ LABORATORIO. Il provvedimento comprende: ⦁ TAC E RMN. |
Post n°78 pubblicato il 14 Agosto 2015 da bellegi0
Sulla lista di discussione medica locale un collega riferisce un episodio di ordinaria fenomenologia ambulatoriale, che riguarda la relazione atre MMG, assistito e specialisti. "Vengo chiamato da un'assistita che lamenta dispnea. Valuto il caso e, con i mezzi a mia disposizione, formulo la diagnosi di attacco di panico. L’indomani la paziente scontenta, a mia insaputa, consulta a domicilio un'amica cardiologa che dopo avere eseguito un ECG, risultato peraltro negativo, consiglia comunque un accesso in PS, perchè "non si sa mai". E qui parte la girandola di accertamenti: RX torace ,TAC torace senza mdc per sospetta embolia, esami ematici a profusione, visita internistica, cardiologica ed ORL (era presente vertigine), RMN encafalo. Diagnosi finale: "PANIK ATTACK" (l'inglese è più trendy). La rivedo al termine del percorso diagnostico labirintico e la invio a consulenza psichiatrica. Conclusione della signora: "aveva proprio ragione lei, dottore!". L'episodio è assai istruttivo e merita un commento, su più piani di analisi, di cui quello economico è forse il meno interessante, in quanto effetto collaterale di altre dinamiche. Sul piano strettamente clinico si può dire che la specialista ha peccato di eccesso di zelo, all'opposto del medico curante che forse poteva fare di più, se non altro a scopo rassicurativo. La diagnosi di attacco di panico si pone in genere per esclusione, come accade del resto in presenza di disturbi funzionali o sintomi psicosomatici, nel senso che alcuni accertamenti clinici sono necessari per fugare l'ipotesi di una matrice organica del disturbo, specie in presenza di sintomi fisici prevalenti come oppressione toracica, dispnea, cardiopalmo etc.., che richiamano una patologia coronarica o bronco-ostruttiva. Insomma, due esami ematici e un ECG avrebbero sedato le ansie della paziente, nel senso dell'effetto placebo ansiolitico della tecnologia, assai utile per una persona in preda ad uno stato di ansia acuta. La seconda considerazione riguarda il tema della fiducia, nella relazione medico-assistito, e soprattutto la gestione dell'incertezza in medicina. La signora non era pienamente soddisfatta della diagnosi del proprio medico e ha cercato un conforto specialistico, perchè nell'era della tecnomedicina specialista non ci si può fidare fino in fondo del "generico mutualisa". Così la signora ha deciso per conto suo di approfondire la situazione consultando la specialista. La cardiologa pur mettendo in campo la tecnologia alla sua portat non è riuscita a sedare la sua ansia/incertezza (nel senso della specialista) ed ha rilanciato la palla ai colleghi del PS, che sono stati investiti di un compito impossibile, per giunta da parte di un collega specialista: ovvero minimizzare le incertezze diagnostiche offerte del caso, andando alla puntigliosa ricerca delle patologie rare e poco probabili che potevano in qualche modo essere correlate alla sintomatologia lamentata. Anche perchè il principale mandato sociale dell'istituzione è proprio quello di sedare le ansie della gente. Ecco quindi entrare in gioco la deformazione professionale dello specialista, che pensa al peggio e vuole fare bella figura, azzeccando la diagnosi improbabile, anche per evitare di incappare in un misconoscimento diagnostico e finire magari sui giornali; lo specialista più di ogni altro medico è intollerante verso l'incertezza, perchè ha a sua disposizione gli strumenti tecnici per ridurla o addirittura tentare di azzerarla (sic!). Perchè non dovrebbe usarli? Qual'è il livello di incertezza accettabile da parte del medico e del paziente? Fino a che punto si deve spingere il processo diagnostico per ridurre l'incertezza ed escludere le patologie più rare? Il fisico teorico Carlo Rovelli ha osservato che “un margine di incertezza rimane in qualunque sapere: la soluzione non è inventare un modo per eliminarlo. E’ imparare a gestirlo. In larga misura, la scienza non è la ricerca di assolute certezze, è l’apprendere a gestire l’incertezza”. Ecco, il generalista si trova in posizione antitetica rispetto allo specialista, ovvero si deve abituare per forza di cose a convivere e tollerare margini più o meno ampi di incertezza, che nel suo contesto organizzativo e professionale resta fondamentalmente irriducibile, a meno di prescrivere sistematicamente accertamenti diagnostici e richiedere consulenze specialistiche a tappeto. L’incertezza epistemica è l’altra faccia della medaglia e il motore della medicina difensiva. L'episodio illustra in modo emblematico una sorta di epidemia di incertezza, sfuggita di mano ai vari attori e generatrice di un'escalation di accertamenti tecno-specialistici nel (vano) tentativo di annullarla.
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Post n°77 pubblicato il 05 Agosto 2015 da bellegi0
Il tema dell’appropriatezza/inappropriatezza prescrittiva è correlato a due motivazioni “improprie”, e spesso occulte, delle decisioni mediche: da un lato l’atteggiamento difensivo del medico, per prevenire il rischio di denunce per malapratica e relativi contenziosi giudiziari, e dall’altro il fenomeno dell’induzione della domanda da parte dell’offerta per l’asimmetria informativa della relazione medico-paziente, che in certi casi può sconfinare in comportamenti opportunistici di matrice economica. Nel dibattito pubblico sull’appropriatezza in medicina questo secondo aspetto resta perlopiù in ombra, anche se entra spesso in sinergia con la motivazione difensiva, specie in contesti professionali ed organizzativi più “sensibili”. Buona parte delle prescrizioni inappropriate deriva dal combinato disposto tra medicina difensiva e induzione della domanda da parte dell’offerta di II° livello, in particolare per quanto riguarda alcune tipologie di ricoveri a rischio di inappropriatezza. Dall’analisi del testo dell’articolo dedicato alla riduzione dell’inappropriatezza prescrittiva emerge un evidente “buco” normativo: proprio gli specialisti delle strutture private accreditate non saranno assoggettati alle nuove norme e quindi liberi da ogni vincolo, in quanto esclusi dalle procedure di penalizzazione economica in caso di prescrizioni in violazione delle condizioni di erogabilità o delle indicazioni di appropriatezza della prestazione. Essendo dipendenti dalle strutture private accreditate non rientrano negli Accordi Collettivi che regolano il rapporto di dipendenza e di convenzionamento, vale a dire lo strumento legale che consente alle amministrazioni pubbliche di rivalersi economicamente sul professionista “reo” di inappropriatezza. Ovviamente sono del tutto esclusi da ogni vincolo limitativo i libero-professionisti, che continueranno a prescrivere accertamenti in piena libertà, scienza e coscienza. Per queste due categorie professionali, oltre alla motivazione difensiva medico-legale, è più concreto il rischio di induzione opportunistica della domanda, per effetto del particolare contesto organizzativo ed economico. Ai medici dipendenti e convenzionati invece correrà l'obbligo di "specificare nella prescrizione le condizioni di erogabilità della prestazione o le indicazioni di appropriatezza prescrittiva previste dal decreto ministeriale etc..". Toccherà principalmente al medico di MG negare la “trascrizione” sul ricettario del SSR dell’accertamento diagnostico consigliato dallo specialista privato o accreditato, e quindi caricare sull’assistito l’onere dell’esame inappropriato, con inevitabili tensioni e ripercussioni relazionali. A parte l'intrinseca difficoltà e difformità interpretativa delle nuove regole per l’applicazione corretta dei relativi protocolli, questa norma è destinata ad impattare negativamente anche sui rapporti tra medici dipendenti e convenzionati con il SSN. L’esperienza ultradecennale delle Note CUF sui farmaci, antesignane delle iniziative per l’appropriatezza, ha dimostrato la scarsa propensione degli specialisti verso le norme limitative e la tendenza a “delegare” la prescrizione al medico di MG, spesso senza la preventiva informazione del cittadino sulla non concedibilità dei farmaci. E’ facile prevedere che accadrà la stessa cosa con le future “Note” per gli accertamenti diagnostici, visto che buona parte delle prescrizioni suggerite dagli specialisti accreditati o libero professionisti confluisce sul medico di MG. Si riproporrà quindi il gioco delle parti, già emerso con le Note CUF/AIFA per la farmaceutica, ovvero la divisione dei ruoli tra il medico “buono”, prodigo di accertamenti, e quello “cattivo” che nega la prescrizione costringendo il cittadino a mettere mano al portafoglio. Da anni peraltro è in atto in questo settore un lento processo di semplificazione burocratica, a costo zero per il sistema, ma che rappresenta una sorta di rivoluzione per gli assistiti e destinata ora a subire un battuta d’arresto: mi riferisco all'obbligo per lo specialista, a norma di convenzione e delibere regionali, di prescrivere ulteriori accertamenti per rispondere al quesito clinico del medico di MG, utilizzando il ricettario regionale a disposizione di tutti i professionisti del SSN, senza costringere gli assistiti ad un'inutile andirivieni tra ospedale e studio del MMG, con relative lungaggini burocratiche, perdite di tempo, code e lunghe attese telefoniche, procedure amministrative per la prenotazione etc.. Questa semplice regola di buon senso rappresenta un caposaldo per semplificare la vita dei pazienti, responsabilizzare i prescrittori di II° livello e migliorare il sistema nel suo complesso. Ma purtroppo rischia di essere la prima vittima degli effetti collaterali delle norme proposte per contenere le prescrizioni inappropriate/difensive, che paradossalmente si proponevano di migliorare l’efficienza dei servizi. Infine i medici per difendersi dal rischio economico, in caso di dubbi e incertezze interpretative delle nuove regole, saranno indotti ad utilizzare il ricettario personale per gli esami a rischio di inappropriatezza, onde evitare di dover pagare personalmente, mentre gli assistiti si dovranno rivolgere alle strutture private. E' facile immaginare che l’applicazione sul campo delle nuove limitazioni prescrittive, con le inevitabili contestazioni delle amministrazioni ai medici, produrranno un incremento dei contenziosi legali tra i tre attori della scena sanitaria, senza considerare la necessità di dedicare ulteriori risorse umane ed economiche per predisporre e far funzionare l’apparato “repressivo” chiamato a giudicare i responsabili dell’inappropriatezza. Gli sforzi per contrastare l’inappropriatezza potrebbero quindi vanificare il beneficio finanziario atteso dal provvedimento elaborato dal commissarrio per la revisione della spesa. Insomma, il gioco potrebbe non valere la candela! Infine per poter valutare i potenziali effetti pratici della legge bisognerà attendere i contenuti del DM attuativo, in particolare l'elenco delle 180 prestazioni soggette a limitazioni e i relativi criteri di prescrivibilità. |
Post n°76 pubblicato il 02 Agosto 2015 da bellegi0
La promozione dell'appropriatezza diagnostica e l'introduzione della responsabilità economica dei medici, in caso di indagini cliniche inappropriate, ha una lunga storia e un precedente istituzionale. Fin dai primi anni 2000 il prof. Garattini, sull'onda dei risultati della CUF, proponeva un'analoga Commissione per la diagnostica che definisse "le indicazioni per cui è scientificamente attendibile effettuare una determinata analisi". Nel 2006 viene così varata la CUD con il mandato di mettere ordine nel settore delle prestazioni diagnostiche, ma non procede alla stesura delle relative note CUD, contenenti i criteri di appropriatezza sul modello dei farmaci, come auspicava Garattini. Tuttavia la neonata commissione si guarda bene dal mettere il naso in una materia tanto delicata, provocando il prevedibile vespaio di polemiche e di reazioni dei diretti interessati; tantè che cambia pure denominazione, passando da Commissione per la Diagnostica e Commissione sui Dispositivi Medici, con un lifting semantico che è anche un programma d'azione. Si occupa cioè in modo asettico e in generale di dispositivi medici, nell'ambito della valutazione tecnica, economica ed organizzativa di TAC, RMN etc.. senza entrare nel merito dell'appropriatezza delle richieste di indagini diagnostiche dei singoli medici. Insomma se ne lava le mani e non affronta il problema scottante. Ora invece, nel giro di 30 giorni e in piena estate la neonata commissione ministeriale dovrà emanare i criteri di appropriatezza, dopo aver consultato tutte le categorie mediche e non solo. L'ipotesi, visti i precedenti della CUD, è piuttosto irrealistica... Per comprendere la concezione metodologica che sta alla base del provvedimento sull'inappropriatezza prescrittiva bisogna partire dalla metafora dell'indagine poliziesca, ad esempio per omicidio, che aiuta ad inquadrare per analogia il processo diagnostico. L'investigatore parte in genere da un certo numero di indiziati e in molti casi sono sufficienti alcuni interrogatori e/o riscontri, per eliminare quelli che hanno un alibi e mettere alle strette il colpevole. Altre volte però l'interrogatorio non basta o si brancola nel buio perchè mancano proprio gli indiziati. In questo caso bisogna ricorrere a diverse tecniche investigative per acquisire informazioni utili alle indagini: controllo dei cellulari, pedinamenti, cimici e registrazioni ambientali, verifiche dei conti bancari, filmati di videosorveglianza e tecniche via via sempre più complesse, fino alla polizia scientifica e ai rilievi dei RIS etc.. Va da se che il poliziotto non può sapere in anticipo, cioè a priori, a quali strumenti di conoscenza dovrà ricorrere durante l’iter investigativo e tanto meno lo si potrà vincolare ad un elenco pre-definito di indagini tecniche, magari con una multa in caso di violazione dei protocolli. Se l'investigazione è un processo, un percorso di conoscenza/scoperta saranno le varie tappe del percorso stesso a suggerire gli strumenti più adatti di volta in volta per procedere nella ricerca fino smascherare il reo, in quella che il cognitivista Donald Schoen ha definito una "conversazione con la situazione problematica"; si tratta dell’atteggiamento tipico del professionista che adotta il metodo della "riflessione nel corso dell'azione" sui propri processi mentali, sugli esiti delle sue mosse, su incongruenze e situazioni anomalie, sorprendenti, impreviste etc.. Insomma in medicina non può esistere un nesso necessario, sufficiente ed univoco tra strumenti di indagine ed esiti dell’indagine stessa. I criteri di appropriatezza possono funzionare e razionalizzare le prescrizioni in due tipologie di problemi:
La differenza tra componente cognitiva e pratica in medicina non è evidentemente chiara per molti decisori pubblici, che fanno di ogni erba un fascio ed assimilano le due sfere. L'origine di questa confusione è dovuta al fatto che i test clinici, specie gli esami ematici, hanno sia una funzione diagnostica sia un ruolo di supporto per la gestione della terapia medica in molte patologie croniche. La glicemia è necessaria per fare diagnosi di diabete mellito ma anche per monitorare ed eventualemente aggiustare la terapia ipoglicemizzante in caso di scarso compenso metabolico, idem per quanto riguarda le dislipidemie, le anemie sideropeniche, l'IRC, l'ipotiroidismo etc.. Una volta fatta la diagnosi quindi cambia la prospettiva ed il ruolo dei test clinici, che da strumento di conoscenza diventano supporto dell'intervento terapeutico e quindi più soggetti a procedure standardizzate e schemi di monitoraggio, come accade con le azioni terapeutiche. E' lo stesso esame ma le due funzioni sono diverse e in un certo senso incommensurabili, solo che la "metamorfosi" non viene percepita e considerata con la dovuta attenzione. Al contrario per i sintomi aspecifici, vaghi, indeterminati o atipici, cioè quando prevale l'incertezza diagnostica per un gran numero di ipotesi diagnostiche da testare, è impossibile stabilire in modo rigido e univoco quali sono gli esami appropriati in tutti casi e a prescindere dalle singole vicende cliniche. Il fatto è che in MG patologie rare o gravi esordiscono spesso con sintomi simili a quelli di disturbi ordinari, in altri casi con sintomi sfumati, atipici, indeterminati e di dubbia interpretazione, senza considerare quella quota di sintomi che restano orfani di una precisa diagnosi, anche dopo ripetuti accertamenti e visite specialistiche (MUS, ovvero Medically Unexplaned Symptom). Che criteri di appropriatezza stileranno gli esperti ministeriali in caso di stanchezza, malessere generale, febbricola, mal di pancia, prurito, parestesie, artralgie, scarsa forma fisica etc.. Per un altro gruppo di assistiti sarà arduo individuare gli accertamenti appropriati; mi riferisco alla categoria dei cosiddetti pazienti sotto-soglia, vale a dire coloro che pur presentando uno o più sintomi non superano la cosiddetta soglia diagnostica (in genere composta da un numero minimo di criteri clinici da soddisfare) stabilita per molte patologie dalle società scientifiche specialistiche, dai disturbi psichiatrici alla malattie reumatiche etc... Tutte situazioni complicate e poco standardizzabili in rigidi protocolli, che peraltro nella realtà si possono rivelare anche poco applicabili e soprattutto stridono rispetto alla proclamata personalizzazione dell'assistenza e delle cure mediche tanto in voga. Lo strumento amministrativo per valutare l’appropriatezza sarà la congruenza tra la diagnosi, indicata dal medico sulla ricetta, e l’accertamento prescritto, in rapporto ai criteri di appropriatezza definiti dalla commissione ministeriale, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della decreto Enti Locali. Oltre alla vasta coorte di assistiti che ancora non hanno una diagnosi, perché il sintomo lamentato è in fase di accertamento o non è stato possibile individuare una diagnosi codificata, si porrà certamente il problema degli assistiti pluripatologici, specie quelli affetti da due o più affezioni croniche, così frequenti tra la popolazione geriatrica, ad esempio diabetici affetti anche da ipertensione arteriosa, coronaropatia, scompenso cardiaco, vasculopatia , bronchite cronicia etc.. In questi casi a quali criteri di appropriatezza dovrà attenersi il medico prescrittore? Inoltre non sempre l'inappropriatezza prescrittiva è dovuta alle decisioni del singolo professionista. La commissione ministeriale sull'appropriatezza dovrà metterà ordine anche nel settore della prevenzione istituzionale, ad esempio gli screening mammografici in donne asintomatiche, che impegna non poche risorse pubbliche a partire dai centri screening. Attualmente abbiamo un’ampia varietà nella periodicità dell'esame che crea sconcerto tra le donne e tra i medici: l'esenzione prevede un esame biennale dai 45 anni in avanti, gli screening partono da 50 mentre mente molti centri senologici consigliano esami ogni 12-18 mesi a partire dai 40 anni e non di rado entrano in contrasto con gli screening istituzionali per le donne over-50. Insomma, esiste un problema di appropriatezza organizzativa anche per quanto riguarda l’offerta istituzionale di prestazioni diagnostiche: qual' è l'età giusta e la frequenza appropriata della mammografia preventiva? Finalmente avremo un'indicazione ufficiale e definitiva su un' argomento spinoso e di grande interesse per tutti. Il provvedimento sulla responsabilità economica dei medici e dei pazienti avrà inevitabilmente conseguenze psicologiche, relazionali, socio-politiche e non sempre prevedibili o coerenti con le intenzioni. Si tratta di un cambiamento improvviso, imposto con la "forza" dei numeri parlamentari con un condivisione frettoloso, e in quanto tale è destinato ad aumentare l'incertezza dei medici e degli assistiti, come accade ogni volta che si innesca un cambiamento drastico, destinato ad un impatto notevole sulla relazione di cura e dagli esti potenzialmente contro-producenti. Il guaio è che gli accertamenti diagnostici hanno proprio la funzione di ridurre l'incertezza epistemica del medico - ovvero la sua ignoranza - per migliorare gli esiti del suo intervento grazie ad una conoscenza più approfondita del problema. Non esiste solo la motivazione difensiva nella richiesta di esami clinici, ovvero l'obiettivo di ridurre il rischio di finire sul banco degli imputati. Vi è anche un'incertezza intrinsecamente legata al processo diagnostico, squisitamente soggettiva e non riducibile al concetto di rischio tipico degli interventi terapeutici valutabili statisticamente (probabilità frequentistica, cioè sui grandi numeri, dei benefici di un farmaco valutato in trial clinici in doppio cieco); si tratta di un'incertezza cognitivo/epistemica e quindi distinta da quella medico-legale, anche se le due motivazioni/incertezze coesistono nella presa di decisione e non è sempre facile separare l'una dall'altra. Di sicuro l'aumento dell'incertezza indotta da un'impostazione punitiva di stampo normativo - e quindi ancora una volta di tenore legale e non culturale/formativo, come ad esempio le iniziative di Slow Medicine - si riverbera' sul clima emotivo della relazione, minando il rapporto fiduciario e creando nuove occasioni di sospetto e diffidenza negli assistiti verso le scelte del medico, come se non bastasse lo sfilacciamento subito dalla relazione negli ultimi anni. I medici dovranno quindi temere sia il rischio medico-legale, aumentato soggettivamente dalla difficoltà burocratiche alla richiesta di accertamenti, sia la penalizzazione economica in caso di prescrizione inappropriata, che peraltro richiederà un ulteriore apparato burocratico-amministrativo per l’eventuale sanzionamento delle prescrizioni improprie, con inevitabile lievitazione del contenzioso giudiziario. Le nuove norme sull'inappropriatezza prescrittiva sono stato criticate per i rischi di riduzione delle prestazioni garantite dal SSN, in una sorta di privatizzazione strisciante della sanità pubblica; oltre a queste problematiche l’impianto della legge rivela la rappresentazione parziale e distorta della realtà ambulatoriale e delle cure primarie dei decisori pubblici. A fronte della varietà, incertezza, instabilità e complessità dei problemi si pretende di applicare protocolli ispirati ad una presunta "razionalità tecnica" ed a schemi predefiniti per imporre una standardizzazione di comportamenti "appropriati" ex-ante, mentre la realtà ambulatoriale richiede una adattamento ad personam degli strumenti conoscitivi, rispettoso della singolarità ed unicità di ogni vicenda clinica. |
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MI PRESENTO....
Sono un medico di Medcina Generale che esercita la professione dal 1981 in un paese alle porte di Brescia in medicina di gruppo. Da anni svolgo anche l'attività di animatore di formazione nei ranghi della SIMG (Societa' Italiana di Medicina Generale), di ricercatore in Medicina Generale (audit, governo clinico, formazione sul campo, ricerche epidemiologiche ed osservazionali) tutor del tirocinio valutativo per l'esame di stato e docente alla scuola di formazione in Medicina Generale di Brescia.
Ho collaborato con le principali riviste Italiane della MG, come Occhio Clinico, Medicinae Doctor e rivista SIMG. Dall'inizio del secolo modero e partecipo alle discussioni pubbliche su Mailing Lista locali (rete UNIRE di Brescia), nazionali e sui gruppi professionali di FaceBook. I miei interessi spaziano dalla metodologia clinica alla psicologia cognitiva, alle medical humanities in generale, con paticolare riferimento alla diagnosi e all'errore in MG.
Sito Web personale: www.giuseppebelleri.it
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